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Verbi incoativi
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Nella lingua italiana, vengono detti verbi incoativi - impropriamente, per analogia col latino - quei verbi della terza coniugazione (-ire) che ampliano, o che possono ampliare, il paradigma desinenziale ordinario con l'interfisso -isc- tra radice e desinenza, alla 1ª, 2ª, 3ª e 6ª persona dell'indicativo presente, del congiuntivo presente e dell'imperativo. Si tratta di un fenomeno caratteristico solo della terza coniugazione, e presente nella stragrande maggioranza[1] dei suoi verbi.
La denominazione, affermatasi nella grammatica tradizionale, è però impropria perché in italiano l'interfisso -isc- non è portatore di alcun significato proprio, in grado di conferire all'azione espressa dal verbo un aspetto incoativo (cioè di inizio dell'azione). Si tratta di una funzione che in latino aveva l'interfisso -sc-, di cui -isc- è erede e da cui sì trae tale denominazione, ma che in italiano non conserva valore semantico proprio: infatti, non vi è alcuna differenza tra nutro e nutrisco. Esistono soltanto, in rarissimi casi, alcune sfumature di significato che la tradizione letteraria ha assegnato in via preferenziale al paradigma in -isc- piuttosto che a quello ordinario, nei verbi che li ammettono entrambi, ma si tratta comunque di variazioni che non conferiscono all'interfisso un valore semantico proprio.
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Morfologia e origine
Riepilogo
Prospettiva
L'interfisso -isc- compare esclusivamente nella 1ª, 2ª, 3ª e 6ª persona del presente indicativo e del presente congiuntivo, oltre che all'imperativo. A causa della sua posizione (subito dopo la radice e senza altri interfissi), è sempre portatore di accento primario e ciascuna di queste voci è rizoatona (cioè senza accento sulla radice). Le prime tre persone hanno cadenza piana e la sesta sdrucciola, peraltro in analogia alle corrispettive voci dei verbi non incoativi (finisco; servo; finiscono; servono).
Inoltre l'interfisso adegua la sua resa fonetica a seconda della vocale iniziale della desinenza assumendo ora suono duro della C (/-ˈisk-/), se seguita da -a o -o, ora, invece, il suono dolce del digramma SC (/-ˈiʃ-/) se seguito da -e o -i.
All'origine dell'affisso -isc-, che ha creato un sistema desinenziale parallelo a quello standard già presente nella terza coniugazione, dev'esserci stato un uso imitativo del suffisso latino -sco in verbi che già avevano implicito un valore incoativo nel solo significato - che è ovviamente da rintracciare nella radice e non nella desinenza - come fiorire, guarire, marcire che indicano tutti un processo progressivo. Tale valore è anche possibile rintracciarlo in numerosi altri casi di verbi parasintetici, appartenenti alla stessa coniugazione, come indurire, arrossire, dove il valore incoativo può essere percepito in maniera ancora più marcata che nei precedenti.
Col tempo, poi, il legame iniziale col suffisso -sco deve essere venuto meno, sino a far diventare tale sistema desinenziale accessorio, una particolarità della terza coniugazione, favorendone così la diffusione in altri verbi che nulla avevano a che fare con un concetto di inizio o di principio, ma anche più genericamente di progressione. Secondo numerosi studiosi[2] la sua diffusione darebbe da addebitarsi a una generale "tendenza livellatrice" dell'accento su tutto il paradigma verbale che infatti presenta una netta prevalenza delle forme rizoatone; non a caso l'interfisso -isc- è presente soltanto in quei modi e in quei tempi e in quelle voci, che altrimenti avrebbero accento primario sulla radice del verbo.
Vi è inoltre da aggiungere che spesso parallelamente alle forme in -ire, si sono sviluppati dei verbi partendo dalla medesima radice con la desinenza -are. Queste coppie di verbi corradicali (ad esempio, appuntire e appuntare), possono essere sinonimi perfetti equamente distribuiti, oppure rappresentare una la variante meno comune dell'altro, magari d'uso solo letterale o antiquato; talvolta invece i verbi condividono soltanto alcune sfumature dei loro significati, mentre altre volte sono quasi contigui come significati ma fondamentalmente diversi; altre volte invece per processi storici hanno significati completamente slegati seppure uniti nell'etimo. L'aspetto fondamentale di queste coppie è che le prime due voci dell'indicativo presente possono confondersi se non si sa che il verbo in -ire ha l'estensione in -isco e -isci.
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Lista dei verbi incoativi
Riepilogo
Prospettiva
Una lista dei verbi incoativi è presente sulla Grammatica italiana di Moretti-Orvieto[3] con 482 verbi segnalati. La seguente lista, però, è stata ricavata dal Vocabolario della lingua italiana Devoto-Oli contenente circa 740 verbi fra cui antiquati e anche semplici varianti di verbi non presenti nella lista perché appartenente ad altre coniugazioni.
Per ragioni di maggiore fruibilità, sono stati omessi quei prefissi da cui è facile risalire alla forma base, della quale seguono la coniugazione; sono stati mantenuti, invece, quei verbi con forte indipendenza semantica dal verbo base e tutti quelli generalmente marcati come "non comuni" dai dizionari per ragioni di completezza.
- > e < nelle colonne "verbi" e "corradicali" indicano che quella forma è una variante del verbo presente nella colonna più a destra (>) significato o in corradicale, o a sinistra (<).
- † indica un verbo antiquato
- 1, 2 nella colonna "tipo" indicano invece i verbi per cui è correntemente possibile usare sia la coniugazione regolare (1), sia quella incoativa (2), indicando quale delle due viene segnalata dai dizionari come predominante o preferibile; * indica la presenza di limitazione della una doppia coniugazione, indicate nelle note.
A-G
I
L-Z
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Casi particolari
Riepilogo
Prospettiva
- Verbi in -parire: apparire, comparire, disparire, scomparire, sparire, trasparire.
- Si tratta di verbi irregolari che possono coniugarsi sia col paradigma regolare in -isc- che con quello proprio, eccetto sparire che ammette odiernamente soltanto il primo, ma anticamente pure il secondo. In generale non ci sono particolari vincoli desinenziali riguardo al significato, eccezion fatta per comparire e scomparire dove la forma con -isc- viene fortemente caldeggiata, in onore alla tradizione letteraria, per i significati, rispettivamente, di «figurare» (far bella figura) e «sfigurare» (far brutta figura).
- Solo per il verbo scomparire i dizionari indicano la coniugazione in -isc- come primaria.
- Verbi in -partire: compartire, dipartire, dispartire, partire (bi-, tri, quadri-), ripartire, scompartire, spartire
- solo quando sono intesi nel senso di «spartizione», e non di «allontanamento»[31], ammettono come coniugazione il paradigma in -isc-, in via esclusiva oppure combinato col paradigma ordinario della coniugazione in -ire. In generale, per evitare ambiguità, i verbi che possono ingenerare confusione hanno solo il paradigma in -isc-, ovviamente quando significano «spartizione», mentre per quelli in cui questo problema sussiste è possibile usare entrambi i paradigmi.
- partire (dividere), bipartire, tripartire e quadripartire si coniugano solo col paradigma in -isc-
- ripartire (dividere di nuovo), spartire si coniugano odiernamente solo col paradigma -isc-, ma anticamente potevano coniugarsi anche secondo quello ordinario.[29][28]
- compartire, dipartire (dividere in due), dispartire, scompartire si coniugano con entrambi i paradigmi.
- Il verbo sortire: sebbene in continuità di significato, ha un omonimo rispetto al quale si differenzia per il paradigma di coniugazione. Si coniuga quindi in -isc- sortire (dal lat. sortire) col significato sostanziale «stabilire con sorteggio; destinare, avere in sorte, ottenere»; mentre si coniuga in altro modo sortire (dal fr. sortir) col valore di «estrarre qlc. a sorteggio».
Errori frequenti
Rappresentando la maggior parte dei verbi della terza coniugazione, capita che anche verbi coniugabili solo col paradigma tradizionale vengano, per errore, coniugati con quello incoativo; casi frequenti sono bollire, cucire, empire, riempire.
L'errore opposto capita invece frequentemente col verbo adire (agire in giudizio), erroneamente scambiato come composto del verbo dire[32] - forse per l'influenza, anche, di addire/addirsi - e quindi coniugato come questo. Si tratta invece di un verbo di origine latina 'ad ire', usato nelle giurisprudenza nel senso figurato di 'andare verso', e quindi coniugato, secondo tradizione, come un normale verbo incoativo.
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Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
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