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L'invenzione della tradizione, così come la tradizione inventata, sono concetti introdotti nel 1983 con la pubblicazione di un libro, oggi divenuto un classico[1], curato da Eric Hobsbawm e Terence Ranger, The Invention of Tradition, edito per la Cambridge University Press. Il libro è strutturato come una silloge coordinata e multidisciplinare di casi di studio, esposti da storici e antropologi[2], e preceduti da un'introduzione teorica.
Nel saggio introduttivo, Hobsbawm ipotizza che molte «...tradizioni che ci appaiano, o si pretendono, antiche hanno spesso un'origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta»[3]. L'invenzione, molto spesso, è il frutto di un singolo atto volitivo o avviene attraverso un più articolato processo creativo che si realizza, comunque, in un breve arco di tempo.
Le "tradizioni inventate" sono spesso l'elaborazione di una risposta a tempi di crisi, a epoche di rapido cambiamento sociale, alla necessità di fronteggiare nuove situazioni; il richiamo al passato serve allora per acquistare a se stesse una forma di legittimità.
Secondo la definizione di Hobsbawm,
Invenzioni di questo tipo ricorrerebbero con tale frequenza nel corso della storia che, a dire dell'autore, «...non esiste probabilmente un'epoca o un luogo di cui gli storici si siano occupati che non abbia assistito all'"invenzione" di una tradizione intesa in questo senso»[5].
Le invenzioni sembrano appartenere a tre gruppi, in base alla funzione sociale assolta:
Si tratta di tre aree in parte sovrapposte, dal momento che, ad esempio, la prima funzione è spesso ritenuta in grado di affermare e implicare le rimanenti due[6].
Gli autori distinguono l'"invenzione" di tradizioni, nel senso descritto, da un differente processo, consistente nel far "partire" o "dare principio" a una nuova tradizione, senza però rivendicarne antiche origini. Il fenomeno dell'invenzione, per gli autori, è particolarmente chiaro nello sviluppo moderno della nazione e del nazionalismo.
A volte è immediato individuare una tradizione inventata, come è il caso dei boy-scout che, per quanto inventata da Robert Baden-Powell e dai primi gruppi scout ad inizio '900, non affermava o avocava a sé antiche origini, o anche le cerimonie solenni che costellano la vita pubblica dei vari stati, ma spesso è più difficile comprendere la nascita di una tradizione inventata quando essa si mostra a prima vista in maniera informale, in cerchie private, o quando si innesta su una tradizione anteriore. Infatti, a fianco di invenzioni di vasta portata, Hobsbawm avverte dell'esistenza di innovazioni inventive della tradizione che agiscono su piccola scala e si rivelano in maniera meno plateale[5]. In altri casi, si tratta di adattamento di vecchie tradizioni a nuovi scopi[7]. In altri casi, l'invenzione del nuovo passa attraverso la riproposizione di vecchie tradizioni, tanto da potersi parlare, in questo caso, di una "reinvenzione" della tradizione[8].
Un'implicazione del concetto è che anche la netta distinzione tra "tradizione" e "modernità" è spesso essa stessa frutto di "invenzione". Il concetto è «...assai pertinente all'innovazione storica relativamente recente, la "nazione", con i fenomeni a essa associati: nazionalismo, stato-nazione, simboli nazionali, storie, e così via». Hobsbawm e Ranger commentano sul curioso ma incomprensibile paradosso: le nazioni moderne e tutto il loro apparato, rivendicano di essere all'opposto del romanzo, cioè radicate nella più remota antichità, e l'opposto del costruito, vale a dire comunità umane così naturali da non richiedere altra definizione se non la semplice auto-asserzione[9].
Un'altra implicazione riguarda l'"autenticità", un concetto che, se considerato nell'ottica dell'"inventiva", risulta anch'esso da mettere in discussione.
Un'importante implicazione riguarda il mestiere dello storico: essa tocca l'oggetto della sua ricerca e il senso stesso del suo lavoro, investendo, più in generale, il tema profondo del rapporto dell'uomo con il proprio passato: poiché la funzione di compattamento e di consolidamento della coesione sociale assolta dal processo di invenzione della tradizione fornisce legittimazione all'agire di un gruppo, e poiché la tradizione inventata fa appello alla storia per avocare su di sé una forma di legittimità, ne consegue che gli storici stessi, con il loro incessante "creare, demolire e ristrutturare immagini del passato", partecipano, anche inconsapevolmente, a delineare il retroterra a cui l'invenzione della tradizione potrà attingere e fare riferimento.
Gli storici contemporanei devono quindi avere consapevolezza del fatto che, indipendentemente dalla loro volontà e dagli obiettivi che essi si prefiggono, i loro risultati non rimangono confinati al loro settore scientifico ma finiranno per incidere anche sulla "sfera pubblica dell'uomo in quanto essere politico", prestandosi pertanto a ogni uso politico e strumentale[10].
Peter Burke ha notato che «..."invenzione della tradizione" è una frase splendidamente sovversiva...» che tuttavia «...nasconde gravi ambiguità». Hobsbawm «contrasta le tradizioni inventate con quella che egli chiama "la forza e l'adattabilità delle tradizioni genuine". Ma dove finisce la sua adattabilità (o la flessibilità della sua collega Ranger) e dove comincia l'invenzione? Dato che tutte le tradizioni si evolvono, è possibile o utile tentare di discriminare le antiche "genuine" dalle false?»[11] Un altro recensore ha anche apprezzato l'alta qualità degli articoli, esprimendo però qualche riserva: «Tali distinzioni [tra tradizioni inventate e autentiche, n.d.r.], si risolvono tutte, in definitiva, in quella tra genuino e spurio, una distinzione che può essere insostenibile dal momento che tutte le tradizioni (al pari di ogni fenomeno simbolico) sono creazioni umane ("spurie") piuttosto che dati di natura ("genuine").»[12] Quest'ultima affermazione è però essa stessa spuria in quanto il "dato di natura" è comunque una convenzione dell'uomo, del punto di vista antropocentrico, e se quindi si vuole percorrere questa strada fino in fondo essa non porta che all'assurdo visto l'impossibilità dell'uomo di "autoespungersi" dal processo analitico: in sostanza la costante "uomo", e in particolare tra le altre proprio la Tradizione di appartenenza dell'"osservatore umano", è incomprimibile e non sottraibile da qualunque equazione, inquinando irrimediabilmente il "dato". Rimane infine l'ipotesi, teorizzata ad esempio in alcuni studi sui Simboli e sulla psicologia ad orientamento transpersonale, che le Tradizioni abbiano natura numinosa e come tale trascendentale, come oppure fenomeni rilevati empiricamente attinenti allo psichismo o super-conscio personale o sub-conscio collettivo, aderendo quindi in ultima analisi al campo del non investigabile scientificamente come è per le radici del Sacro[senza fonte].
Sia il termine sia il concetto sono stati applicati a una vasta gamma di fenomeni culturali, che spaziano dalla Bibbia e il sionismo[13] alle arti marziali del Giappone[14], al "mito delle Highlands" in Scozia[15][16], alle tradizioni delle religioni maggiori[17], solo per menzionarne alcune. Il concetto ha esercitato la sua influenza sull'uso di paradigmi correlati, come le "comunità immaginate" di Benedict Anderson[18] e il cosiddetto effetto pizza.
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