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Caveja

Simbolo derivante da un antico attrezzo agricolo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Caveja
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La caveja è considerata per eccellenza il simbolo della Romagna; il termine proviene dalla tradizione contadina, ed indica un'asta di ferro battuto terminante in alto in una piastra ("pagella") decorata con anelli e immagini allegoriche.
Il termine corrispondente in italiano è "cavicchia" o "cavicchiolo", in riferimento alla sua forma tipica e al suo utilizzo.

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Caveja in ferro battuto.

Funzione e utilizzo

Riepilogo
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Coppia di buoi addobbati a festa. Sopra le teste degli animali si nota la caveja romagnola (8 gennaio 1930).

Quando l'aratura e il traino dei carri avvenivano tramite vacche o buoi, gli animali erano sempre uniti a coppie tramite il giogo (in romagnolo e' zov oppure e' zog). Questo attrezzo, ricavato da un robusto pezzo di legno sagomato, veniva posizionato sul collo delle bestie e fissato, tramite apposite cinghie, alle corna. Il giogo, oltre ad essere provvisto di un sottogola, che non permetteva spostamenti laterali, al centro disponeva di un'apposita asola (in ferro o legno rinforzato con staffe di ferro), nella quale veniva inserito il timone (del carro o di antichi aratri), solitamente in legno. Per accoppiare il giogo al timone si utilizzavano lunghi perni. In origine i perni, o cavicchioli, erano in legno duro: bosso, acacia o sorbo. Successivamente, considerata la poca resistenza e la facile usura del legno, il cavicchiolo (cioè la caveja) venne sostituito da perni in metallo. La caveja veniva inserita, rispetto al giogo, in obliquo inclinata in avanti come appare anche nella rappresentazione tipica del simbolo della Romagna.

La caveja serviva quindi per assicurare il traino dell'attrezzo, oppure per frenarlo: in un tratto di terreno discendente, il carro avrebbe acquistato velocità e sarebbe finito addosso ai buoi, colpendoli sulle gambe. In questi casi, l'unica cosa che succedeva era che il giogo si sporgeva improvvisamente in avanti e colpiva le robuste corna degli animali, senza causare dolore.

Gli elementi costitutivi della caveja sono quattro:

  1. Fermo
  2. Stelo
  3. Pagella
  4. Anelli

L'asta metallica («stelo») è lunga 12-13 cm. Alla sua base vi è il fermo: è quasi un prolungamento dello stelo ed è più sottile. Esso svolge la funzione più propriamente tecnica, di vero attrezzo agricolo, della caveja. Infisso nel timone del carro, tiene fermo il giogo in modo che non scivoli indietro. Risalendo lungo il fermo si giunge allo stelo, che termina al colletto della pagella. Su di esso battono gli anelli della caveja. Tipicamente gli anelli hanno una forma circolare. Il loro spessore varia da zona a zona. Gli anelli sono infilzati in fori appositi, dai quali restano isolati grazie a guarnizioni di tela grezza e di cuoio, che vengono legate a piccoli fori (disposti intorno a quello principale) con qualche filo di ferro[1].
La pagella è la parte ornamentale della caveja. Essa è saldata a fuoco allo stelo ed è poi variamente traforata o incisa a bulino, con rappresentazioni simboliche di vario genere. I simboli più diffusi, inseriti fra elementi decorativi, sono quelli del gallo, della mezzaluna, del Sole, dell'aquila e alcuni simboli cristiani, tra cui la Croce e la Colomba.

Normalmente le caveje erano rudimentali pezzi di ferro, provvisti di un semplice anello in ferro, con la funzione di aiutare lo sgancio dal timone. L'anello, con l'ondeggiare dei buoi, emetteva un ritmico tintinnio e i contadini chiesero ai fabbri di creare caveje provviste di più anelli in acciaio forgiato. Nacque così la caveja daglj anël, che nel forlivese e nel ravennate fu chiamata caveja cantarëna[2] (caveja canterina). La caveja cantarëna segnalava per le vie di campagna l'arrivo del carro.

Durante le fiere o le sagre di paese, invece la sua funzione era quella di attirare l'attenzione. In queste occasioni si faceva a gara a chi avesse la caveja più bella o che emetteva il suono più armonico. Il giorno della fiera la famiglia si alzava alle tre del mattino, prima ancora del canto del gallo. Ognuno aveva il suo compito. C'era chi pesava e caricava la merce sul plaustro. L'azdora andava a prendere nella cassapanca le coperte stampate in color ruggine, per metterle sul dorso dei buoi. Poi ungeva gli zoccoli e le corna con lo strutto, o con olio vergine, per lucidarli e strofinava della farina bianca sulla pelle degli animali per ottenere il bianco più pulito. Infine, poneva attorno alle corna delle collane infiocchettate di lana colorata e al collo appendeva delle campanelle. Da parte sua l'azdor, il capofamiglia, indossava i vestiti “buoni”, si avvolgeva nella caparëla grigia e indossava la tradizionale galofa bianca. Poi apriva la madia ed estraeva la caveja con le anelle. Uscito sull'aia piantava la caveja sul timone del plaustro con un gesto sicuro. Quando i contadini arrivavano ai mercati delle fiere si riconosceva il luogo di provenienza da un particolare ben preciso, cioè delle collane infiocchettate: erano di colori diversi a seconda della località di provenienza. Forlì era rappresentata dai colori rosso e bianco, Cesena bianco e nero, Ravenna giallo e rosso, Lugo rosso e verde, e così via[1].

Agli inizi del Novecento Aldo Spallicci elevò la caveja a simbolo della Romagna[3]. Nel 1912 il medico bertinorese pubblicò la raccolta poetica La Caveja dagli anëll; da allora la caveja uscì dal ristretto ambito rurale ed entrò a far parte del mondo letterario. Negli anni 1930 Francesco Balilla Pratella estese la sua importanza al mondo della musica e dei canterini romagnoli[4].

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Simbolismo

Con il passare del tempo, le forti tradizioni scaramantico-religiose fecero sì che la caveja assumesse nella cultura popolare il ruolo di oggetto magico, con proprietà propiziatorie. Frequente era il suo uso infatti in rituali specifici – ad esempio – per scongiurare l'arrivo di temporali o altre intemperie, per proteggere i campi e il raccolto, per prevedere il sesso dei nascituri, per attirare o catturare le api, o perfino per liberare qualcuno che si ritenesse colpito da una "fattura"; inoltre veniva impiegata, sempre a fini propiziatori, nelle case degli sposi novelli. Durante la Settimana Santa, inoltre, gli anelli della caveja venivano legati dal giovedì fino al sabato Santo, come avveniva per le campane delle chiese.

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La caveja oggi

La caveja vera e propria oggi viene utilizzata solo nei cortei storici in cui si attacca ancora il giogo con i buoi al carro.
Inoltre è molto diffuso il suo utilizzo come raffigurazione. Molte imprese romagnole (in modo particolare – ma non soltanto – quelle prettamente legate al territorio, come ad esempio ristoranti, alberghi o attività artigiane), adottano come proprio logo la stessa caveja, oppure un suo particolare o una sua rielaborazione grafica.

Galleria d'immagini

Note

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

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