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Mammuthus columbi

specie estinta di mammut (Mammuthus) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Mammuthus columbi
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Il mammut colombiano (Mammuthus columbi (Falconer, 1857)) è una specie estinta di mammut che popolava il Nord America dal sud del Canada fino alla Costa Rica durante il Pleistocene. Il mammut colombiano discendeva dai mammut delle steppe eurasiatiche che colonizzarono il Nord America nel Pleistocene inferiore, circa 1,5-1,3 milioni di anni fa, e in seguito subì fenomeni di ibridazione con la linea evolutiva del mammut lanoso. Fu una delle ultime specie di mammut e da essa si evolsero i mammut pigmei delle Channel Islands, al largo della California. Il parente vivente più prossimo del mammut colombiano, così come degli altri mammut, è l'elefante asiatico.

Dati rapidi Come leggere il tassoboxMammut colombiano, Stato di conservazione ...

Raggiungendo 3,72-4,2 m di altezza alla spalla e un peso di 9,2-12,5 t, il mammut colombiano era una delle specie di mammut di dimensioni maggiori, più grande sia del mammut lanoso sia dell'elefante africano di savana. Possedeva lunghe zanne ricurve e quattro molari per volta, che venivano sostituiti sei volte nel corso della vita di un individuo. Con ogni probabilità utilizzava le zanne e la proboscide in modo simile agli elefanti moderni: per manipolare oggetti, combattere e cercare cibo. Sono stati scoperti ossa, peli, escrementi e contenuti dello stomaco, ma non si conoscono carcasse conservate. Il mammut colombiano prediligeva ambienti aperti, come foreste-parco, e si nutriva di carici, graminacee e altre piante. Non viveva nelle regioni artiche del Canada, che erano invece abitate dai mammut lanosi. Gli areali delle due specie potevano sovrapporsi, e le prove genetiche indicano che si incrociarono fra loro. Diversi siti contengono scheletri di più individui di mammut colombiano, sia perché morirono in eventi improvvisi come siccità, sia perché quei luoghi costituivano trappole naturali in cui, nel tempo, si accumularono i resti.

Per alcune migliaia di anni prima della loro estinzione, i mammut colombiani convissero in Nord America con i Paleoindiani – i primi esseri umani a popolare le Americhe – che li cacciavano per nutrirsi, utilizzavano le loro ossa per fabbricare utensili e, forse, li raffiguravano nell'arte rupestre. Resti di mammut colombiano sono stati rinvenuti in associazione con manufatti della cultura Clovis. Si ritiene che i popoli Clovis fossero cacciatori specializzati di mammut, sebbene possano anche avere consumato i resti di esemplari già morti. Gli ultimi mammut colombiani sono datati a circa 12 000 anni fa, e la specie si estinse nel quadro dell'estinzione di fine Pleistocene, in concomitanza con la scomparsa della maggior parte degli altri grandi mammiferi (megafauna) presenti nelle Americhe. È una delle ultime megafaune nordamericane di cui si registri l’estinzione. La scomparsa del mammut colombiano e di altre megafaune americane fu probabilmente dovuta alla perdita di habitat causata dai cambiamenti climatici, alla caccia da parte degli esseri umani, o a una combinazione di entrambi i fattori.

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Tassonomia

Riepilogo
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Intorno al 1725, alcuni schiavi africani impegnati in scavi nei pressi del fiume Stono, nella Carolina del Sud, dissotterrarono tre-quattro molari che oggi sappiamo essere appartenuti a mammut colombiani. Questi denti furono in seguito esaminati dal naturalista britannico Mark Catesby, che visitò il sito e nel 1743 pubblicò un resoconto della sua visita. Mentre i proprietari degli schiavi, perplessi di fronte a quegli oggetti, ipotizzarono che provenissero dal grande diluvio descritto nella Bibbia, Catesby osservò che gli schiavi erano unanimi nell'affermare che si trattasse di denti di elefante, simili a quelli degli elefanti africani a loro familiari in patria. Catesby concordò con questa interpretazione, segnando così la prima identificazione scientifica di un fossile animale in Nord America.[1][2] Un'osservazione simile venne fatta nel 1782, quando altri schiavi africani trovarono ossa e denti di mammut in una palude salmastra in Virginia. Questi resti furono inviati dal comandante dell'esercito statunitense Arthur Campbell al futuro presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson. In una lettera, Campbell notò che diversi africani avevano esaminato uno dei denti e "tutti … lo dichiararono un dente di elefante". Il resoconto di Catesby fu successivamente menzionato dal paleontologo francese Georges Cuvier agli inizi del XIX secolo; Cuvier esaminò personalmente i denti provenienti da Stono, utilizzandoli per sostenere la sua teoria del catastrofismo.[1]

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Litografia del 1863 del molare olotipo parziale proveniente dalla Georgia.

Il mammut colombiano fu descritto scientificamente per la prima volta nel 1857 dal naturalista scozzese Hugh Falconer, che denominò la specie Elephas columbi in onore dell'esploratore Cristoforo Colombo. L'animale era stato portato alla sua attenzione nel 1846 dal geologo scozzese Charles Lyell, che gli aveva inviato frammenti di molare rinvenuti durante lo scavo del canale Brunswick-Altamaha in Georgia, effettuato nel 1838, nel sud-est degli Stati Uniti. All'epoca, fossili simili rinvenuti in tutto il Nord America venivano attribuiti al mammut lanoso (allora Elephas primigenius). Falconer stabilì che i suoi esemplari erano distinti, confermando la conclusione dopo aver esaminato la loro struttura interna e studiato ulteriori molari provenienti dal Messico. Sebbene gli scienziati William Phipps Blake e Richard Owen ritenessero più appropriato il nome E. texianus, Falconer lo respinse; egli suggerì anche che E. imperator e E. jacksoni, altri elefanti americani descritti a partire da molari, fossero basati su resti troppo frammentari per essere classificati correttamente.[3] Nel 2012 sono stati segnalati materiali più completi, forse provenienti dalla stessa cava del frammentario molare olotipo di Falconer (catalogato come BMNH 40769 presso il British Museum of Natural History), che potrebbero contribuire a chiarire la natura di quell'esemplare, poiché ne era stata sollevata l'adeguatezza come olotipo.[4]

All'inizio del XX secolo, la tassonomia degli elefanti estinti divenne sempre più complessa. Nel 1942 fu pubblicato postumo il monumentale studio sui Proboscidati del paleontologo statunitense Henry F. Osborn, nel quale venivano utilizzati vari nomi generici e sottogenerici proposti in precedenza per specie di elefanti estinti, come Archidiskodon, Metarchidiskodon, Parelephas e Mammonteus. Osborn mantenne inoltre numerosi nomi per sottospecie o "varietà" regionali e intermedie, e creò ricombinazioni come Parelephas columbi felicis e Archidiskodon imperator maibeni.[5] A partire dagli anni Settanta, diversi ricercatori semplificarono la situazione tassonomica: tutte le specie di mammut furono ricondotte al genere Mammuthus, e molte delle differenze proposte fra le specie vennero interpretate come variazioni intraspecifiche.[6] Nel 2003, il paleontologo americano Larry Agenbroad rivide le opinioni sulla tassonomia dei mammut nordamericani e concluse che diverse specie erano state dichiarate sinonimi junior, e che M. columbi (mammut colombiano) e M. exilis (mammut pigmeo) erano le uniche specie di mammut endemiche delle Americhe (poiché le altre erano diffuse anche in Eurasia). L'ipotesi che specie come M. imperator (mammut imperiale) e M. jeffersoni (mammut di Jefferson) rappresentassero stadi più primitivi o più evoluti dell'evoluzione del mammut colombiano fu in gran parte abbandonata, considerandole semplici sinonimi. Nonostante queste conclusioni, Agenbroad sottolineò che la tassonomia dei mammut americani non è ancora del tutto risolta.[7]

Evoluzione

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Diagramma del 1942 di Henry F. Osborn che mostra crani di mammut ritenuti da lui "progressivi" dal punto di vista evolutivo, raggruppati nel genere Parelephas; le specie nordamericane rappresentate sono oggi considerate sinonimi junior di Mammuthus columbi.

I primi membri conosciuti dei Proboscidea, il clade che comprende gli elefanti, vissero circa 55 milioni di anni fa nell'area dell'antico mare della Tetide. I parenti viventi più prossimi dei Proboscidea sono i sireni (dugonghi e lamantini) e gli iraci (un ordine di piccoli mammiferi erbivori). La famiglia Elephantidae, che comprende gli elefanti attuali e i mammut, si originò circa sei milioni di anni fa in Africa. Tra i numerosi cladi oggi estinti, i mastodonti (Mammut) sono solo parenti lontani, appartenenti alla distinta famiglia Mammutidae, che si separò circa 25 milioni di anni prima dell'evoluzione dei mammut.[8] L'elefante asiatico (Elephas maximus) è il più stretto parente vivente dei mammut.[9] Il seguente cladogramma mostra la collocazione del mammut colombiano tra altri proboscidati del Pleistocene superiore, sulla base di studi genetici:[10][11]

Mammutidae

Mammut americanum (mastodonte americano)

Elephantida
Gomphotheriidae

Notiomastodon platensis (gomfoterio sudamericano)

Elephantidae

Mammuthus columbi (mammut colombiano)

Mammuthus primigenius (mammut lanoso)

Elephas maximus (elefante asiatico)

Loxodonta (elefanti africani) + †Palaeoloxodon antiquus (elefante dalle zanne dritte)

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Dissotterramento e scavo di un mammut pigmeo, evolutosi dai mammut colombiani nelle Channel Islands

Poiché resti di ogni specie di mammut sono noti in numerose località, è possibile ricostruire la storia evolutiva del genere attraverso studi morfologici. Le specie di mammut possono essere identificate in base al numero di creste di smalto (o lamelle) presenti nei loro molari: le specie primitive ne avevano poche, e il numero aumentò progressivamente man mano che le nuove specie evolsero per nutrirsi di alimenti più abrasivi. Le corone dentarie divennero più alte e i crani più elevati per ospitarle. Allo stesso tempo, i crani si accorciarono antero-posteriormente per ridurre il peso della testa.[12][13] I crani corti e alti dei mammut lanosi e colombiani rappresentano il culmine di questo processo.[8]

I primi membri noti del genere Mammuthus sono la specie africana M. subplanifrons del Pliocene e M. africanavus del Pleistocene. La prima è considerata l'antenato delle forme successive. I mammut entrarono in Europa circa 3 milioni di anni fa. Il più antico mammut europeo è denominato M. rumanus, diffuso in Europa e Cina. Di esso sono noti solo i molari, che mostrano 8-10 creste di smalto. Una popolazione evolse 12-14 creste, differenziandosi e sostituendo la forma precedente, e divenendo M. meridionalis circa 2,0-1,7 milioni di anni fa. A sua volta, questa specie fu sostituita dal mammut delle steppe (M. trogontherii), dotato di 18-20 creste, che si evolse nell'Asia orientale circa 2,0-1,5 milioni di anni fa.[12] Il mammut colombiano si evolse da una popolazione di M. trogontherii che aveva attraversato lo stretto di Bering ed era entrata nel Nord America circa 1,5-1,3 milioni di anni fa, mantenendo un numero simile di creste molari. Dalle popolazioni di M. trogontherii evolsero, circa 400 000 anni fa in Siberia, mammut dotati di 26 creste che diedero origine al mammut lanoso (M. primigenius), il quale raggiunse il Nord America circa 100 000 anni fa.[8]

Una popolazione di mammut derivata dai mammut colombiani, vissuta fra 80 000 e 13 000 anni fa nelle Channel Islands della California (circa 10 km dalla terraferma), si evolse fino a diventare meno della metà della taglia dei mammut colombiani continentali.[14] Per questo viene considerata una specie distinta, M. exilis (mammut pigmeo), oppure una sottospecie, M. c. exilis. Questi mammut presumibilmente raggiunsero le isole nuotando quando il livello del mare era più basso, e ridussero le proprie dimensioni a causa della limitata disponibilità di cibo legata alla ridotta estensione insulare. Sulle isole sono state rinvenute anche ossa di esemplari più grandi, ma non è chiaro se rappresentino stadi del processo di nanismo o arrivi successivi di mammut colombiani.[9][15][16]

Ibridazione

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L'esemplare assegnato in passato al sinonimo junior M. jeffersonii, oggi ritenuto un ibrido tra mammut colombiano e lanoso, all'American Museum of Natural History (a sinistra) e in una ricostruzione di Charles R. Knight del 1909 basata sullo stesso.

Uno studio del 2011 sul DNA antico, basato sul genoma mitocondriale completo (ereditato per via materna), ha mostrato che due mammut colombiani esaminati – fra cui il morfologicamente tipico "mammut di Huntington" – erano raggruppati all'interno di un sottoclade dei mammut lanosi. Ciò suggerisce che le due popolazioni si siano incrociate producendo prole fertile. Una possibile spiegazione è l'introgressione di un aplogruppo dai mammut lanosi verso i mammut colombiani, o viceversa. Una situazione simile è documentata negli elefanti africani (Loxodonta), in particolare fra l'elefante di savana (L. africana) e l'elefante di foresta (L. cyclotis). Gli autori dello studio ipotizzarono inoltre che la forma nordamericana un tempo denominata M. jeffersonii potesse essere un ibrido tra le due specie, poiché appare morfologicamente intermedia.[17] Questi risultati furono inaspettati, e altri ricercatori chiesero ulteriori studi per chiarire la questione.[18]

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Filogenesi dei mammut, che mostra la relazione tra il mammut colombiano e il mammut lanoso, così come i primi mammut siberiani simili al mammut delle steppe, evidenziando un significativo flusso genico introgressivo dal mammut lanoso verso il mammut colombiano.

Uno studio del 2015 sui molari di mammut confermò che M. columbi si era evoluto da M. trogontherii eurasiatici, e non da M. meridionalis come precedentemente suggerito, e osservò che M. columbi e M. trogontherii erano così simili nella morfologia che la loro classificazione come specie distinte poteva essere messa in discussione. Lo studio propose anche che, nelle aree in cui M. columbi e M. primigenius si sovrapponevano, si formasse una metapopolazione di ibridi con morfologia variabile.[19] Nel 2016, un'analisi genetica di resti di mammut nordamericani confermò che la diversità mitocondriale di M. columbi era inclusa all'interno di quella di M. primigenius e suggerì che entrambe le specie non solo si incrociarono estensivamente, ma discendevano da M. trogontherii. Lo studio concluse che le differenze morfologiche fra i fossili potrebbero quindi non essere affidabili per stabilire la tassonomia, e mise persino in dubbio che M. columbi e M. primigenius potessero essere considerate "vere" specie distinte, dato che erano in grado di ibridarsi dopo un presunto isolamento di un milione di anni. Tuttavia, gli autori raccomandarono cautela, sottolineando la necessità di campionare un numero maggiore di esemplari.[20]

Nel 2021, per la prima volta è stato sequenziato DNA più antico di un milione di anni, proveniente da due denti simili a quelli del mammut delle steppe e risalenti al Pleistocene inferiore, scoperti nella Siberia orientale. Un dente di Adyocha (1-1,3 milioni di anni) apparteneva a una linea ancestrale dei successivi mammut lanosi, mentre l'altro, proveniente da Krestovka (1,1-1,65 milioni di anni), apparteneva a una nuova linea evolutiva, forse una specie distinta, che si sarebbe separata dagli antenati dei mammut lanosi circa 2,7-1,8 milioni di anni fa. Lo studio rivelò che gran parte dell'ascendenza del mammut colombiano derivava dalla linea di Krestovka, probabilmente rappresentativa dei primi mammut che colonizzarono il Nord America, mentre un altro contributo sostanziale proveniva dai primi rappresentanti della linea dei mammut lanosi. L'ibridazione tra queste due linee avvenne probabilmente almeno 420 000 anni fa, nel Pleistocene medio, portando i mammut colombiani del Pleistocene superiore a possedere circa il 40-50% di ascendenza dalla linea di Krestovka e il 50-60% correlata ai mammut lanosi. Successivamente, i mammut lanosi e colombiani si incrociarono occasionalmente, e le specie di mammut potrebbero essersi ibridate abitualmente quando le glaciazioni ne favorivano il contatto. Lo studio evidenziò anche che adattamenti genetici al freddo, come crescita del pelo e accumulo di grasso, erano già presenti nella linea del mammut delle steppe, e non erano esclusivi del mammut lanoso.[21][22] Questa ricerca ha sollevato dubbi su quale materiale debba essere effettivamente riferito al nome Mammuthus columbi, poiché non esiste una chiara differenza morfologica tra i denti dei mammut nordamericani del Pleistocene inferiore – presumibilmente precedenti all'ibridazione – e quelli dei successivi M. columbi del resto del Pleistocene. In una revisione del 2024, Adrian Lister e Love Dalén hanno sostenuto che M. columbi debba essere mantenuto in senso ampio, comprendendo l'intero arco temporale di presenza dei mammut in Nord America.[23]

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Descrizione

Riepilogo
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Dimensioni di un mammut colombiano (in blu) a confronto con un essere umano e altri mammut (a sinistra) e diagramma scheletrico di un maschio alto 3,7 m a confronto con un essere umano (a destra).

Il mammut colombiano maschio medio aveva un'altezza alla spalla stimata di circa 3,75 m e un peso di 9,5 t, sebbene i maschi più grandi potessero raggiungere i 4,2 m di altezza e le 12,5 t di peso.[24] Questa specie era di dimensioni simili o leggermente inferiori rispetto ai più antichi M. meridionalis e M. trogontherii, ma era più grande dell'elefante africano di savana attuale e del mammut lanoso, entrambi con un'altezza alla spalla compresa tra circa 2,67 e 3,49 m.[24][25] I maschi erano in generale più grandi e robusti. Il miglior indicatore per distinguere il sesso è la cintura pelvica, poiché l'apertura che funge da canale del parto è sempre più ampia nelle femmine. Come altri mammut, il mammut colombiano possedeva una testa alta e a cupola singola e un dorso inclinato con una marcata gobba scapolare. Questa forma era dovuta al fatto che i processi spinosi (protrusioni) delle vertebre dorsali diminuivano di lunghezza dalla parte anteriore a quella posteriore. I giovani, tuttavia, avevano un dorso convesso, simile a quello degli elefanti asiatici.[25][24] Altri tratti scheletrici includevano un rostro (la parte anteriore delle mascelle) corto e profondo, una sinfisi mandibolare (il punto in cui le due metà della mandibola si uniscono) arrotondata e un processo coronoideo della mandibola (la prominenza superiore dell'osso mandibolare) che si estendeva al di sopra della superficie dei molari.[26]

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Uno dei più grandi scheletri montati di mammut al mondo, soprannominato "Archie" (a sinistra), esposto al Nebraska State Museum of Natural History, con una ricostruzione (a destra) basata sullo stesso esemplare; la presenza del pelo è ipotetica.

Oltre alla maggiore taglia e ai molari più primitivi, il mammut colombiano differiva dal mammut lanoso per la sinfisi mandibolare più inclinata verso il basso; inoltre, gli alveoli dentali (le cavità che ospitano le zanne) erano orientati più lateralmente rispetto alla linea mediana.[17] La sua coda aveva una lunghezza intermedia tra quella degli elefanti moderni e quella del mammut lanoso. Poiché non sono stati trovati tessuti molli di mammut colombiano, si conosce molto meno del suo aspetto rispetto al mammut lanoso. Viveva in habitat più caldi, e probabilmente non possedeva molti delle adattamenti osservabili in quest'ultimo. Peli attribuiti al mammut colombiano sono stati scoperti nella Bechan Cave nello Utah, dove sono stati rinvenuti anche escrementi di mammut. Alcuni di questi peli sono grossolani e identici a quelli noti per il mammut lanoso; tuttavia, data la posizione meridionale del sito, è improbabile che appartengano a quest'ultimo. La distribuzione e densità della pelliccia nell'animale in vita restano sconosciute, ma è probabile che fosse meno folta rispetto a quella del mammut lanoso, a causa dell'habitat più caldo.[8][25] Un ulteriore ciuffo di peli di mammut colombiano è stato rinvenuto nei pressi di Castroville, in California: il pelo è stato descritto come rosso-arancio, simile per colore a quello di un golden retriever.[27]

Dentatura

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Dissotterramento di una zanna in Nevada, con un essere umano per scala (a sinistra), e molari completi (numerati m3–m6) al Waco Mammoth National Monument (a destra).

I mammut colombiani possedevano zanne (incisivi modificati) molto lunghe, più ricurve di quelle degli elefanti moderni. Le loro zanne sono tra le più grandi mai registrate tra i proboscidati: alcune raggiungevano oltre 4 m di lunghezza e 200 kg di peso, e in alcuni resoconti storici vengono riportate zanne lunghe 4,88-5,1 m e pesanti circa 230-250 kg.[28] In genere, le zanne dei mammut colombiani non superavano di molto quelle del mammut lanoso, che arrivavano a 4,2 m. Le femmine avevano zanne molto più piccole e sottili. Circa un quarto della lunghezza delle zanne era inserito nelle cavità alveolari; esse crescevano a spirale in direzioni opposte a partire dalla base, incurvandosi fino a far sì che le punte si orientassero l'una verso l'altra, talvolta incrociandosi. Gran parte del peso era concentrata vicino al cranio, generando così meno torsione rispetto a zanne dritte. Le zanne erano spesso asimmetriche, con notevoli variazioni: alcune si incurvavano verso il basso anziché verso l'esterno, o risultavano più corte a causa di fratture. In generale, le zanne dei mammut colombiani erano meno attorcigliate di quelle dei mammut lanosi. A circa sei mesi di età, i piccoli sviluppavano zanne da latte lunghe pochi centimetri, che venivano sostituite da zanne permanenti dopo un anno. La crescita annuale delle zanne proseguiva per tutta la vita, variando fra 2,5 e 15 cm, ma rallentava quando l'animale raggiungeva l'età adulta.[25]

I mammut colombiani avevano quattro molari funzionali alla volta, due nella mascella superiore e due in quella inferiore. Nel corso della vita, i molari venivano sostituiti cinque volte, per un totale di sei molari successivi in ciascuna metà delle mascelle. Circa 23 cm della corona erano alloggiati nella mandibola, e circa 2,5 cm sporgevano sopra di essa. I denti presentavano creste (lamelle) smaltate separate, rivestite da "prismi" orientati verso la superficie masticatoria. Resistenti all'usura, erano cementati e uniti da dentina. Le corone dei molari inferiori venivano spin­te in avanti e verso l'alto man mano che si consumavano, in modo simile a un nastro trasportatore. I primi molari erano grandi circa come quelli umani, 1,3 cm; i terzi raggiungevano 15 cm, e i sesti arrivavano a circa 30 cm e 1,8 kg. Con ogni nuova sostituzione, i molari diventavano più grandi e dotati di un numero maggiore di creste, anche se questo numero variava da individuo a individuo.[25][29][30] Di solito ogni terzo molare presentava 18-21 creste, un valore simile a quello di M. trogontherii ma inferiore alle 24-28 creste tipiche del mammut lanoso.[19] La crescita di 18 cm di cresta richiedeva circa 10,6 anni.[31]

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Paleobiologia

Riepilogo
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Affioramenti rocciosi sulla Goat Rock Beach, probabilmente utilizzati come rocce per strofinarsi dai mammut colombiani o dai mastodonti.

Come negli elefanti moderni, la proboscide del mammut, sensibile e muscolosa, era un organo simile a un arto con molteplici funzioni. Veniva usata per manipolare oggetti e per l'interazione sociale. Sebbene i mammut adulti in buona salute potessero difendersi dai predatori con le zanne, la proboscide e le loro dimensioni, i giovani e gli adulti indeboliti erano vulnerabili a predatori sociali come lupi e grandi felini. Resti ossei di giovani mammut colombiani accumulati da Homotherium (la cosiddetta "tigre dai denti a scimitarra") sono stati scoperti nella Friesenhahn Cave, in Texas. Le zanne potevano essere impiegate in lotte intraspecifiche per il territorio o per l'accesso alle femmine, nonché come elemento di display, per attrarre partner o intimidire rivali. La scoperta in Nebraska di due mammut colombiani morti con le zanne intrecciate fornisce una prova diretta di questo comportamento combattivo. I mammut potevano utilizzare le zanne come armi, spingendole in avanti, colpendole di lato o abbattendole dall'alto, e le usavano anche in gare di spinta incastrandole tra loro, cosa che talvolta portava a rotture. La curvatura delle zanne le rendeva tuttavia inadatte a colpire come lance.[32][33]

Migrazioni

Sebbene non sia chiaro quanto estese fossero le migrazioni dei mammut colombiani, un'analisi isotopica condotta a Blackwater Draw, nel Nuovo Messico, ha indicato che questi animali trascorrevano parte dell'anno nelle Montagne Rocciose, a circa 200 km di distanza. Lo studio degli anelli di crescita delle zanne potrebbe fornire ulteriori informazioni sui loro spostamenti migratori. Sulla Goat Rock Beach, nel Sonoma Coast State Park (California), affioramenti di scisto blu e selce – soprannominati "Mammoth Rocks" – mostrano presunte tracce di sfregamento ad opera di mammut colombiani o mastodonti. Queste rocce presentano zone levigate poste a 3-4 m dal suolo, soprattutto lungo i bordi, e sono simili alle rocce da sfregamento africane utilizzate dagli elefanti e da altri erbivori per liberarsi da fango e parassiti. Rocce analoghe esistono anche a Hueco Tanks, in Texas, e sulla Cornudas Mountain, nel Nuovo Messico.[32][34] Modelli matematici indicano che i mammut colombiani dovevano spostarsi periodicamente per evitare la carestia, poiché una permanenza prolungata in una stessa area avrebbe rapidamente esaurito le risorse alimentari necessarie a sostenere una popolazione.[35]

Comportamento sociale

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Femmina di mammut "W" (a sinistra) e maschio "Q", con i giovani "R" e "T" (a destra), al Waco Mammoth National Monument.

Come gli elefanti moderni, i mammut colombiani erano probabilmente sociali e vivevano in gruppi familiari matriarcali (guidati da una femmina); anche gran parte del loro comportamento sociale doveva essere simile a quello degli elefanti attuali. Ciò è supportato da associazioni fossili come il sito di Dent, in Colorado, e il Waco Mammoth National Monument, a Waco, Texas, dove sono stati rinvenuti gruppi costituiti interamente da femmine e giovani mammut colombiani, indicando quindi gruppi familiari a guida femminile. Il sito di Waco comprende 22 scheletri, di cui 15 individui rappresentano una mandria di femmine e giovani morta in un singolo evento. Inizialmente si ipotizzò che la mandria fosse stata uccisa da una piena improvvisa, e la disposizione di alcuni scheletri suggerì che le femmine avessero formato un anello difensivo attorno ai giovani. Tuttavia, nel 2016 è stato proposto che la morte sia avvenuta a causa di una siccità presso una pozza d'acqua in via di prosciugamento: le tracce lasciate dagli animali spazzini sulle ossa contraddicono infatti un seppellimento rapido, e l'assenza di neonati, insieme alla grande diversità di altre specie animali rinvenute nel sito, supportano questo scenario. Un altro gruppo, composto da un maschio e sei femmine, è stato trovato nello stesso luogo; sebbene entrambi i gruppi siano morti tra 64 000 e 73 000 anni fa, non è chiaro se siano periti nello stesso evento. Nel sito Clovis di Murray Springs, in Arizona, dove sono stati trovati diversi scheletri di mammut colombiani, è stata individuata una traccia di impronte simile a quelle lasciate dagli elefanti moderni, che conduce a uno degli scheletri. È possibile che il mammut stesso abbia lasciato la traccia prima di morire, oppure che un altro individuo si sia avvicinato all'animale morto o morente, in modo analogo a quanto fanno oggi gli elefanti che vegliano i parenti defunti per diversi giorni.[25][36][37]

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Cranio (a sinistra) e mandibola (a destra) in un deposito di lahar al Museo de Paleontología de Tocuila.

Accumuli di resti di elefanti moderni sono stati soprannominati "cimiteri degli elefanti", poiché un tempo si credeva erroneamente che fossero luoghi in cui gli elefanti anziani andavano a morire. Accumuli simili di ossa di mammut sono stati rinvenuti e si ritiene che derivino da individui morti presso o dentro corsi d'acqua nell'arco di migliaia di anni, con le ossa successivamente accumulate dalle correnti, come nel caso del fiume Aucilla in Florida, oppure da animali morti dopo essersi impantanati nel fango. Alcuni accumuli sono invece interpretati come i resti di mandrie morte contemporaneamente, forse a causa di inondazioni. I mammut colombiani sono talvolta conservati in depositi vulcanici, come a Tocuila, presso Texcoco in Messico, dove una colata di fango (lahar) vulcanica ricoprì almeno sette individui circa 12 500 anni fa. Non si conosce quanti mammut vivessero in una stessa località nello stesso momento, ma il numero variava probabilmente in base alle stagioni e ai cicli vitali. Gli elefanti moderni possono formare grandi mandrie, talvolta composte da più gruppi familiari, e queste mandrie possono raggiungere migliaia di individui in migrazione. I mammut, vivendo in ambienti aperti, potrebbero aver formato grandi mandrie con maggiore frequenza rispetto agli elefanti attuali, che abitano per lo più zone boscose.[25][36][38]

Trappole naturali

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Vari scheletri (a sinistra) e impronte di un mammut in difficoltà (frecce), presso il sito di Hot Springs.

Numerosi esemplari si accumularono anche in trappole naturali, come doline e pozze di catrame. Il sito di Hot Springs, nel South Dakota, è una dolina vecchia di circa 26 000 anni e lunga circa 40 m, che rimase attiva per 300-700 anni prima di riempirsi di sedimenti. Il sito rappresenta lo scenario opposto rispetto a quello di Waco: tutti, tranne uno, degli almeno 55 scheletri – e ogni anno ne vengono dissotterrati di nuovi – sono maschi, e si accumularono progressivamente, non in un singolo evento. Come per gli elefanti maschi moderni, si ritiene che i maschi di mammut vivessero per lo più solitari, fossero più avventurosi (soprattutto i giovani) e quindi più inclini a situazioni pericolose rispetto alle femmine. I mammut potrebbero essere stati attirati nella dolina da acque calde o dalla vegetazione lungo i bordi, scivolando dentro e morendo annegati o di stenti. Analisi isotopiche degli anelli di crescita mostrano che la maggior parte dei mammut morì durante la primavera e l'estate, probabilmente in relazione alla vegetazione presente nei pressi della dolina. Un esemplare, soprannominato "Murray", giace su un fianco e probabilmente morì in quella posizione dopo un vano tentativo di liberarsi. In sezioni verticali del sito sono visibili profondi calchi di impronte lasciate dai mammut nel tentativo di uscire dal fango.[25][36]

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Smilodon e Canis dirus si disputano la carcassa di un mammut colombiano nelle pozze di catrame di La Brea in un disegno di Robert Bruce Horsfall (1911).

Fin dagli inizi del XX secolo, gli scavi nelle pozze di catrame di La Brea, a Los Angeles, hanno restituito circa 100 t di fossili appartenenti a 600 specie di flora e fauna, inclusi diversi mammut colombiani. Molti di questi fossili sono i resti di animali rimasti intrappolati in pozze di asfalto liquido che affioravano in superficie tra 40 000 e 11 500 anni fa. Polvere e foglie probabilmente mascheravano il catrame, che imprigionava così gli animali ignari. Gli animali impantanati morivano di fame o sfinimento, e i loro corpi attiravano predatori che a volte rimanevano essi stessi intrappolati. Il record fossile delle pozze è infatti dominato dai resti di grandi carnivori, come canidi e felidi. Non è raro che fossili di animali differenti vengano ritrovati incastrati insieme durante gli scavi.[36] Le pozze di catrame non preservano i tessuti molli, e uno studio del 2014 ha concluso che l'asfalto può danneggiare il DNA degli animali intrappolati, dopo che si tentò senza successo di estrarre DNA da un mammut colombiano.[39]

Un altro sito si trova in un'area destinata alla costruzione di un aeroporto in Messico, soprannominato "Central de Mamuts". Si ritiene che in passato fosse la sponda paludosa di un antico lago, dove gli animali rimasero intrappolati tra 10 000 e 20 000 anni fa. Nel sito sono stati rinvenuti anche strumenti umani. Non è chiaro se i circa 200 mammut colombiani qui scoperti siano morti per cause naturali, venendo poi macellati dagli esseri umani, oppure se gli uomini li abbiano spinti deliberatamente nella zona per abbatterli. Il sito si trova a soli 19 km da fosse artificiali che un tempo furono usate dagli uomini per intrappolare e uccidere grandi mammiferi.[40][41]

Alimentazione

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Parte inferiore del cranio di un esemplare maschio di La Brea soprannominato "Zed", con i molari superiori ben visibili (a sinistra), e cranio e denti del maschio noto come "mammut di Rawlins", presso l'University of Wyoming Geological Museum (a destra).

Un mammut colombiano adulto aveva bisogno di oltre 180 kg di cibo al giorno e poteva nutrirsi fino a 20 ore al giorno. I mammut masticavano il cibo usando i potenti muscoli della mandibola per muovere la mascella inferiore in avanti mentre chiudevano la bocca e poi all'indietro mentre la aprivano; le affilate creste di smalto si sfregavano così tra loro, triturando il cibo. Queste creste erano resistenti all'usura, permettendo all'animale di masticare grandi quantità di alimenti contenenti sabbia o terra. La proboscide serviva per strappare grandi ciuffi d'erba, raccogliere germogli e fiori, o staccare foglie e rami da alberi e arbusti, mentre le zanne venivano usate per scavare piante e asportare la corteccia degli alberi. Su alcune zanne conservate sono visibili zone piatte e lucide che indicano il contatto ripetuto con il suolo durante le operazioni di scavo.[25] Studi isotopici condotti su resti di mammut colombiani provenienti da Messico e Stati Uniti mostrano che la loro dieta variava a seconda della località, comprendendo un mix di piante CC3 (la maggior parte delle piante) e C4 (come le graminacee), e che non erano limitati al solo pascolo o al brucamento.[42][43][44] Perfino singoli mammut della stessa area geografica mostrano marcate differenze nell'usura dentaria, segno di una grande variabilità alimentare individuale all'interno di una stessa popolazione.[45][46] Evidenze provenienti dalla Florida rivelano che i mammut colombiani preferivano in genere graminacee C4, ma modificavano la dieta aumentando il consumo di piante non abituali durante periodi di cambiamenti ambientali significativi.[47] La loro alimentazione variava anche stagionalmente, con un maggiore ricorso alle piante C4 durante i periodi caldi; l'ampiezza di questa variabilità stagionale era maggiore alle latitudini settentrionali rispetto a quelle più vicine ai tropici.[48]

I contenuti stomacali dei mammut colombiani sono rari, poiché non sono state rinvenute carcasse integre, ma resti vegetali sono stati scoperti tra il bacino e le costole del cosiddetto "mammut di Huntington", rinvenuto nello Utah. Analisi microscopiche hanno mostrato che questi resti masticati consistevano in carici, graminacee, rametti e aghi di abete, quercia e acero.[49] Un'enorme quantità di escrementi di mammut è stata trovata in due grotte dello Utah. Le condizioni asciutte e le temperature stabili della Bechan Cave (bechan in lingua navajo significa "grande sterco") hanno preservato feci di elefante risalenti a 16 000-13 500 anni fa, quasi certamente prodotte da mammut colombiani.[50] Queste feci sono composte per circa il 95% da graminacee e carici, con una quota variabile tra lo 0 e il 25% di piante legnose, tra cui Atriplex, Artemisia, betulla occidentale e abete del Colorado. La composizione è simile alla dieta documentata per il mammut lanoso, sebbene sembri che la brucazione abbia avuto maggiore importanza per il mammut colombiano. Lo strato di sterco raggiunge 41 cm di spessore, per un volume di 227 m³, con i boli fecali più grandi di 20 cm di diametro. È possibile che queste feci siano state prodotte da un piccolo gruppo di mammut in un periodo relativamente breve, considerando che un elefante africano adulto produce in media 11 kg di sterco ogni due ore e 90-135 kg al giorno.[25][51]

Si ritiene che frutti giganti nordamericani di piante come il moro degli Osagi, l'albero del caffè del Kentucky, il banano del nord e lo spino di Giuda si siano evoluti in coevoluzione con la megafauna americana oggi estinta, come i mammut e altri proboscidati, poiché nessun erbivoro autoctono attuale è in grado di ingerire questi frutti e disperderne i semi. Oggi, bovini e cavalli introdotti hanno in parte assunto questo ruolo ecologico di dispersori di semi.[52][53][54]

Ciclo vitale

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Scheletro di un giovane (a sinistra) e calco del "mammut di Huntington" ( a destra), un maschio anziano e malato quando morì, entrambi al Natural History Museum of Utah.

La durata della vita del mammut colombiano si stima fosse di circa 80 anni. La longevità di un mammifero è infatti correlata alle sue dimensioni: i mammut colombiani erano più grandi degli elefanti moderni, che vivono in media circa 60 anni. L'età di un mammut può essere determinata approssimativamente contando gli anelli di crescita delle zanne osservandole in sezione trasversale. Tuttavia, il conteggio non tiene conto dei primi anni di vita, poiché la crescita iniziale è rappresentata dalle punte delle zanne, che di solito sono consumate. Nella parte restante della zanna, ogni linea principale corrisponde a un anno, mentre tra una linea e l'altra si trovano linee settimanali e giornaliere. Le bande scure corrispondono ai mesi estivi, rendendo possibile stabilire anche la stagione della morte di un individuo. La crescita delle zanne rallentava quando il reperimento del cibo diventava più difficile, ad esempio durante una malattia o quando un maschio veniva allontanato dal branco (nei moderni elefanti i maschi restano nel gruppo fino a circa 10 anni).[25]

Come negli altri elefanti, i mammut continuavano a crescere anche in età adulta: i maschi fino a circa 40 anni, le femmine fino a circa 25 anni. La gestazione durava probabilmente 21-22 mesi, come negli elefanti attuali. Nel corso della vita, i mammut colombiani sviluppavano sei serie di molari. Tra i 6 e i 12 mesi spuntava la seconda serie di molari, mentre la prima si usurava a circa 18 mesi. La terza serie durava circa 10 anni, e il processo si ripeteva finché la sesta serie emergeva intorno ai 30 anni. Quando anche l'ultima serie di molari si consumava, l'animale non poteva più masticare e moriva di denutrizione.[25]

Quasi tutte le vertebre del cosiddetto "mammut di Huntington", un esemplare di età molto avanzata, risultano deformate da artrosi, e quattro vertebre lombari erano fuse tra loro; alcune ossa mostrano anche segni di infezioni batteriche, come l'osteomielite.[25] Le condizioni delle ossa suggeriscono che questo esemplare sia morto di vecchiaia e malnutrizione.[49]

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Distribuzione e habitat

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Paesaggio di quello che oggi è il Parco nazionale delle White Sands, con una mandria di mammut colombiani sullo sfondo.

I mammut colombiani abitavano gran parte del Nord America, con un areale che si estendeva dal Canada meridionale[55] fino all'America centrale, dove era in gran parte confinato lungo la costa pacifica, con il ritrovamento più meridionale registrato nel nord della Costa Rica.[56] L'ambiente di queste regioni presentava probabilmente habitat più variati rispetto a quelli occupati dai mammut lanosi più a nord (la cosiddetta steppa dei mammut). Alcune aree erano coperte da graminacee, piante erbacee, alberi e arbusti, con una composizione che variava da regione a regione e comprendeva praterie, savane e foreste-parco di pioppi canadesi. Erano presenti anche aree boscose; sebbene i mammut non preferissero le foreste, le radure potevano fornire loro erbe e piante erbacee.[25]

Il mammut colombiano condivideva il proprio habitat con altri mammiferi pleistocenici oggi estinti, come Glyptotherium, la tigre dai denti a sciabola Smilodon, bradipi terricoli, il cammello Camelops, mastodonti, cavalli e bisonti. Non viveva nell'Artico canadese né in Alaska, regioni abitate dal mammut lanoso. Fossili di mammut lanosi e colombiani sono stati rinvenuti nello stesso luogo in alcune aree del Nord America dove i loro areali si sovrapponevano, ad esempio nel sito di Hot Springs. Non è chiaro se le due specie fossero simpatriche e vivessero contemporaneamente in tali aree, oppure se i mammut lanosi vi penetrassero solo quando le popolazioni di mammut colombiani erano assenti.[8] Si ritiene che l'arrivo del mammut colombiano in Nord America abbia portato all'estinzione del gomfoterio brucatore Stegomastodon, parente di elefanti e mastodonti, circa 1,2 milioni di anni fa, a causa dell'esclusione competitiva legata alla maggiore efficienza nel pascolo del mammut colombiano.[57] Si è inoltre ipotizzato che la competizione con i mammut abbia contribuito alla contrazione dell'areale settentrionale (compresa gran parte della presenza negli Stati Uniti) del gomfoterio generalista Cuvieronius.[58]

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Rapporti con l'uomo

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Ricostruzione fantasiosa di una caccia al mammut colombiano, J. Steeple Davis, 1885.

Verso la fine del Pleistocene superiore, intorno o poco dopo 16 000 anni fa, i Paleoindiani entrarono nelle Americhe attraverso il ponte di terra della Beringia,[59] e le prove documentano le loro interazioni con i mammut colombiani. Strumenti realizzati con resti di mammut colombiano sono stati scoperti in vari siti nordamericani. A Tocuila, in Messico, le ossa di mammut furono estratte 13 000 anni fa per ricavarne schegge e nuclei litici. Nel sito di Lange-Ferguson, nel South Dakota, sono stati trovati i resti di due mammut insieme a due chopper bifacciali di 12 800 anni fa, ricavate da una scapola di mammut e utilizzate per macellare gli animali. Nello stesso sito è stato rinvenuto anche un coltello a scheggia ricavato da un osso lungo di mammut, incastrato tra le vertebre. A Murray Springs, in Arizona, gli archeologi hanno scoperto un oggetto di 13 100 anni fa, realizzato con un femore di mammut, interpretato come un raddrizzatore di aste (strumento per raddrizzare legno e osso nella fabbricazione di lance, simile a strumenti usati dagli Inuit).[60][61]

Sebbene alcuni siti indichino potenziali interazioni umane con i mammut colombiani già 20 000 anni fa, tali prove sono state messe in dubbio, poiché mancano di strumenti litici e i presunti segni di taglio sulle ossa potrebbero essere il risultato di processi naturali.[62] I Paleoindiani della cultura Clovis, sorta circa 13 000 anni fa, potrebbero essere stati i primi cacciatori sistematici di mammut. Si ritiene che abbiano cacciato i mammut colombiani con punte Clovis, da lanciare o spingere. Sebbene punte Clovis siano state trovate associate a resti di mammut colombiani in vari siti, gli archeologi discutono se si tratti di prove di caccia diretta, di consumo di esemplari già morti o di coincidenze. Un caso ritenuto convincente è quello della femmina di mammut del sito di Naco in Arizona, trovata con otto punte Clovis vicino a cranio, scapola, costole e altre ossa. Esperimenti moderni hanno dimostrato che lance con repliche di punte Clovis possono penetrare le gabbie toraciche degli elefanti africani, con scarsi danni alle punte anche dopo più utilizzi.[63][64] Il mammut colombiano è l'animale più strettamente associato alla cultura Clovis, suggerendo che avesse un ruolo centrale nella loro sussistenza rispetto ad altra megafauna.[65]

Altri siti mostrano evidenze più indirette di caccia ai mammut, come accumuli di ossa con segni di macellazione, non sempre associati a punte Clovis. Il sito di Dent (la prima prova di caccia al mammut in Nord America, scoperto nel 1932) e il sito di Lehner, dove sono stati trovati numerosi mammut giovani e adulti con segni di macellazione e in associazione a punte Clovis, furono inizialmente interpretati come uccisioni di intere mandrie da parte dei cacciatori Clovis. Tuttavia, analisi isotopiche hanno rivelato che gli accumuli rappresentano morti avvenute in stagioni diverse, e quindi non si tratta di abbattimenti simultanei di interi branchi. Molte altre simili concentrazioni di ossa con segni di macellazione potrebbero rappresentare accumuli nel tempo, risultando ambigue come prove di caccia su larga scala.[63][66]

Un articolo del 2021 del paleontologo statunitense Metin I. Eren e colleghi ha suggerito che i mammut fossero poco vulnerabili alle armi Clovis, a causa della pelle spessa, della pelliccia, dello strato di grasso, dei muscoli e della gabbia toracica, che avrebbero ostacolato molti tipi di attacchi praticabili all'epoca. Gli autori proposero che i Clovis praticassero soprattutto il consumo di esemplari già morti. In risposta, altri studiosi hanno sostenuto che non vi è motivo di abbandonare l'ipotesi tradizionale della caccia, suggerendo che le lance Clovis potessero essere scagliate o spinte in punti del torso non protetti dalle costole, provocando ferite non letali immediate ma tali da permettere ai cacciatori di seguire la preda fino al dissanguamento.[67][68]

L'analisi isotopica di Anzick-1, un giovane ragazzo sepolto con manufatti Clovis in Montana, indica che i mammut colombiani costituivano circa il 35-40% della dieta della madre, a conferma dell'importanza centrale del mammut nella sussistenza dei Clovis.[65]

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Frammento di osso con inciso un mammut proveniente da Vero Beach (a sinistra), e petroglifi dello Utah ritenuti rappresentare un mammut e un bisonte (a destra), sebbene possano essere stati realizzati quando i mammut si erano già estinti.

Petroglifi sull'altopiano del Colorado sono stati interpretati come rappresentazioni di mammut colombiani o mastodonti.[60] Un frammento osseo di Vero Beach, in Florida, datato a circa 13 000 anni fa, potrebbe essere la più antica opera d'arte nota delle Americhe: è inciso con la figura di un mammut o di un mastodonte.[69] La sua autenticità si basa sulla continuità della mineralizzazione lungo le incisioni, sebbene altri possibili indicatori restino inconclusivi.[70] Petroglifi del San Juan River, nello Utah, sono stati datati a 11 000-13 000 anni fa e sembrano rappresentare due mammut colombiani: le teste a cupola li distinguerebbero dai mastodonti. Sono raffigurati con due "dita" sulla proboscide, un dettaglio noto anche da raffigurazioni europee di mammut, e con zanne corte, forse a indicare delle femmine. Una figura di bisonte (forse Bison antiquus, specie estinta) è sovrapposta a una delle incisioni e potrebbe essere una aggiunta successiva.[71] Tuttavia, una datazione geologica del 2013 ha mostrato che queste incisioni hanno meno di 4000 anni, quindi posteriori all'estinzione di mammut e mastodonti, e potrebbero essere solo una combinazione casuale di elementi.[70][72] Altre presunte raffigurazioni di mammut colombiani si sono rivelate erronee o fraudolente.[71]

Il mammut colombiano è il fossile ufficiale dello Stato di Washington[73] e della Carolina del Sud.[74] Il fossile simbolo del Nebraska è "Archie", un esemplare di mammut colombiano scoperto nel 1922 e oggi esposto all'Elephant Hall di Lincoln, che rappresenta il più grande scheletro montato di mammut degli Stati Uniti.[75]

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Estinzione

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Scheletro ritrovato con punte Clovis nel sito di Dent, prima testimonianza di caccia al mammut in America, al Carnegie Museum of Natural History (a sinistra), e punte Clovis di 13 500-13 000 anni fa al Cleveland Museum of Natural History.

I mammut colombiani e i mammut lanosi scomparvero dal Nord America continentale verso la fine del Pleistocene superiore, senza alcuna sopravvivenza nota nell'Olocene, insieme alla maggior parte della megafauna nordamericana del Pleistocene terminale. La più recente datazione radiocarbonica calibrata per il mammut colombiano proviene dal sito di Dent, in Colorado, e risale a 12 124-12 705 anni fa, in corrispondenza dell'inizio della fase fredda del Dryas recente (12 900-11 700 anni fa) e della cultura Clovis (13 200-12 800 anni fa). Questa datazione, più recente rispetto a quella della maggior parte delle altre specie pleistoceniche estinte, suggerisce che il mammut colombiano sia stato uno degli ultimi rappresentanti della megafauna nordamericana a estinguersi.[76] Alcuni dei resti più recenti di mammut colombiano sono stati datati a circa 10 900 anni fa, ma si tratta di una data non calibrata e quindi in realtà più antica.[77][78][79] Questa estinzione rientra nel quadro delle estinzioni di fine Pleistocene in Nord America, che coincisero sia con la cultura Clovis sia con il Dryas recente.[63] Non è chiaro se tali estinzioni siano avvenute bruscamente o in modo graduale.[77][80] Nel corso di questo periodo scomparvero 40 specie di mammiferi nordamericani, quasi tutte con peso superiore a 40 kg; l'estinzione dei mammut non può quindi essere spiegata isolatamente.[63]

Gli studiosi sono divisi sulle cause dell'estinzione del mammut colombiano: cambiamenti climatici, caccia umana, o una combinazione di entrambi. Secondo l'ipotesi del cambiamento climatico, il progressivo riscaldamento portò alla contrazione degli habitat idonei, con il paesaggio che passò da foresta-parco a foresta, prateria e semideserto, riducendo la diversità vegetale necessaria alla sua sopravvivenza. L'"ipotesi dell'overkill", invece, attribuisce l'estinzione alla caccia da parte degli esseri umani, un'idea proposta per la prima volta dal geoscienziato Paul S. Martin nel 1967; le ricerche più recenti su questo tema hanno prodotto risultati contrastanti.[63][81]

Uno studio del 2002 concluse che i dati archeologici non supportavano l'ipotesi dell'overkill, poiché solo 14 siti Clovis (12 con resti di mammut e 2 con resti di mastodonte) su 76 esaminati fornivano prove convincenti di caccia.[82] Al contrario, uno studio del 2007 rilevò che il record Clovis mostrava la più alta frequenza al mondo di sfruttamento preistorico di proboscidati a scopo alimentare, supportando l'ipotesi dell'overkill.[83] Uno studio del 2019, basato su modelli matematici per simulare le correlazioni tra migrazioni umane e distribuzione dei mammut colombiani, ha anch'esso confermato l'ipotesi dell'overkill.[84] In generale, i grandi mammiferi sono più vulnerabili alla pressione venatoria rispetto a quelli piccoli, a causa della ridotta dimensione delle popolazioni e dei bassi tassi riproduttivi.[63] D'altra parte, i grandi mammiferi sono in genere meno vulnerabili agli stress climatici, grazie a maggiori riserve di grasso[85] e alla capacità di migrare su lunghe distanze per sfuggire alla scarsità di cibo.[86]

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Note

Bibliografia

Altri progetti

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