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Trust
istituto del sistema giuridico anglosassone Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Il trust (lett. "fiducia" in inglese) o fondo fiduciario è un istituto del sistema giuridico di common law, sorto nell'ambito della giurisdizione di equity, che serve a regolare una molteplicità di rapporti giuridici di natura patrimoniale (isolamento e protezione di patrimoni, gestioni patrimoniali controllate e in materia di successioni, pensionistica, diritto societario e fiscale).
Nulla ha a che vedere con l'istituto in argomento il termine antitrust, insieme di norme/istituzione a garanzia della effettiva concorrenza nei mercati economici: in tale caso il termine inglese "trust" è da intendersi nella sua accezione di "cartello" o "accordo" fra imprese (solitamente in regime di oligopolio su scala nazionale o internazionale) idoneo a incidere negativamente sulle normali dinamiche del mercato libero e concorrenziale.
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Caratteristiche
Riepilogo
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Il trust è uno strumento giuridico che permette al disponente (settlor) di trasferire al trust, ente giuridico autonomo, beni e/o diritti, che verranno gestiti, amministrati e conservati dal trustee, intestatario dei beni e diritti in regime di segregazione patrimoniale, nell’interesse di uno o più beneficiari.
Non esiste un rigido ed unitario modello di trust, ma tanti possibili schemi che è possibile costruire in vista di una finalità ultima da raggiungere.
I soggetti del trust o, più correttamente, le "posizioni giuridiche", sono generalmente tre: una è quella del disponente, cioè colui che promuove/istituisce il trust. La seconda è rappresentata dal gestore/amministratore, che agisce secondo le "regole" poste dal disponente nell'atto costitutivo. La terza è quella del beneficiario, espressa o implicita. Posizione eventuale è quella del guardiano. "Posizioni" e "soggetti" possono non coincidere. Lo stesso soggetto può assumere più di una posizione giuridica, così come più soggetti possono rivestire una medesima posizione.
Modellare un trust in grado di soddisfare un interesse specifico significa individuare le "regole" più idonee allo scopo: esse sono quelle elaborate/scelte dal disponente nel quadro normativo di riferimento. Da un trust valido conseguono necessariamente caratteristici effetti: separazione e protezione del patrimonio, intestazione all'amministratore, gestione fiduciaria vincolata e responsabilizzata dei beni. Gli effetti possono coincidere con lo scopo principale/finale per cui è stato costituito il trust.
Meccanismi del trust
Il trasferimento di beni nel fondo del trust è vincolato da un legame che intercorre tra il disponente e il fiduciario, che è il cosiddetto patto di fiducia; il settlor (disponente) trasferisce l'intestazione (non la proprietà, così come è intesa nel diritto italiano) di quei beni perché vengano amministrati dal trustee nell'interesse dei beneficiari e nei limiti di quanto stabilito nell'atto istitutivo. Ci sono due elementi caratterizzanti il trust:
- un trasferimento di intestazione;
- l'amministrazione dei beni, che deve essere una amministrazione diligente e volta a favorire il beneficiario.
Qualcuno definisce il trust (quantomeno il trust nel suo schema classico) una sorta di "donazione congelata" dove sono individuabili, fra gli altri, un donante (disponente) ed un beneficiario. C'è da puntualizzare tuttavia l'oggettiva difficoltà di inquadrare il trust in schemi o definizioni rigide o tipiche proprio per la sua attitudine ad essere declinato in una miriade di meccanismi, tutti legittimi purché nei limiti della Convenzione, della normativa regolatrice richiamata e del sistema giuridico ove è istituito.
Il trust viene anche utilizzato per le cosiddette strutture orfane, termine finanziario che designa società le cui azioni sono proprietà di un trust di scopo non caritatevole e di nessuna persona fisica, anche di minoranza, al fine di imputare un cespite, un debito o altra attività finanziaria all'esterno del bilancio della società di capitali che richiede il trust. Sono utilizzate per "isolare" con una società di progetto attività e patrimonio di una società dalle altre afferenti allo stesso gruppo industriale o finanziario, in modo da rendere la richiedente il trust "bankruptcy remote": in caso di fallimento, è minimo l'impatto economico sulle altre società del gruppo, che sono già tutelate dalla responsabilità limitata.
In particolare, sono strumenti relativamente comuni per la creazione di Special Purpose Vehicle di scopo per la cartolarizzazione, tramite l'emissione di obbligazioni di tipo Asset-backed security.
Analogie e differenze con il mandato fiduciario
Si dice comunemente che il trust sia l'equivalente anglosassone del mandato fiduciario di diritto continentale; ma le differenze sono molto profonde: nel mandato fiduciario infatti la proprietà dei beni appartiene solo formalmente al fiduciario, che si obbliga ad obbedire a tutte le disposizioni del fiduciante, ivi compreso l'eventuale ordine di restituzione degli stessi.
Nel trust invece il fiduciario è pieno proprietario del bene in trust vincolato nell'esercizio del proprio diritto dalle disposizioni contenute nell'atto di trust da esercitare nell'interesse del beneficiario. Il trustee può alienare, permutare, affittare, dare a garanzia i beni in trust (alle condizioni del disponente e se ciò è funzionale alle volontà espresse nell'atto di trust dallo stesso disponente). Rispetto ad un pieno proprietario egli non può distruggere la cosa (salva substantia rerum). La piena proprietà del trustee giustifica l'uso dello strumento ai fini di protezione e pianificazione successoria. Il contraltare della protezione del bene in trust è la compressione del diritto di proprietà subita dall'apposizione di un vincolo a tutela di interessi riconosciuti legittimi. Il trust dà garanzia di tutela giurisdizionale ad un rapporto di fiducia che tipicamente è fuori dal mondo delle leggi.
Si noti inoltre che il disponente (cioè l'originario pieno proprietario dei beni) può istituire in testamento il trust. Il trust ha pertanto molte più analogie con l'istituto del fedecommesso che con il mandato fiduciario.
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Soggetti coinvolti

Disponente[1] Persona fisica o giuridica che istituisce il trust e normalmente conferisce in esso i beni che costituiscono il fondo del Trust, detto settlor. Nella prassi il/i disponente/i operano un conferimento irrevocabile, cosicché i beni confluiscono nel fondo in via definitiva, uscendo dalla disponibilità materiale e giuridica (salvo riserve di usufrutto, possesso, ecc). Anche il controllo sull'operato del trustee è esercitato da soggetti diversi dal disponente(protector, beneficiario) così da scongiurare il rischio che il trust possa essere considerato simulato e quindi nullo, giacché in molte legislazioni il potere del disponente sul trust istituito è previsto di blanda portata.
Fiduciario[2] Il fiduciario, detto anche trustee, può essere, come visto, una persona fisica, un professionista di fiducia del disponente, o anche una persona giuridica come ad esempio un fondo pensione. L'atto costitutivo del trust disciplina gli obblighi e i diritti del fiduciario e, in caso di pluralità di fiduciari, i modi di soluzione delle controversie.
Beneficiario[1] Anche il beneficiario può essere una persona fisica o giuridica, un insieme di soggetti determinati anche genericamente e/o non ancora esistenti al momento della costituzione del trust, come spesso avviene nei trust costituiti a scopo benefico (es.: "i miei nipoti e pronipoti"; "i poveri del villaggio X"; "i minatori del pozzo n. 14").
Guardiano[1] Persona fisica, professionista di fiducia del disponente che garantisce la correttezza delle attività svolte dal fiduciario ed, eventualmente, di supplenza del trustee.
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Scopi
Riepilogo
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Vi sono tanti possibili utilizzi del trust quanti ne può immaginare la fantasia di un professionista. Il rapporto di trust è una via di mezzo tra una obbligazione ed una "proprietà speciale" (ma rimane preferibile la definizione di "intestazione qualificata") che può essere utilizzato per moltissimi motivi. Dire trust è come dire negozio giuridico. Lo scopo del trust deve potere essere sempre considerato meritevole secondo i principi dell'ordinamento giuridico di riferimento.
Tra gli usi più frequenti vi sono quelli motivati da:
- protezione dei beni: spesso il trust viene istituito a protezione di beni immobili; per esso non è infatti infrequente l'uso del termine "blindatura patrimoniale". Una delle caratteristiche più apprezzate del trust è infatti la segregazione del patrimonio conferito cosicché esso risulterà insensibile ad ogni evento pregiudizievole che coinvolge personalmente uno o più soggetti protagonisti del trust. Per questa sua utilissima caratteristica il trust viene sempre di più impiegato per separare e proteggere il patrimonio personale da quello aziendale o per tutelare tutti quei soggetti il cui patrimonio può essere compromesso da attività professionali rischiose (medici, avvocati, funzionari ecc.) o, semplicemente, da comportamenti personali avventati (gioco d'azzardo, uso di droghe e alcool ecc.).
- riservatezza: le disposizioni contenute nel trust possono essere riservate, e questo può essere un motivo sufficiente per la sua creazione; la riservatezza è riferita prevalentemente ai trust cd. 'opachi' (in Italia penalizzati dalla normativa fiscale), dove il trust può rappresentare un ottimo strumento di controllo di enti e società (di norma è impiegato all'estero in attività di ingegneria fiscale).
- tutela dei minori e dei soggetti diversamente abili: spesso, come visto, le disposizioni testamentarie prevedono che i minori abbiano un godimento limitato dei beni fino alla maggiore età o che i soggetti diversamente abili possano godere dei beni in trust senza esserne pieni proprietari;
- tutela del patrimonio per finalità successorie: di frequente un trust viene costituito allo scopo di tutelare un patrimonio nel passaggio generazionale o dallo sperpero ad opera di soggetti incapaci di amministrarlo, dediti al gioco o affetti da eccessiva prodigalità;
- beneficenza: in molti ordinamenti di common law gli enti di beneficenza debbono essere costituiti in forma di trust;
- forme di investimenti e pensionistiche: i piani di investimento pensionistici ed i fondi comuni sono derivazione dei trust fund anglosassoni;
- vantaggi di natura fiscale: un trust può dare vantaggi fiscali. Se il risparmio di imposta è l'unico motivo che ha spinto ad istituire un trust, può essere considerato illegittimo e sanzionato. Come qualsiasi istituto giuridico, l'uso elusivo od evasivo è contrario alle norme di legge e sanzionato.
- altro: il trust, come detto, è idoneo a realizzare una vasta molteplicità di scopi non facilmente enumerabili.
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La tassazione del Trust
Riepilogo
Prospettiva
A livello fiscale il trust soggiace all’applicazione delle imposte di successione e di donazione, previste nel Testo Unico del 31 ottobre 1990 n. 346. Con recente riforma, avvenuta con Decreto legislativo del 18 settembre 2024 n. 139, il TUSD, per la prima volta, menziona espressamente il trust tra gli istituti oggetto della normativa e chiarisce franchigie e aliquote applicabili:
- 4% in caso di trasferimento a favore di coniuge e parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente ad Euro 1.000.000,00;
- 6% in caso di trasferimento a favore di fratelli e sorelle sul valore complessivo netto eccedente ad Euro 100.000,00;
- 6% in caso di trasferimento a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta e collaterale fino al terzo grado;
- 8% in caso di trasferimento a favore di altri soggetti.
Viene poi specificato che in caso di trasferimento a favore di una persona con disabilità riconosciuta ai sensi dell’art. 3, comma 3 della Legge del 5 febbraio 1992 n. 104, le aliquote di cui sopra si applicano esclusivamente sull’eccedenza ad Euro 1.500.000,00.
Con la nuova disciplina, entrata in vigore il primo gennaio 2025, si è aperta la possibilità di scegliere se applicare l’ordinaria tassazione al momento dell’apporto dei beni al trust (“tassazione in uscita”) oppure la nuova ed opzionale tassazione al momento dell’arricchimento del beneficiario (“tassazione in entrata”).
Nel Regno Unito i trust sono strutture anonime ma soggette a tassazione. I trust del Liechtenstein, al contrario, non sono tassati. Il suo utilizzo per celare i beneficiari effettivi di somme di denaro proveniente da reato oltre ad essere perseguito penalmente è spesso inefficace e nelle giurisdizioni che conoscono il trust da secoli la casistica giurisprudenziale dimostra che esso non è utilizzato più di società di capitali, società anonime, Anstalt, Stiftung, od altre forme di enti fiduciari. Al contrario i più grandi patrimoni (come la corona inglese) sono in trust a dimostrazione che un istituto giuridico non ha di per sé una propensione all'illecito.
L'articolo 73 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, individua i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società (IRES).[3]
Tra questi sono inclusi anche i trust, ai quali viene riconosciuta una propria soggettività tributaria ai fini delle imposte dirette. Il legislatore considera rilevanti a tali fini sia i trust che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, qualificabili come enti commerciali residenti nel territorio dello Stato, sia quelli che non perseguono in via esclusiva o prevalente tale finalità e che pertanto rientrano nella categoria degli enti non commerciali residenti.
Lo stesso articolo contempla inoltre i trust commerciali e non che non risultano residenti nel territorio dello Stato, assoggettandoli a imposizione in relazione ai redditi prodotti nel territorio italiano.
Per quanto concerne le imposte indirette, al trust non può essere riconosciuta una propria soggettività passiva, come chiarito dalla Corte di Cassazione nel 2022.[4]
La conseguenza interpretativa è che il soggetto passivo d'imposta non deve essere individuato nel trust in quanto tale, bensì nell’operazione effettivamente posta in essere che consiste nell’apporto di beni, attività o somme di denaro al patrimonio del trust. Tale impostazione evidenzia come il trust non possa essere considerato un soggetto passivo unitario sotto il profilo delle imposte indirette.
Imposte sui redditi: trust trasparente, opaco e misto
Ai fini dell’imputazione del reddito del trust, la distinzione tra trust opaco e trust trasparente riveste un ruolo importante come evidenziato dalla Agenzia delle Entrate nella circolare n. 34/E del 2022 e come si evince dal comma 2 dell’articolo 73 del TUIR.[5]
Per quanto riguarda il trust trasparente, che si configura quando i beneficiari sono individuati, il reddito prodotto dal trust viene imputato direttamente a questi ultimi secondo il principio dell’imputazione per trasparenza e deve pertanto essere dichiarato nella relativa dichiarazione IRPEF. Affinché il beneficiario possa essere considerato effettivamente individuato, con conseguente applicazione del principio di trasparenza, è necessario che egli sia titolare di un diritto attuale sul reddito generato dal trust. In altri termini, deve trattarsi di un soggetto determinato o determinabile, legittimato ad esigere nei confronti del trustee l’assegnazione della quota di reddito a lui spettante.[6]
Diversamente, nel caso di trust opaco, ossia quando non si ravvisi l’individuazione di beneficiari titolari di un diritto attuale alla percezione del reddito, quest’ultimo rimane imputato al trust medesimo, il quale assume la qualifica di autonomo soggetto passivo d’imposta.[7] In tale ipotesi la tassazione avviene in capo al trust secondo le ordinarie regole previste dal Testo unico delle imposte sui redditi con riferimento alla natura dell’attività esercitata: qualora il trust svolga attività di tipo commerciale, si applicano le disposizioni in materia di reddito d’impresa; viceversa, nell’ipotesi di attività non commerciale, trova applicazione l’articolo 143 del medesimo testo normativo.
Nonostante la distinzione tra trust opaco e trust trasparente sia stata espressamente delineata dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 20 ottobre 2022, la prassi e la dottrina riconoscono l’esistenza di una figura intermedia, il cosiddetto trust misto.[8][9] Tale categoria riconosciuta in dottrina e nella prassi applicativa trova fondamento nella circolare n. 61/E del 27 dicembre 2010, nella quale si evidenzia l’ipotesi in cui solo una parte del reddito del trust venga attribuita ai beneficiari individuati, mentre la restante permanga nel patrimonio del trust stesso. In tal caso, si applicano congiuntamente i principi propri del regime di trasparenza, per la quota imputata ai beneficiari, e quelli del regime di opacità, per la parte di reddito trattenuta dal trust.[10]
Interposizione fittizia
Si configura un trust interposto quando il disponente non si priva concretamente della disponibilità dei beni conferiti e continua a esercitare su di essi poteri di gestione e di godimento, con l’obiettivo di beneficiare del regime impositivo che deriva dall’apparente trasferimento patrimoniale.[11] In coerenza con tale definizione, l’articolo 73, comma 3, del D.P.R. 600/1973[12] stabilisce che i redditi vengano attribuiti al disponente anche se, in apparenza, risultano intestati ad altri soggetti. Ciò avviene quando risulta provato, anche mediante presunzioni gravi, precise e concordanti, che il disponente è il reale possessore dei redditi, pur avvalendosi di un soggetto interposto. Tale principio è stato poi ulteriormente precisato ed elaborato dalla giurisprudenza e dall’Agenzia delle Entrate.
In merito, rileva la circolare n. 34/E del 2022 dell’Agenzia delle Entrate, che chiarisce come, in presenza di un trust interposto, non trovino applicazione le ordinarie regole previste per i trust opachi o trasparenti. In tali ipotesi il trust è considerato fiscalmente trasparente in senso assoluto, venendo di fatto ignorato ai fini tributari. I redditi prodotti sono pertanto imputati direttamente all’interponente, come se il trust non esistesse. Ne consegue che le successive attribuzioni di beni o somme ai beneficiari non generano nuovi redditi imponibili, poiché tali redditi sono già stati tassati così come confermato anche in una precedente risposta ad interpello del 2020.[13]
L'estensione dell'articolo 73 del TUIR ai trust ha trovato un ulteriore riscontro nella sentenza della Cassazione civile, sezione V, 10 aprile 2025, n. 9445. La Corte in continuità con quanto affermato nella circolare dell’Agenzia delle Entrate del 2022, ha ribadito che in materia fiscale assume rilievo non la forma giuridica dell’operazione ma la sua sostanza economica. Ciò che rileva è pertanto l’individuazione del soggetto che possiede effettivamente il reddito. Trattandosi di una valutazione di fatto, la prova del reale possessore può essere ricavata anche da elementi indiziari, quali la mancanza di autonomia gestionale del trustee, l’utilizzo dei beni da parte del disponente o il mantenimento del controllo dei conti e dei relativi proventi.[14]
Alla luce di tali principi, ciò che rileva non è la struttura formale del trust, ma la realtà sostanziale dei rapporti che esso sottende. Quando il disponente mantiene il controllo o il beneficio dei beni, il trust perde autonomia e viene considerato uno strumento interposto, con la conseguenza che i redditi sono imputati direttamente a chi ne ha la reale disponibilità. In questo modo il sistema fiscale mira a colpire la sostanza economica delle operazioni, evitando che il trust sia utilizzato come finzione per finalità elusive.
Imposte indirette del trust
Con la modifica dell’art. 1 del Testo Unico delle Successioni e Donazioni (TUS), la Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 16 aprile 2025 n. 3 ha stabilito che anche i trasferimenti derivanti da trust sono ora soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni [15] .
L’imposta sulle successioni e donazioni è un tributo previsto dal sistema fiscale italiano che colpisce il trasferimento di beni e diritti da una persona a un’altra, sia a titolo gratuito sia a titolo di morte. In altre parole, è l’imposta che lo Stato applica quando qualcuno riceve un patrimonio che non ha pagato direttamente, perché proviene da un defunto o perché gli è stato donato da un altro soggetto.
Ebbene, ad oggi è disposto che anche i beni trasferiti in un trust rientrano tra quelli tassabili. È necessario però affrontare alcune questioni fondamentali. Una di queste è:
Obbligo di pagamento
Tale questione rappresenta uno degli aspetti più problematici della disciplina fiscale dei trust in Italia. Nasce dal particolare assetto giuridico del trust, in cui i beni vengono formalmente trasferiti dal disponente al trustee, ma restano vincolati a una destinazione specifica nell’interesse di determinati beneficiari o per uno scopo determinato.
Il dubbio centrale è se il trasferimento dei beni al trustee, o la semplice istituzione del trust, costituiscano già un atto di liberalità imponibile, oppure se il presupposto sorga soltanto al momento dell’effettiva attribuzione dei beni ai beneficiari finali.
Sul punto si sono sviluppati diversi orientamenti. In un primo periodo, l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che l’atto di dotazione dei beni in trust realizzasse il presupposto dell’imposta di donazione, in quanto configurava un trasferimento di ricchezza potenzialmente definitivo dal disponente a un soggetto diverso. Secondo tale impostazione, infatti, il conferimento dei beni al trust comportava una segregazione patrimoniale assimilabile a un trasferimento di tipo liberale, anche se i beneficiari non acquisivano immediatamente la disponibilità dei beni. Questa impostazione è stata però oggetto di contestazione sia dottrinale che giurisprudenziale, poiché tassare un trasferimento al trustee appariva in contrasto con il principio di capacità contributiva, mancando un reale arricchimento. A partire dal 2016 la giurisprudenza di legittimità ha dunque progressivamente superato l’impostazione dell’Agenzia ritenendo che la costituzione o la dotazione del trust non realizzasse ancora il presupposto impositivo. Con la Cass. 21614/2016 [16] e alcune pronunce del 2018-2021, si è affermato più precisamente che il conferimento di beni in trust ha natura strumentale e transitoria, non comporta un arricchimento patrimoniale effettivo né un trasferimento definitivo di beni, e quindi non integra di per sè un presupposto per l’imposta di donazione. L’effettivo arricchimento si verifica soltanto quando i beni vengono trasferiti dal trust ai beneficiari finali. Questa visione è stata consolidata da numerose sentenze, tra cui le recenti Cass. n. 2334/2024 [17] e Cass. n. 5800/2023, 6080/2023, che hanno tutte ribadito la “neutralità fiscale” dell’atto [18].
Per qualche tempo l’Agenzia delle Entrate non ha condiviso tale impostazione e ha continuato a emettere avvisi di liquidazione richiedendo l’imposta al momento della dotazione, soprattutto seguendo il tenore letterale del D.L. 262/2006 [19] . Tuttavia, dopo le ripetute pronunce sfavorevoli della Cassazione e per garantire l’uniformità applicativa, l’Amministrazione ha cambiato posizione con la Circolare n. 34/E del 20 ottobre 2022. In essa ha recepito la giurisprudenza consolidata, chiarendo che l’istituzione del trust e la dotazione iniziale costituissero mero atto neutro, imponibile solo in misura fissa, e che l’atto di attribuzione ai beneficiari costituisse invece atto imponibile ai fini di donazione/successione.
Questo allineamento di prassi ha anticipato una vera modifica normativa avvenuta nel 2024. Con il d.lgs. 18 settembre 2024, n. 139 [20], entrato in vigore nel 2025, il legislatore della riforma fiscale ha introdotto una specifica disciplina di tassazione ai fini dell’imposta di donazione per i beni disposti in trust, stabilendo che l’imposta è di regola dovuta al momento dell’uscita dei beni a favore dei beneficiari (c.d. tassazione “in uscita”). Ad oggi, dunque, il criterio dell’effettivo arricchimento del beneficiario rappresenta il principio prevalente per individuare il presupposto dell’imposta di donazione nei trust, mentre l’atto istitutivo e la dotazione restano generalmente non imponibili.
Regola generale
La regola generale chiarita dalla Circolare del 16 aprile 2025, n. 3 è che l’imposta si applica al momento della distribuzione ai beneficiari, ossia quando questi si arricchiscono concretamente. Non è quindi il semplice conferimento dei beni nel trust a determinare la tassazione, ma il passaggio effettivo dei beni e dei diritti a chi ne beneficia.
Il ragionamento sottostante è fondato sul principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. che guida l’intero sistema tributario italiano: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Detto in altri termini, ciascun soggetto deve essere tassato in base al proprio reale arricchimento economico. Nel caso dei trust, solo il momento della distribuzione dei beni fa sì che il patrimonio entri effettivamente nella disponibilità dei beneficiari e comporti un aumento di ricchezza su cui applicare l’imposta.
Questo approccio evita anche il rischio della doppia imposizione, che si verificherebbe se si tassassero sia i beni conferiti nel trust sia quelli poi effettivamente distribuiti ai beneficiari. Così facendo, il sistema fiscale italiano mantiene coerenza con il principio che l’imposta deve colpire ciò che realmente aumenta la ricchezza del contribuente.
Eccezioni
Sebbene la regola generale prevede che l’imposta sulle successioni e donazioni scatti solo quando i beni del trust vengono effettivamente attribuiti ai beneficiari, esistono importanti eccezioni.
Innanzitutto, è stata disciplinata l’opzione della tassazione anticipata (c.d. tassazione in entrata) che prevede che il disponente (o il trustee nel caso di trust testamentario) possa optare per pagare l’imposta subito, in occasione di ogni conferimento di beni nel trust (o all’apertura della successione nel caso di trust istituito per testamento). La possibilità di optare per il regime della tassazione all’entrata è prevista dal terzo comma dell’art 4 bis del Tus [21] , introdotto dal d.lgs. 139/2024. Tale disposizione stabilisce che l’opzione anticipata può essere scelta in occasione di ciascun conferimento. Ciò significa che si tratta di un’opzione che non vincola il disponente per tutti i conferimenti, con la conseguenza che lo stesso potrebbe scegliere una soluzione “mista”, nel senso di optare per la tassazione in entrata solamente per alcuni beni, mentre per gli altri l’imposta sarebbe dovuta con le regole ordinarie al momento dell’uscita a favore dei beneficiari [22].
L’opzione per tassazione anticipata è poi concessa anche ai trust istituiti prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 139/2024.
Resta invece ferma la disciplina speciale prevista dalla L. 112/2016 (“Dopo di Noi”) per i trust e vincoli destinati a persone con disabilità grave. La norma riconosce che il trust può servire a tutelare e gestire nel tempo il patrimonio destinato al benessere della persona con disabilità. Per favorirne l’utilizzo, il legislatore prevede una serie di agevolazioni fiscali: i beni conferiti nel trust sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni e godono di benefici anche per quanto riguarda le imposte di registro, ipotecarie e catastali. La legge stabilisce però alcuni requisiti precisi: il trust deve avere come unica finalità la protezione della persona con disabilità; deve descrivere in modo chiaro i suoi bisogni, come verranno soddisfatti e quali responsabilità avrà il trustee. È anche previsto un sistema di controlli, così da garantire che il patrimonio sia gestito correttamente e nell’interesse del beneficiario [23].
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Omologie con la legge italiana
Riepilogo
Prospettiva
La mancanza, nel diritto civile italiano, di un sistema di norme equitative non è di ostacolo all'utilizzo del trust. L'istituto trova anzi legittimazione all'ingresso nell'ordinamento giuridico italiano a seguito dell'adesione dell'Italia alla Convenzione dell'Aja del 1º luglio 1985, resa esecutiva ed in vigore dal 1º gennaio 1992. Inoltre, con l'introduzione nel codice civile del nuovo articolo 2645-ter, è stato sancito che, mediante atto pubblico, determinati beni immobili e mobili registrati possono essere destinati “alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela” per una durata non superiore a novant’anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria D.L 30 dicembre 2005, n. 273, conv. in L. 23 febbraio 2006, n. 51. È così possibile costituire un vincolo di destinazione, che presenta alcune analogie con l'istituto del trust, anche se non piena identità con questo.
Sono ormai numerose le sentenze di tribunali italiani di vario grado che riconoscono gli effetti del trust, con particolare riguardo a quello cosiddetto interno, intendendosi per tale il trust che presenta quale unico elemento di estraneità rispetto all'ordinamento italiano la legge regolatrice, che deve essere necessariamente straniera (generalmente inglese), stante la mancanza nell'ordinamento italiano di norme specifiche in materia. Per la prima volta in Italia l'istituto è stato preso in considerazione sotto il profilo fiscale dalla legge finanziaria 2007 e da alcune circolari dell'Agenzia delle entrate, prima fra tutte la n.48/E del 2007, al solo fine di regolamentarne con chiarezza gli aspetti fiscali e tributari.
Nel diritto italiano l'istituto del trust può trovare ampia applicazione per le più varie finalità (gestioni fiduciarie, passaggi generazionali di beni ed aziende familiari, destinazioni di beni a finalità caritatevoli, protezione patrimoniale[24], ecc). I vantaggi sono evidenti soprattutto con riferimento alla flessibilità dell'istituto rispetto ai tradizionali e noti strumenti del diritto italiano nonché ai possibili vantaggi economici. Per questa sua caratteristica il trust bene si presterebbe ad un utilizzo di massa anche in sostituzione di strumenti giuridici più tradizionali e diffusi. Occorre tuttavia evidenziare l'attuale scarsa conoscenza del trust fra i giuristi italiani che non agevola il radicamento dell'istituto e la sua diffusione.
La legge comunitaria 2010 ha delegato il Governo (Capo II art. 11) a introdurre e a disciplinare nell'ordinamento giuridico italiano l'istituto del trust (fiducia). Il disegno di legge n 2284 presentato dal Ministro della giustizia Alfano (non ancora iniziato l'esame) delega il Governo ad apportare modifiche al codice civile in materia di disciplina della fiducia e del contratto autonomo di garanzia. La disciplina della fiducia ha lo scopo di colmare un vuoto del nostro sistema giuridico che – nonostante l'entrata in vigore della convenzione sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento (adottata a L'Aja il 1º luglio 1985, ratificata e resa esecutiva dalla l. 16 ott. 1989 n. 364) non contiene una completa disciplina positiva dell'istituto del trust. La legge comunitaria e il disegno di legge 2284 traggono ispirazione dal modello francese dell'istituto della "fiducie". La Francia infatti, tramite l'ordinanza nº 2009-112 del 2009 ha esteso alle persone fisiche e alle persone giuridiche non sottoposte all'imposta sulle società, la capacità di costituire una "fiducie", consentendo anche agli avvocati di rivestire la qualità di fiduciari. L'Italia, sulla scia della riforma francese, sta dunque cercando attraverso una propria normativa sul trust (fiducia) di attuare una modernizzazione e una maggiore attrattiva giuridica del proprio diritto interno[25].
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Coordinamento tra diritto civile e diritto tributario nel trust
Riepilogo
Prospettiva
L’introduzione del trust nell’ordinamento italiano, avvenuta tramite la Convenzione dell'Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, ratificata con la Legge 16 ottobre 1989, n. 364, ha posto numerose questioni interpretative legate al raccordo tra i principi del diritto civile e i criteri di imposizione previsti dal diritto tributario.
Profilo civilistico
Nel sistema di civil law la proprietà è configurata come diritto pieno ed esclusivo del titolare, ai sensi dell’articolo 832 del codice civile, e non ammette una separazione tra titolarità giuridica e destinazione funzionale del bene. La struttura del trust, articolata nelle posizioni del disponente, del trustee e dei beneficiari, introduce invece una logica dualistica fondata sulla segregazione patrimoniale. La giurisprudenza italiana ha costantemente affermato che il trust non possiede autonoma soggettività giuridica. Il patrimonio vincolato rimane formalmente intestato al trustee, che esercita i diritti sui beni unicamente secondo le finalità indicate nell’atto istitutivo. Tale principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione nella sentenza Corte di Cassazione sezione V nella sentenza n. 34075 del 23 dicembre 2024 La sentenza chiarisce, tra l'altro, che eventuali atti esecutivi non possono essere rivolti al trust, ma devono essere indirizzati al trustee, quale unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi.
Profilo tributario
La disciplina fiscale dei trust ha dato luogo a un ampio dibattito interpretativo, anche a causa dell’assenza di una normativa interna organica. In tema di imposte dirette, l’art. 73 del TUIR include espressamente i trust tra i soggetti passivi d’imposta, distinguendo tra trust commerciali, non commerciali e trust non residenti con redditi prodotti nel territorio dello Stato. Con riferimento alle imposte indirette, la Corte di cassazione ha stabilito che il trasferimento dei beni dal disponente al trustee non costituisce un presupposto impositivo, in quanto non realizza un arricchimento effettivo e stabile. Il conferimento dei beni è qualificato come atto meramente strumentale e transitorio, soggetto a imposizione in misura fissa. Le imposte proporzionali trovano invece applicazione al momento dell’attribuzione finale ai beneficiari, quando si verifica il reale incremento patrimoniale[26]. Tale orientamento è coerente con il principio di capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana. Le recenti circolari dell’Agenzia delle entrate si sono allineate alla giurisprudenza di legittimità, riconoscendo la neutralità fiscale dell’atto istitutivo e della dotazione patrimoniale, e individuando il momento impositivo nella distribuzione ai beneficiari[27].
Residenza fiscale e ulteriori problematiche applicative
Ulteriori profili interpretativi riguardano la residenza fiscale rilevante ai fini dell’imposizione. Poiché l’arricchimento si realizza soltanto con l’attribuzione ai beneficiari, assume rilievo la residenza di questi ultimi, piuttosto che quella del disponente. Il tema ha generato un articolato dibattito nella prassi e nella dottrina, soprattutto negli anni precedenti alla stabilizzazione dell’orientamento giurisprudenziale. Sono state inoltre prospettate analogie con istituti del diritto civile italiano, quali il mandato fiduciario o il patto di fiducia, per ricondurre il trust a schemi noti all’ordinamento interno. Tali ricostruzioni non risultano tuttavia pienamente sovrapponibili, in quanto tali istituti non prevedono una segregazione patrimoniale assimilabile a quella del trust.
Prospettive sistematiche
La progressiva convergenza della prassi amministrativa verso l’orientamento della giurisprudenza di legittimità ha ridotto le principali aree di incertezza. Tuttavia, dottrina e operatori evidenziano l’esigenza di un intervento legislativo organico volto a disciplinare in modo unitario l’istituto, al fine di garantirne una più coerente collocazione nel sistema civilistico e tributario italiano.
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Note
Bibliografia
Voci correlate
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