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Tiresia

personaggio della mitologia greca, indovino cieco figlio di Evereo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Tiresia
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Tiresia (in greco antico: Τειρεσίας?, Teiresíās) è un veggente della mitologia greca, figlio di Evereo, della stirpe degli Sparti, e della ninfa Cariclo.[1] Tiresia ebbe una figlia, Manto, anche lei indovina.

Fatti in breve Caratteristiche immaginarie, Sesso ...
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Il mito

Riepilogo
Prospettiva

Tiresia è cieco, e sull'origine di questa sua condizione esistono tre tradizioni riportate dallo Pseudo-Apollodoro:[2]

  • secondo la prima fu reso così dagli dèi perché non volevano che profetizzasse argomenti "privati";
  • nella seconda,[3] Tiresia, figlio della ninfa Cariclo, viene reso tale da Atena per punizione in quanto la vide nuda farsi il bagno, ma poi, su supplica della madre, fu reso indovino dalla stessa dea;
  • nella terza tradizione[4] Tiresia passeggiando sul monte Cillene (o secondo un'altra versione Citerone), incontrò due serpenti che si stavano accoppiando e ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì (secondo una variante egli si limitò solamente a dividerli percuotendo prima la femmina e successivamente il maschio). Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo. Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi da una controversia: se in amore provasse più piacere l'uomo o la donna. Non riuscendo a giungere a una conclusione, poiché Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l'uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l'unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo sia donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere si compone di dieci parti: l'uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché Tiresia aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per compensare il danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni: gli dei greci, infatti, non possono cancellare ciò che hanno fatto o deciso altri dei.[5]
«Ma la cecità di Tiresia è in realtà la condizione perché egli possa assolvere al suo ruolo di indovino. [...] Le tre ragioni presentate nella Biblioteca, [...], appaiono in realtà connesse da un denominatore comune rappresentato dal codice ottico su cui è costruita la vicenda. [...] la vista entra direttamente in causa configurandosi come una trasgressione di un codice di comportamento enunciato da Callimaco [...] (le leggi di Crono stabiliscono così chi vede un immortale contro la sua volontà, pagherà un grande prezzo per questa vista)[6]»

Nel corso dell'attacco degli Epigoni contro Tebe, Tiresia fuggì dalla città insieme ai tebani; sfiancato si riposò nei pressi della fonte Telfusa dalla quale bevve dell'acqua gelata e morì. In un'altra versione l'indovino, rimasto a Tebe con la figlia Manto, venne fatto prigioniero e mandato a Delfi con la figlia, dove sarebbero stati consacrati al dio Apollo. Tiresia morì per la fatica durante il cammino.

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Odisseo consulta l'indovino per eccellenza, Tiresia. Particolare di un krater a calice, a figure rosse, risalente al IV secolo a.C.

Nell'Odissea il suo spettro è consultato da Odisseo affinché gli indichi la strada del ritorno. Benché morto e residente nell'Ade, Tiresia conserva, a differenza degli altri spettri, una propria identità e le proprie capacità mentali (φρήν)

«per chiedere all'anima del tebano Tiresia,
il cieco indovino, di cui sono saldi i precordi:
a lui solo Persefone diede anche da morto,
la facoltà d'esser savio; gli altri sono ombre vaganti»

La storia di Tiresia è narrata tra gli altri da Ovidio nelle Metamorfosi e da Stazio nella Tebaide.

Dante Alighieri lo cita vicino al suo rivale in divinazione nella guerra di Tebe, Anfiarao, tra gli indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno (XX, 40-45). Il poeta fiorentino tuttavia non fa accenno alle sue arti divinatorie ma al solo prodigio del cambio di sesso dovuto all'aver colpito i due serpentelli, azione che rese necessario colpirli di nuovo sette anni dopo. Probabilmente l'intento di Dante è limitato a deprecare le attività dei maghi, i quali talvolta adulterano le cose naturali con il loro intervento. Tiresia è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro in contrappasso con il suo potere "preveggente" avuto in vita. Anche sua figlia Manto si trova nello stesso girone.

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Letteratura classica

La figura di Tiresia appare in molti miti classici;

  • Esiodo (fr. 276 M. - W.) racconta che egli visse per la lunghezza di sette generazioni.
  • Sofocle utilizza il suo personaggio drammatico in Edipo re e nell'Antigone. Appare anche in due opere di Euripide: Le Baccanti e Le Fenicie.
  • Nell'Odissea di Omero, appare nel libro X, quando Circe consiglia a Ulisse di consultare l'ombra di Tiresia, e nel libro XI, quando l'eroe lo incontra nel regno dei morti.
  • Nell’inno Per i lavacri di Pallade, Callimaco racconta in distici elegiaci la versione del mito secondo la quale Tiresia sarebbe stato accecato per aver erroneamente visto Atena nuda mentre ella faceva il bagno, associandola ad una cerimonia annuale in cui, presso Argo, avveniva una processione di sole donne che terminava con l’aspersione di una statua della dea.
  • Ne Le metamorfosi, Ovidio racconta come Tiresia acquisì il dono della divinazione.
  • Nell'Anfitrione, appare nell'atto V quando Anfitrione è intento a consultarlo sul da farsi.
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Interpretazioni moderne

Note

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

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