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Interazione gravitazionale

interazione fondamentale della natura Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Interazione gravitazionale
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L'interazione gravitazionale (o gravitazione o gravità nel linguaggio comune) è una delle quattro interazioni fondamentali note in fisica.

Disambiguazione – "Forza di gravità" rimanda qui. Se stai cercando il romanzo di Tess Gerritsen, vedi Forza di gravità (romanzo).
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I pianeti del sistema solare orbitano intorno al Sole mediante la forza di gravità (l'immagine non è in scala).

Nella fisica classica newtoniana, la gravità è interpretata come una forza conservativa di attrazione a distanza agente fra corpi dotati di massa, secondo la legge di gravitazione universale. La sua manifestazione più evidente nell'esperienza quotidiana è la forza peso.

Nella fisica moderna, l'attuale teoria più completa, la relatività generale, interpreta l'interazione gravitazionale come una conseguenza della curvatura dello spaziotempo creata dalla presenza di corpi dotati di massa o energia. Una piccola massa a grande velocità o una grande massa in quiete hanno lo stesso effetto sulla curvatura dello spaziotempo circostante. Il campo gravitazionale che ne deriva è rappresentato matematicamente da un tensore metrico, legato alla curvatura dello spaziotempo attraverso il tensore di Riemann. In questo ambito la forza peso, in particolare quella usuale che sperimentiamo in prossimità della superficie terrestre, è una forza apparente, conseguenza della geometria dello spaziotempo indotta dalla massa della Terra.

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Storia

Riepilogo
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Benché l'umanità possieda da sempre il concetto empirico di "gravità", cioè di tendenza degli oggetti a cadere "verso il basso", nella tradizione occidentale si possono far risalire ad Anassimandro (VI secolo a.C.) le prime riflessioni innovative sulla sua natura. Secondo quanto si può ricostruire dai frammenti pervenutici, per Anassimandro il mondo, che ha la forma di un disco, non poggia su alcuna base, ma sta sospeso nello spazio. Esso non "cade" poiché tutte le direzioni sono equivalenti e non ne ha una verso cui cadere preferenzialmente. In altri termini, il "basso" è riferibile solo rispetto alla Terra. Sembra che Anassimandro abbia dunque superato per la prima volta l'idea di un "basso assoluto", concependo il "basso" come relativo: sull'altra faccia del disco il "basso" corrisponderebbe al nostro "alto". Si tratta di un passo fondamentale, benché controintuitivo, alla comprensione della natura della gravità[1].

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La visione antica dell'universo prevedeva quattro cerchi sublunari (terra, acqua, aria, fuoco) sui quali agiva la gravità terrestre, e nove cerchi di sostanza eterea (Luna, Venere, Mercurio, Sole, Marte, Giove, Saturno, Stelle fisse, Primo mobile) sospesi in alto e rivolti alla suprema Intelligenza motrice.

Le prime spiegazioni di una forza agente capace di aggregare i corpi vennero formulate, nella filosofia greca, all'interno di una visione animistica della natura, come nella dottrina di Empedocle, in cui domina l'alternanza di due princìpi, Amore e Odio, o in quella di Anassagora, dove prevale l'azione ordinatrice di una Mente suprema (Nous)[2]. Platone riteneva che la materia fosse pervasa da una dynamis, cioè un'energia intrinseca, che spinge il simile ad attrarre il simile[2].

Aristotele condusse un'estesa trattazione della gravità. Secondo Aristotele, sulla scia di filosofi precedenti, il mondo terrestre è interamente costituito da quattro elementi (fuoco, aria, acqua e terra), che tendono spontaneamente al proprio luogo naturale; la terra è attratta verso il centro della Terra, e l'acqua ha come luogo naturale una sfera che circonda la terra, mentre aria e fuoco si dispongono intorno a questa raggiungendo la sfera dell'aria e, di seguito, la sfera del fuoco; gli oggetti del mondo terrestre sono formati da una commistione dei quattro elementi e tendono verso il basso o verso l'alto a seconda degli elementi componenti[3]; la velocità di un oggetto in caduta è proporzionale al suo peso[4]. Movimenti "innaturali" sono ovviamente possibili ma richiedono una forza. Inoltre, una forza continua è necessaria per mantenere in moto un corpo, il quale rimane altrimenti fermo o tende al proprio luogo naturale[5]. Secondo Aristotele è invece diversa la natura dei corpi celesti, i quali, a partire dalla Luna, sembrano non essere soggetti ad alcuna mutazione e si muovono con moti circolari intorno alla Terra: egli li considera formati da un quinto elemento non soggetto ad alcuna forma di gravità[6]. Il moto dei corpi celesti è fornito da un Motore immobile, che conferisce movimento senza esso stesso essere mosso da alcunché[7]. Per spiegare i movimenti irregolari di alcuni astri (come le retrogradazioni planetarie), egli adottò il sistema delle sfere omocentriche di Eudosso di Cnido[8]. Nella concezione di Aristotele è dunque presente una netta distinzione fra mondo terrestre (sublunare) e mondo celeste.

Contrariamente a quanto a volte sostenuto, il pensiero di Aristotele non venne universalmente accettato nel mondo antico, e durante l'Età ellenistica si svilupparono teorie alternative della gravità e del moto dei corpi. Stratone di Lampsaco riteneva ad esempio che i corpi lasciati cadere accelerassero, adducendo come prova l'osservazione di un filo d'acqua in caduta libera, che si spezza in gocce[9]: probabilmente aveva notato che questo si restringe progressivamente fino a spezzarsi, ma la quantità di acqua non diminuisce, quindi la velocità deve aumentare (il flusso è costante). Lucrezio affermò d'altra parte che oggetti diversi cadono con velocità diverse a causa della resistenza del mezzo, mentre nel vuoto avrebbero la stessa velocità[10]. Vitruvio invece sosteneva che la gravità di un oggetto non dipendesse dal suo peso, ma dalla sua natura, adducendo come prova il fatto che una pietra, per quanto pesante, galleggia sul mercurio, a differenza dell'oro, che invece affonda per quanto leggero sia[11].

In astronomia fu superata la teoria delle sfere omocentriche a favore di modelli più accurati basati sugli epicicli o sull'eccentrico. Aristarco di Samo propose invece la prima teoria eliocentrica. Questi modelli, probabilmente, si limitavano a rendere conto dei fenomeni celesti da un punto di vista cinematico, ma furono forse sviluppate anche teorie dinamiche basate proprio sulla gravità: passi di Plinio[12] e Seneca[13] suggeriscono che forse esistevano teorie eliocentriche in cui il Sole e i pianeti si attraggono reciprocamente, e in base alle quali un pianeta non procede in linea retta ma è "costretto" dal Sole a curvare la propria traiettoria[14]. Inoltre Plutarco, nel dialogo Sul volto della luna, riporta l'idea che anche il Sole e la Luna, come la Terra, attraggano a sé le parti che li costituiscono[15]. Nel dialogo compare anche l'analogia tra il moto della Luna intorno alla Terra e quello di una pietra fatta roteare in una fionda[16]. Anche l'astronomo Ipparco si occupò della gravità nell'opera Sui corpi spinti in basso dal proprio peso, perduta[17]. In età ellenistica, forse per influsso del pensiero stoico, vennero studiate anche le maree. L'astronomo Seleuco di Seleucia, che secondo Plutarco aveva dimostrato l'eliocentrismo[18], ipotizzò che fossero dovute ad un'interazione tra Terra e Luna[19]. Plinio riporta l'idea che non solo la Luna, ma anche il Sole avrebbe un effetto sulle maree[20].

A partire dall'età imperiale si imposero progressivamente platonismo e aristotelismo come uniche scuole di pensiero. Già Tolomeo (II secolo) accettò una visione geocentrica aristotelica. Queste scuole di pensiero, durante il periodo tardoantico e poi nel Medioevo, si fusero con la teologia cristiana e islamica. Per la dottrina neoplatonica il cosmo è animato dal Logos divino, dal quale le stelle e i pianeti risultano attratti: in ottica cristiana il loro movimento veniva spiegato in particolare con l'azione di intelligenze motrici, ordinate gerarchicamente in un coro di angeli. Divenne naturale anche l'associazione tra Dio e il Motore immobile, evidente ad esempio nell'ultimo verso della Commedia di Dante[21] . Comunque, diversi pensatori nel corso dei secoli suggerirono correzioni alle teorie aristoteliche. Giovanni Filopono, commentatore di Aristotele vissuto nel VI secolo, affermò che la velocità dei corpi in caduta non è proporzionale al peso, bensì quasi identica per corpi diversi[22], e introdusse una teoria dell'impeto, per cui un corpo può muoversi anche in assenza di una forza grazie ad un impeto impresso che viene progressivamente dissipato. Questa teoria fu valorizzata e modificata, tra gli altri, da Avicenna e Giovanni Buridano[23].

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La nuova visione eliocentrica dell'universo in auge durante la Rivoluzione scientifica

Tra Cinquecento e Seicento nuovi studi misero in crisi la visione aristotelica del moto. Domingo de Soto affermò che i corpi in caduta libera accelerano[24], e Stevino chiarì che due corpi di diverso peso arrivano a terra nello stesso tempo[25], al netto di resistenze del mezzo. Queste idee si affermarono definitivamente con Galileo, grazie agli esperimenti sui gravi e sui piani inclinati. Galileo comprese che i gravi sono accelerati dalla forza di gravità con un valore indipendente dal loro peso e che la distanza percorsa da un grave in caduta è proporzionale al quadrato del tempo trascorso[26], e introdusse in forma embrionale il principio di inerzia, secondo cui un corpo permane nel proprio stato di quiete o anche di moto in assenza di forze e di attriti[27].

In astronomia, la diffusione dell'eliocentrismo ad opera di Copernico portò ad una generale revisione del sistema aristotelico-tolemaico e furono formulate varie teorie per spiegare, a livello dinamico, perché i pianeti orbitassero intorno al Sole. Già Copernico ipotizzò che la gravità non fosse propria solo della Terra, ma anche degli altri corpi celesti[28]. Keplero scoprì empiricamente le tre leggi che portano il suo nome, le più accurate mai elaborate fino ad allora, che, anche se non subito accettate da tutti, avrebbero segnato il definitivo superamento del modello tolemaico. Keplero credeva che il Sole muovesse i pianeti con una specie di forza magnetica[2]. Pensava inoltre che corpi "simili" potessero attrarsi reciprocamente, e che questo fosse il caso della Terra e della Luna, come si evincerebbe dalle maree[29]. Descartes, convinto eliocentrico ma contrario a speculazioni basate su forze che agiscono a distanza, introdusse la teoria dei vortici, secondo cui i pianeti sono trascinati intorno al Sole da vortici di materia, e la loro naturale tendenza a procedere in linea retta (principio di inerzia) è contrastata da una forza centrifuga del vortice. Anche le maree sarebbero spiegabili in quest'ottica. Leibniz e Johann Bernoulli tentarono in seguito di dedurre le leggi di Keplero da questa teoria, ma senza riuscirci[30]. Nel frattempo prendevano piede nuove idee sull'interazione attrattiva tra i corpi: Giovanni Alfonso Borelli affermò che i pianeti sono attratti dal Sole, così come i satelliti sono attratti dai propri pianeti, ma che non cadono perché una forza centrifuga bilancia l'attrazione[31]. Ismael Boulliau propose che la forza di gravità diminuisse con il quadrato della distanza[32]. Nel 1674 Robert Hooke presentò una teoria in cui i corpi si muovono in linea retta in assenza di forze e i pianeti sono attratti gli uni dagli altri con una forza che decresce con la distanza. Non fornì però una trattazione matematica dei moti planetari[33].

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Isaac Newton

Newton fece della massa, cioè della quantità di materia (data dal volume per la densità) il concetto fondamentale della meccanica gravitazionale:[2] quanto più è grande la massa di un corpo, tanto più potente è la sua forza di gravità.[34] Newton capì che la stessa forza che causa la caduta di una mela sulla Terra mantiene i pianeti in orbita attorno al Sole, e la Luna attorno alla Terra. Egli così riabilitava in parte le concezioni astrologiche di Keplero:

«L'astrologia, pur abbandonando il politeismo, aveva continuato non soltanto ad attribuire un significato magico ai vecchi nomi divini, ma anche poteri tipicamente divini ai pianeti, poteri che essa trattava come "influssi" calcolabili.

Non ci si deve stupire del fatto che essa venisse rifiutata dagli aristotelici e da altri razionalisti. Essi però la rifiutarono per i motivi in parte sbagliati e andarono troppo oltre nel loro rifiuto.

[...] La teoria newtoniana della gravitazione universale mostrò non solo che la Luna poteva influenzare "eventi sublunari" ma,[35] oltre a ciò, che alcuni corpi celesti superlunari esercitavano un influsso, un'attrazione gravitazionale, sulla Terra, e quindi sugli eventi sublunari, in contraddizione con la teoria aristotelica. Perciò Newton accettò, consapevolmente anche se con riluttanza, una dottrina che era stata rifiutata da alcuni dei migliori cervelli, Galileo incluso.»

Nel libro Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, del 1687, Newton enunciò pertanto la legge di gravitazione universale, che dimostrò con il «metodo delle flussioni», un procedimento analogo alla derivazione. In seguito Huygens, nel suo Horologium oscillatorium, chiarificò la natura delle forze centrifughe che impediscono ai pianeti di cadere sul sole pur essendone attratti.[2]

Restava aperto tuttavia il problema di spiegare l'azione a distanza tra i corpi celesti, priva di contatto materiale, al quale verrà data una soluzione soltanto ai primi del Novecento da parte di Einstein, che sostituì l'etere con la tessitura dello spazio-tempo.[36]

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La gravitazione in fisica classica

Riepilogo
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Lo stesso argomento in dettaglio: Meccanica newtoniana.

In meccanica classica l'interazione gravitazionale è generata da un campo vettoriale conservativo e descritta da una forza, detta forza peso, che agisce sugli oggetti dotati di massa.

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Attrazione gravitazionale tra due corpi
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Illustrazione dell'effetto fionda gravitazionale: l'oggetto più piccolo esce dall'incontro con una velocità superiore a quella che aveva inizialmente, a spese dell'oggetto più grande.

La legge di gravitazione universale

Lo stesso argomento in dettaglio: Legge di gravitazione universale.

La legge di gravitazione universale afferma che due punti materiali si attraggono con una forza di intensità direttamente proporzionale al prodotto delle masse dei singoli corpi e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Questa legge, espressa vettorialmente, diventa:

dove è la forza con cui l'oggetto 1 è attratto dall'oggetto 2, è la costante di gravitazione universale, che vale circa , e sono le masse dei due corpi, è il vettore congiungente i due corpi (supposti puntiformi) e è il suo modulo; nella seconda espressione della forza (che evidenzia il fatto che il modulo della forza è inversamente proporzionale al quadrato della distanza) rappresenta il versore che individua la retta congiungente i due punti materiali.

Definito il vettore accelerazione di gravità:

la legge di gravitazione universale può essere espressa come:

In prossimità della superficie terrestre il valore di è convenzionalmente:

anche espressa in newton su chilogrammo.

Il campo gravitazionale

Lo stesso argomento in dettaglio: Campo gravitazionale.

Il campo gravitazionale è un campo di forze conservativo. Il campo generato nel punto nello spazio dalla presenza di una massa nel punto è definito come:

dove è la costante di gravitazione universale e la massa. È quindi possibile esprimere la forza esercitata sul corpo di massa come:

L'unità di misura del campo gravitazionale nel Sistema internazionale è:

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L'accelerazione di gravità in una stanza: la curvatura terrestre è trascurabile e quindi il vettore è costante e diretto verso il basso.

Il campo gravitazionale è descritto dal potenziale gravitazionale, definito come il valore dell'energia gravitazionale rilevato da una massa posta in un punto dello spazio per unità di massa. L'energia gravitazionale della massa è il livello di energia che la massa possiede a causa della sua posizione all'interno del campo gravitazionale; pertanto il potenziale gravitazionale della massa è il rapporto tra l'energia gravitazionale e il valore della massa stessa, cioè:

Essendo il campo gravitazionale conservativo, è sempre possibile definire una funzione scalare il cui gradiente, cambiato di segno, coincida con il campo:

Campo gravitazionale in vicinanza della superficie terrestre

Lo stesso argomento in dettaglio: Accelerazione di gravità e Campo gravitazionale terrestre.

Nel precedente paragrafo si è detto che il valore medio dell'accelerazione di gravità nei pressi della superficie terrestre è stimato in . In realtà questo valore è diverso da quello reale perché non tiene conto di fattori, come la forza centrifuga causata dalla rotazione terrestre e la non perfetta sfericità della terra (la terra ha la forma di un geoide). Il valore convenzionalmente assunto è quindi , deciso nella terza CGPM nel 1901 e corrisponde all'accelerazione subita da un corpo alla latitudine di .

Per molte applicazioni fisiche e ingegneristiche è quindi utile utilizzare una versione approssimata della forza di gravità, valida nei pressi della superficie terrestre:

dove è un versore diretto lungo la verticale.[37] In sostanza la forza di gravità è approssimata con una forza di modulo costante, indipendente dalla quota del corpo, e come direzione il basso, nel senso comune del termine. Naturalmente anche in questa approssimazione corpi con masse diverse hanno la stessa accelerazione di gravità.

L'energia potenziale gravitazionale è data da:

dove è la quota del corpo rispetto a un riferimento fisso.

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Una palla inizialmente ferma in caduta. La sua quota varia con il quadrato del tempo.

In questo caso approssimato è molto semplice ricavare le leggi del moto, mediante integrazioni successive: per un corpo in caduta libera, chiamando z l'asse verticale (sempre diretto verso il basso) e proiettando il moto su di esso, valgono le seguenti leggi:

Inoltre, dalla conservazione dell'energia meccanica si ottiene un risultato notevole per corpi in caduta libera inizialmente fermi. Scriviamo l'energia meccanica del sistema a un tempo generico:

dove è la velocità del corpo e la sua quota. Supponiamo ora che all'istante iniziale il corpo si trovi a una quota e all'istante finale abbia una velocità e si trovi a quota ; scriviamo quindi l'energia del sistema ai due istanti:

Dato che l'energia meccanica si conserva possiamo uguagliare le due ultime equazioni e ricavarci il modulo della velocità dopo una caduta di una quota :

Il problema generale della gravitazione

Il problema generale della gravitazione, cioè la determinazione del campo gravitazionale creato da un insieme di masse, si può esprimere con il teorema di Gauss e il teorema della divergenza. Essendo la forza di gravità conservativa, si può esprimere come:

dove è proporzionale all'energia potenziale gravitazionale come segue:

Dal teorema di Gauss:

Per il teorema della divergenza, il primo integrale, cioè il flusso della forza gravitazionale, è esprimibile come integrale di volume della sua divergenza:

Sostituendo a la sua espressione come gradiente:

che, dovendo valere per ogni volume di integrazione, implica:

.

Quest'ultima è una equazione differenziale alle derivate parziali del secondo ordine, detta equazione di Poisson, da completare con le opportune condizioni al contorno.

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La gravitazione nella teoria della relatività generale

Riepilogo
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Lo stesso argomento in dettaglio: Relatività generale.

La teoria di Newton della gravitazione ha permesso di descrivere con accuratezza la grande maggioranza dei fenomeni gravitazionali nel Sistema Solare. Tuttavia, da un punto di vista sperimentale essa presenta alcuni punti deboli, successivamente affrontati a partire dalla teoria della relatività generale:

  1. La teoria di Newton presuppone che la forza gravitazionale sia trasmessa istantaneamente con un meccanismo fisico non ben definito e indicato con il termine "azione a distanza". Lo stesso Newton tuttavia riteneva tale azione a distanza una spiegazione insoddisfacente del modo in cui la gravità agisse.
  2. Il modello di Newton di spazio e di tempo assoluti è stato contraddetto dalla teoria di Einstein della relatività ristretta. Tale teoria prevede che la simultaneità temporale di due eventi sia una proprietà relativa al singolo osservatore, e non una proprietà assoluta indipendente dall'osservatore. Pertanto, nessuna interazione fisica può dipendere dalle posizioni di due corpi in uno stesso istante, dato che per un diverso osservatore le stesse posizioni nello spazio saranno assunte dai due corpi in istanti diversi. In relazione a questo, si dimostra che un'interazione fisica deve trasmettersi attraverso un campo (che risulta quindi un ente fisico a tutti gli effetti, come nell'elettromagnetismo, e non una mera costruzione matematica come è il "campo gravitazionale" nella teoria newtoniana); le variazioni del campo, infine, possono propagarsi solo a velocità finita, non superiore alla velocità della radiazione elettromagnetica nel vuoto.
  3. La teoria di Newton non prevede correttamente la precessione del perielio dell'orbita del pianeta Mercurio, dando un risultato in disaccordo con le osservazioni di alcune decine di secondi d'arco al secolo.
  4. La teoria di Newton predice che la luce sia deviata dalla gravità, ma questa deviazione è metà di quanto osservato sperimentalmente.[38]
  5. Il concetto per cui masse gravitazionali e inerziali sono la stessa cosa (o almeno proporzionali) per tutti i corpi non è spiegato all'interno del sistema di Newton.

Einstein sviluppò una nuova teoria della gravitazione, denominata relatività generale, pubblicata nel 1915.

Nella teoria di Einstein, la gravità non è una forza, come tutte le altre, ma è la proprietà della materia di deformare lo spazio-tempo. Propriamente, la gravità non è un'interazione a distanza fra due masse, ma è un fenomeno mediato da una deformazione dello spazio-tempo. La presenza di massa (più in generale, di energia e impulso) determina una curvatura della geometria (più esattamente, della struttura metrica) dello spazio-tempo: poiché i corpi che si muovono in "caduta libera" seguono nello spazio-tempo traiettorie geodetiche, e queste ultime non sono rettilinee se lo spazio-tempo è curvo, ecco che il moto degli altri corpi (indipendentemente dalla loro massa) subisce le accelerazioni che classicamente sono attribuite alla "forza di gravità".

I pianeti del Sistema Solare quindi hanno orbite ellittiche non per effetto di una forza di attrazione esercitata direttamente dal Sole, ma perché la massa del Sole incurva lo spazio-tempo. Il campo gravitazionale attorno a una stella è rappresentato dalla soluzione di Schwarzschild delle equazioni di Einstein, soluzione che si ottiene semplicemente assumendo le proprietà di simmetria sferica nello spazio tridimensionale di indipendenza dal tempo. Le equazioni del moto geodetico nella metrica di Schwarzschild permettono di calcolare l'orbita di un pianeta attorno a una stella: per quasi tutti i pianeti del Sistema Solare, la differenza fra queste orbite e i moti descritti dalle leggi di Keplero (soluzioni delle equazioni di Newton) non è osservabile in quanto è molto più piccola degli effetti perturbativi dovuti all'interazione dei pianeti fra loro. L'unica eccezione è rappresentata dal moto di Mercurio, in cui la precessione dell'asse dell'orbita che si osserva è molto maggiore di quanto previsto dalla gravità newtoniana (anche tenendo conto dell'influenza degli altri pianeti), ed è invece in perfetto accordo con la previsione delle equazioni relativistiche. L'osservazione della precessione del perielio di Mercurio è quindi una delle evidenze a favore della relatività generale rispetto alla teoria gravitazionale newtoniana.

Un'ulteriore evidenza osservativa, riscontrata per la prima volta nel corso dell'eclissi solare del 1919, ma definitivamente confermata da osservazioni su scala extragalattica a partire dal 1980) consiste nell'effetto detto lente gravitazionale: l'immagine di un corpo celeste visto dalla Terra appare spostata rispetto alla posizione reale del corpo, talvolta anche sdoppiata, a causa della deflessione che la luce subisce quando rasenta una regione dello spazio con alta densità di massa. Questo conferma il fatto che la gravitazione deforma lo spazio-tempo, e che tale deformazione è avvertita anche da particelle prive di massa, i fotoni.

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Teorie alternative

Sono state sviluppate alcune teorie (ancora non provate sperimentalmente) che hanno lo scopo di descrivere l'interazione gravitazionale nell'ambito della meccanica quantistica. Alcune di queste sono la gravità quantistica a loop e la teoria delle stringhe.

Il fisico matematico Erik Verlinde propone, rivedendo idee già in circolazione, che la gravità sia interpretabile come la manifestazione di una forza emergente in senso entropico: citando le sue parole la gravità altro non è che un «effetto collaterale della propensione naturale verso il disordine.»

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Derivazione delle leggi della gravitazione dalla meccanica statistica applicata al principio olografico

Riepilogo
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Nel 2009, Erik Verlinde formalizzò un modello concettuale che descrive la gravità come una forza entropica[39], che suggerisce che la gravità è una conseguenza del comportamento statistico dell'informazione associata alla posizione dei corpi materiali. Questo modello combina l'approccio termodinamico della gravità con il principio olografico, e implica che la gravità non sia una interazione fondamentale, ma un fenomeno che emerge dal comportamento statistico dei gradi di libertà microscopici codificati su uno schermo olografico.

La legge di gravità può essere derivata dalla meccanica statistica classica applicata al principio olografico, che afferma che la descrizione di un volume di spazio può essere rappresentato come bit d'informazione binaria, codificata ai confini della regione, una superficie di area . L'informazione è distribuita casualmente su tale superficie e ciascun bit immagazzinato in una superficie elementare dell'area.

dove è la lunghezza di Planck.

Il teorema statistico di equipartizione lega la temperatura di un sistema (espressa in joule, basandosi sulla costante di Boltzmann) con la sua energia media:

Questa energia può essere identificata con la massa per la relazione di equivalenza di massa ed energia:

.

La temperatura effettiva sperimentata da un rivelatore uniformemente accelerato in un campo di vuoto o stato di vuoto è data dall'effetto Unruh.

Questa temperatura è:

dove è la costante di Planck ridotta e è l'accelerazione locale, che è legata alla forza dalla seconda legge di Newton del moto:

.

Assumendo ora che lo schermo olografico sia una sfera di raggio , la sua superficie è data da:

,

Da questi principi si deriva la legge di gravitazione universale di Newton:

.

L'iter è reversibile: leggendolo dal basso, dalla legge di gravitazione, risalendo per i principi della termodinamica si ricava l'equazione che descrive il principio olografico.

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Note

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