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Manifesto dei 121

manifesto del 1960 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Manifesto dei 121
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Il Manifesto dei 121, intitolato Déclaration sur le droit à l’insoumission dans la guerre d’Algérie (Dichiarazione sul diritto all'insubordinazione nella guerra d'Algeria), fu firmato da intellettuali, accademici e artisti francesi e pubblicato il 6 settembre 1960 sulla rivista Vérité-Liberté. Il manifesto nacque sulla scia del "gruppo di rue Saint-Benoît" [1]. Il documento, pensato e redatto da Dionys Mascolo e Maurice Blanchot raggruppò personalità appartenenti a diversi orizzonti politici in uno spirito libertario e piuttosto orientato a sinistra. È stato importante per la storia della sinistra e dell'estrema sinistra in Francia.

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5, rue Saint-Benoît, Paris 6e
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Contenuto del manifesto

««Non si reclamava più solo il diritto del popolo a non essere più oppresso, ma il diritto del popolo a non opprimere più se stesso.» - (François Maspero[2]

Il manifesto dichiarava l'intenzione di informare l'opinione pubblica francese e internazionale sul movimento di protesta contro la guerra d'Algeria. I 121 criticavano l'atteggiamento equivoco della Francia nei confronti del movimento d'indipendenza algerino, sostenendo che la «popolazione algerina oppressa» cercava solo di essere riconosciuta «come comunità indipendente». Partendo dalla constatazione del crollo degli imperi coloniali, mettevano in evidenza il ruolo politico dell'esercito nel conflitto, denunciando in particolare il militarismo e la tortura, che andavano «contro le istituzioni democratiche». Il manifesto si concludeva con tre proposte finali:

  • «Rispettiamo e riteniamo giustificato il rifiuto di prendere le armi contro il popolo algerino. »
  • «Rispettiamo e riteniamo giustificata la condotta dei francesi che ritengono di dover portare aiuto e protezione agli algerini oppressi a nome del popolo francese. »
  • «La causa del popolo algerino, che contribuisce in modo decisivo alla caduta del sistema coloniale, è la causa di tutti gli uomini liberi. »
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Lista dei firmatari

Riepilogo
Prospettiva

I primi 121 firmatari furono[3]:

  1. Arthur Adamov
  2. Robert Antelme
  3. Georges Auclair
  4. Jean Baby
  5. Hélène Balfet
  6. Marc Barbut
  7. Robert Barrat
  8. Simone de Beauvoir
  9. Jean-Louis Bédouin
  10. Marc Beigbeder
  11. Robert Benayoun
  12. Maurice Blanchot
  13. Roger Blin
  14. Arsène Bonafous-Murat
  15. Geneviève Bonnefoi
  16. Raymond Borde
  17. Jean-Louis Bory
  18. Jacques-Laurent Bost
  19. Pierre Boulez
  20. Vincent Bounoure
  21. André Breton
  22. Guy Cabanel
  23. Georges Condominas
  24. Alain Cuny
  25. Jean Czarnecki
  26. Jean Dalsace
  27. Hubert Damisch
  28. Adrien Dax
  29. Bernard Dort
  30. Jean Douassot
  31. Simone Dreyfus
  32. Marguerite Duras
  33. Yves Elléouët
  34. Dominique Éluard
  35. Charles Estienne
  36. Louis-René des Forêts
  37. Théodore Fraenkel
  38. André Frénaud
  39. Jacques Gernet
  40. Louis Gernet
  41. Édouard Glissant
  42. Anne Guérin
  43. Daniel Guérin
  44. Jacques Howlett
  45. Édouard Jaguer
  46. Pierre Jaouën
  47. Gérard Jarlot
  48. Robert Jaulin
  49. Alain Joubert
  50. Henri Kréa
  51. Robert Lagarde
  52. Monique Lange
  53. Claude Lanzmann
  54. Robert Lapoujade
  55. Elena de La Souchère
  56. Henri Lefebvre
  57. Gérard Legrand
  58. Michel Leiris
  59. Paul Lévy
  60. Jérôme Lindon
  61. Éric Losfeld
  62. Robert Louzon
  63. Olivier de Magny
  64. Florence Malraux
  65. André Mandouze
  66. Maud Mannoni
  67. Jean Martin
  68. Renée Marcel-Martinet
  69. Jean-Daniel Martinet
  70. Andrée Marty-Capgras
  71. Dionys Mascolo
  72. François Maspero
  73. André Masson
  74. Pierre de Massot
  75. Jean-Jacques Mayoux
  76. Jehan Mayoux
  77. Théodore Monod
  78. Marie Moscovici
  79. Georges Mounin
  80. Maurice Nadeau
  81. Georges Navel
  82. Hélène Parmelin
  83. Marcel Péju
  84. José Pierre
  85. André Pieyre de Mandiargues
  86. Édouard Pignon
  87. Bernard Pingaud
  88. Maurice Pons
  89. Jean-Bertrand Pontalis
  90. Jean Pouillon
  91. Denise René
  92. Alain Resnais
  93. Jean-François Revel
  94. Alain Robbe-Grillet
  95. Christiane Rochefort
  96. Jacques-Francis Rolland
  97. Alfred Rosmer
  98. Gilbert Rouget
  99. Claude Roy
  100. Marc Saint-Saëns
  101. Nathalie Sarraute
  102. Jean-Paul Sartre
  103. Renée Saurel
  104. Claude Sautet
  105. Jean Schuster
  106. Robert Scipion
  107. Louis Seguin
  108. Geneviève Serreau
  109. Simone Signoret
  110. Jean-Claude Silbermann
  111. Claude Simon
  112. René de Solier
  113. Jean Thiercelin
  114. René Tzanck
  115. Vercors
  116. Jean-Pierre Vernant
  117. Pierre Vidal-Naquet
  118. Jean-Pierre Vielfaure
  119. Claude Viseux
  120. Ylipe
  121. René Zazzo

A questi se ne aggiunsero altri 120:

  1. Patrick Andrivet
  2. Pierre Asso
  3. Michel Arnaud
  4. Denis Berger
  5. Yves Berger
  6. Michèle Bernstein
  7. Dr Bloch-Laroque
  8. Hélène Bourgoin
  9. Hector Boulard
  10. Jean Boulier
  11. Gabriel Bounoure
  12. Marc Boussac
  13. Michel Butor
  14. Michel Candi
  15. Pierre Chaleix
  16. Marilène Chavardes
  17. Gérard Chimenes
  18. Simone Collinet
  19. Michel Crouzet
  20. François Chatelet
  21. Jacques Danos
  22. Anatole Dauman
  23. Guy Debord
  24. Marcel Degliame
  25. Jean Degottex
  26. Ginette Delmas
  27. Jean Delmas
  28. Danièle Delorme
  29. Paul Denais
  30. Solange Deyon
  31. Françoise Diot
  32. Jacques Doniol-Valcroze
  33. Geneviève Dormann
  34. Michel Dorsday
  35. René Dumont
  36. Géo Dupin
  37. Françoise d'Eaubonne
  38. Jacques Ehrmann
  39. Escaro
  40. Jean-Louis Faure
  41. Jean-Paul Faure
  42. Dominique Fernandez
  43. Jean Ferry
  44. Raymond Fichelet
  45. Jean Fraissex
  46. Bernard Frank
  47. Jean Freustié
  48. Anne Giannini
  49. Hubert Gonnet
  50. Christianne Grange
  51. Christian Gremillon
  52. Bertrand Hemmerdinger
  53. Claude Heymann
  54. Geneviève Huet
  55. Maurice Jardot
  56. Alain Jouffroy
  57. Pierre Kast
  58. André S. Labarthe
  59. Daniel Lacombe
  60. Serge Lafaurie
  61. Jacqueline Lambat
  62. Jean-Clarence Lambert
  63. Marie-Hélène Latrilhe
  64. Jean Lattès
  65. Jean-Jacques Lebel
  66. René Leibowitz
  67. Michel Lequenne
  68. Philippe Lévy
  69. Georges Limbour
  70. André L. Loeven
  71. Pierre Loizeau
  72. Jacqueline de Maleprade
  73. Clara Malraux
  74. Claude Manceron
  75. Jacqueline Marchand
  76. Marie-Thérèse Maugis
  77. Gilles Mayoux
  78. Andrée Michel
  79. Simone Minguet
  80. Gustave Monod
  81. Marc'O
  82. Robert Morel
  83. Claude Ollier
  84. Jacques Panijel
  85. Marcel Pennetier
  86. Annette Perrault
  87. Jean-Charles Pichon
  88. Roger Picault
  89. Robert Postec
  90. André Raymond
  91. Madeleine Rebeyrioux
  92. Paul Rebeyrolle
  93. Paul Revel
  94. Évelyne Rey
  95. Georges Rino
  96. Maxime Rodinson
  97. René Rognon
  98. Albert Roux
  99. Françoise Sagan
  100. Jean-Jacques Salomon
  101. Jacques Sautès
  102. Catherine Sauvage
  103. Lucien Scheler
  104. Léon Schirmann
  105. Laurent Schwartz
  106. André Schwarz-Bart
  107. Jacqueline Sola
  108. Roger Tailleur
  109. Claude Tarnaud
  110. Laurent Terzieff
  111. Dr. Teurtroy
  112. Paul-Louis Thirard
  113. Tim
  114. Andrée Tournès
  115. Geneviève Tremouille
  116. François Truffaut
  117. Tristan Tzara
  118. Anne-Marie de Vilaine
  119. Charles Vildrac
  120. François Wahl
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Pubblicazione

Riepilogo
Prospettiva

Il manifesto fu pubblicato il 6 settembre 1960 su Vérité-Liberté:cahiers d'information sur la guerre d'Algérie[4]. Questa rivista, clandestina, pubblicata a Parigi dal 1960 al 1962, era dedicata a divulgare tutte le informazioni vietate o filtrate dalla censura sulla guerra d'Algeria. Era gestita da Paul Thibaud. Il suo comitato di redazione comprendeva i giornalisti Robert Barrat e Claude Bourdet, lo storico Pierre Vidal-Naquet, il matematico Laurent Schwartz, lo scrittore Vercors e Jean-Marie Domenach della rivista Esprit. Il giornale Témoignages et documents, che rieditava durante la guerra d'Algeria i testi censurati, pubblicò anche il manifesto e le reazioni del Partito Comunista Francese e del Partito Socialista Unificato. Il manifesto doveva anche apparire nel numero di agosto-settembre 1960 di Les Temps Modernes, ma fu censurato e sostituito da una doppia pagina bianca, seguita dalla lista dei firmatari.

L'8 settembre 1960, Jérôme Lindon dichiarava su Paris-Presse: «Preferirei mille volte vedere mio figlio disertore piuttosto che torturatore. »[5].

Il giornale clandestino Vérités pour, sottotitolato Centrale d'informazione e d'azione sul fascismo e la guerra d'Algeria, era vicino alla Rete Jeanson [6]. Diede spesso la parola a Jeune Résistance, un movimento di insubordinati e disertori, e pubblicò il Manifesto dei 121 e articoli più radicali poiché vi si considerava la diserzione un dovere[7].

Altri 120 firmatari del Manifesto si unirono ai primi. La rivista Routes de la paix (che ha preso diversi altri nomi), basata in Belgio e diffusa in Francia, alla quale partecipava il pacifista belga Jean Van Lierde, ripubblicò il manifesto[8].

Reazioni

Riepilogo
Prospettiva

Repressione dei firmatari

Ordinanze governative, accuse, incarcerazioni

Le reazioni furono tanto più vivaci in quanto il manifesto venne deliberatamente pubblicato mentre si svolge il processo ai "fattorini" della Rete Jeanson. La difesa chiamò a testimoniare tutti i firmatari; dopo un primo rifiuto, il tribunale accettò la comparizione di venti di essi[9]. Qualche giorno dopo, il Consiglio dei ministri reagiva modificando con ordinanza alcuni articoli del codice di procedura penale e del codice di giustizia militare, impedendo in particolare l'audizione di testimoni non citati prima dei procedimenti.

Le autorità erano state abilitate dalla legge del 3 aprile 1955 «a prendere tutte le misure per assicurare il controllo della stampa e delle pubblicazioni di qualsiasi natura, nonché quello delle trasmissioni radiofoniche, delle proiezioni cinematografiche e delle rappresentazioni teatrali [10]

Il governo emise diverse ordinanze che aggravavano le pene per la provocazione all'insubordinazione, alla diserzione e al rifiuto di libretto militare [11], il favoreggiamento di insubordinati e il porre ostacoli alle partenze dei soldati, e reprimevano più severamente i funzionari pubblici sostenitori dell'insubordinazione e della diserzione. Il generale de Gaulle, severo contro «i servitori dello Stato», insisteva invece affinché gli intellettuali beneficiassero di una maggiore libertà di pensiero e di espressione. Ventinove persone furono accusate di istigazione di militari alla disobbedienza e provocazione all'insubordinazione e alla diserzione, mentre Jean-Paul Sartre e altri firmatari reclamavano vanamente la propria incriminazione. La rivista Les Temps Modernes fu sequestrata in quanto conteneva l'elenco dei firmatari del manifesto e di altri articoli sulla guerra d'Algeria. Tra i firmatari, il giornalista Robert Barrat fu incarcerato per 16 giorni. Alla fine le accuse decaddero.

Sanzioni professionali

Jean-Louis Bory, Pierre Vidal-Naquet e altri professori furono sospesi dai loro incarichi. Con decreto firmato da Pierre Messmer, ministro delle forze armate, l'École polytechnique revocò l'incarico al professor Laurent Schwartz, posto in congedo con disonore.

Gli artisti furono esclusi dai teatri sovvenzionati e privati degli anticipi sugli incassi cinematografici. Alla Radiodiffusion-Télévision Française fu vietata ai firmatari qualsiasi collaborazione a comitati di realizzazione, qualsiasi ruolo, intervista, citazione d'autore o resoconto d'opera; di conseguenza, molte emissioni già registrate o in progetto vennero annullate. Critici letterari e teatrali rifiutarono di partecipare alla trasmissione radiofonica di François-Régis Bastide, Le Masque et la plume [12], da cui alcuni dei loro colleghi erano stati estromessi. Il programma fu sabotato da uno degli animatori, Jérôme Peignot, e fu sospeso per sei mesi. Frédéric Rossif e François Chalais fecero lo stesso per la trasmissione Cinépanorama[13].

Personalità e associazioni, in particolare sindacati, difesero la libertà di espressione e si opposero alle sanzioni sul lavoro. Produttori televisivi tra i più noti costituirono un'associazione presieduta da Pierre Lazareff per ottenere «accomodamenti» alle sanzioni disciplinari, e Claude Mauriac rifiutò «di far parte, seppur modestamente, di un organismo i cui responsabili fanno così poco caso alla libertà di espressione e al diritto al lavoro» e si dimise dal comitato televisivo.

Fu solo nel 1965 che l'ultimo funzionario firmatario del manifesto fu reintegrato. Si trattava di Jehan Mayoux, insegnante e militante pacifista. Nel 1939 era stato condannato a cinque anni di carcere per aver rifiutato la mobilitazione; Marie e François Mayoux, i suoi genitori, antimilitaristi, autori di un opuscolo pacifista intitolato Gli insegnanti sindacalisti e la guerra erano stati dimessi dall'insegnamento e imprigionati per «propositi disfattisti» durante la prima guerra mondiale.

Sostegno ai firmatari e ai ribelli

Una dichiarazione di solidarietà con i firmatari del manifesto fu approvata da intellettuali e artisti europei e statunitensi, tra cui Federico Fellini, Alberto Moravia, Bertrand Russell, Norman Mailer, Seán O'Casey e Max Frisch, «perché le opinioni espresse dai protagonisti di questo movimento sollevano questioni di principi universali.»

Alcuni vincitori del Premio Pulitzer scrissero ai firmatari della dichiarazione:

Come Henry David Thoreau, che protestava contro la schiavitù e la guerra del Messico che considerava imperialista, difendiamo il diritto «di rifiutare fedeltà al governo e di resistergli quando la sua tirannia e la sua incapacità sono così grandi da diventare insopportabili.»

Cinquantadue accademici americani, tra cui Aldous Huxley e Herbert Marcuse, dichiararono la loro ammirazione ai firmatari del «manifesto contro il servizio militare in Algeria, redatto secondo gli imperativi della loro coscienza.»

La Federazione protestante di Francia definì «legittimo» e sostenne il rifiuto dei combattenti di partecipare alla tortura. A coloro che rifiutavano di partire per questa guerra, diceva che l'obiezione di coscienza sembrava il mezzo per rendere una testimonianza chiara: «Non ci stancheremo di chiedere per l'obiezione di coscienza uno statuto legale.»

La Lega dei Diritti Umani, che aveva sempre condannato l'insubordinazione, ma aveva anche sempre chiesto uno statuto per gli obiettori di coscienza,
"Oggi constata che nelle attuali condizioni della guerra d'Algeria, l'insubordinazione è diventata per alcuni giovani una forma di obiezione di coscienza. D'altra parte la Lega protesta contro le più recenti ordinanze del governo e contro i procedimenti avviati contro i firmatari della dichiarazione detta «dei 121».»

Le critiche al Manifesto

  • Il Manifesto dei 121 provocò un contro-manifesto, il Manifesto degli intellettuali francesi per la resistenza all'abbandono, pubblicato il 7 ottobre 1960 sui quotidiani Le Figaro e Le Monde e il 12 ottobre sul settimanale Carrefour. Vi si denunciava l'appoggio dato al FLN dai firmatari del manifesto dei 121 - questi «professori di tradimento» - e si difendeva l'Algeria francese. Si sosteneva l'azione della Francia e dell'esercito in Algeria («L'azione della Francia consiste, infatti come in principio, nel salvaguardare in Algeria le libertà ( [...] ) contro l'instaurazione da parte del terrore di un regime di dittatura»), accusava l'FLN di essere una «minoranza di ribelli fanatici, terroristi e razzisti» e negava «agli apologeti della diserzione il diritto di porsi come rappresentanti dell'intelligenza francese». Questo contro-manifesto fu firmato, tra gli altri, dal maresciallo Juin e da altri sei membri dell'Académie française - Henry Bordeaux, Pierre Gaxotte, Robert d'Harcourt, Henri Massis, André François-Poncet e Jules Romains, 19.
  • 6 Associazioni di ex combattenti (l'Unione nazionale dei combattenti di Alexis Thomas, Rhein et Danube, gli Anziani del 2º D.B., Fiandre-Dunkerque, gli Anziani delle Forces françaises libres di de Gaulle, gli Anziani del Corps expéditionnaire français en Italie) chiamarono a manifestare a Parigi nella calma e nel silenzio, il 1º ottobre 1960, «in risposta all'appello all'insubordinazione e al tradimento». Altre associazioni si unirono alla manifestazione insieme a rappresentanti eletti come Jean-Marie Le Pen e a giovani militanti di estrema destra. Risposero in seimila[14]. Louis Aragon, anche se non aveva firmato il manifesto dei 121, pubblicò il 12 ottobre 1960 su L'Humanité una lettera aperta all'Associazione degli scrittori combattenti in cui scriveva: «Voi supplicate il potere di perseguire i 121 con implacabile rigore. Cancellatemi dai vostri registri.»
  • Jean-Jacques Servan-Schreiber, cofondatore della rivista L'Express, aveva difeso posizioni anticolonialiste e denunciato la tortura in Algeria, cosa che gli era valsa censure e sequestri, con due ministri che accusavano il suo libro di testimonianza Tenente in Algeria[15] di demoralizzare l'esercito e di tradimento. Lo stesso Schreiber, ora, in una Lettera d'un non-disertore, denunciava «i maestri di pensiero della sinistra che incitano i loro discepoli ad impegnarsi nella via della diserzione e dell'aiuto al FLN [...] Coloro che manderanno dei ragazzi nelle segrete della giustizia militare per disertare avranno senz'altro diritto ai nostri occhi ada ancor meno indulgenza che gli usurpatori del potere. Sono stato chiaro, spero.» Il numero dell'L'Express che conteneva questa lettera fu sequestrato a causa del suo riferimento al Manifesto nonostante esprimesse riprovazione.
  • Dall'inizio del conflitto in Algeria, il Partito Comunista Francese aveva sostenuto che la partecipazione dei suoi militanti al contingente di questa guerra coloniale fosse una garanzia di funzionamento più democratico dell'esercito. Nel settembre 1960, l'Humanité citava Maurice Thorez, segretario generale del partito, che il 31 maggio 1959 aveva ricordato i principi definiti da Lenin: "Il soldato comunista parte per qualsiasi guerra, anche per una guerra reazionaria, per continuare la lotta contro la guerra. Lavora dove è posizionato. Se così non fosse, vorrebbe dire prendere posizione su basi puramente morali, secondo il carattere dell'azione condotta dall'esercito a scapito del collegamento con le masse." Aggiungeva però, l'Humanité: «Tuttavia - è necessario dirlo? - i comunisti sono per la liberazione, l'assoluzione o il non luogo a procedere per gli uomini e le donne imprigionati, processati o accusati per aver preso parte, a loro modo, alla lotta per la pace.».
    Sostanzialmente la posizione del PCF fu - rifiutare l'appello alla diserzione (definito da France nouvelle come "iniziativa piccolo-borghese"[16]), ma "organizzare la solidarietà in favore dei funzionari e degli artisti sospesi a seguito della loro attività per la pace in Algeria, compresi i firmatari del Manifesto dei 121"[17].
  • Sulla stessa linea si espressero le organizzazioni socialiste (Partito Socialista Unificato, Sezione Francese dell'Internazionale Operaia, Mouvement des jeunes socialistes).
  • Varie istanze della Chiesa cattolica sulla scia del cardinale arcivescovo di Parigi Maurice Feltin e del quotidiano cattolico La Croix criticarono energicamente l'insubordinazione individuale invocando il dovere dettato da Dio di amare la patria come la mamma[18], subendo a loro volta la critica di 16 senatori cattolici che li accusavano di ignorare il ruolo della "propaganda comunista" e della loro bestia nera, i preti operai[19].
  • L'OAS parlò con i suoi metodi: con un attentato alla casa di Françoise Sagan il 23 agosto 1961, altri attentati il 22-23 settembre (alla rivista Témoignage chrétien, alla casa di Laurent Schwartz[20], alla casa dei genitori del generale Jacques Pâris de Bollardière, a suo tempo il più giovane generale di Francia, ma reo di aver deplorato l'uso della tortura nella guerra d'Algeria), alla casa del tesoriere di Verité-Liberté il 12 ottobre 1961, all'abitazione e alla casa editrice di Jérôme Lindon, che nella sua Éditions de Minuit aveva pubblicato diversi testi relativi alla tortura in Algeria e racconti dei disertori.
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Appello all'opinione pubblica per una pace negoziata

Nel numero dell'ottobre 1960 de l'Enseignement public, organo mensile della Federazione dell'educazione nazionale (autonoma) e poi su Le Monde il 6 ottobre 1960 fu pubblicato un manifesto più moderato di quello dei 121, l'Appello all'opinione pubblica per una pace negoziata, preparato dai leader dei sindacati degli insegnanti e dell'Unione nazionale degli studenti di Francia, nonché da varie personalità come Roland Barthes, Jacques Le Goff, Daniel Mayer, Maurice Merleau-Ponty, Edgar Morin, Jacques Prévert e Paul Ricœur. Paul Ricœur spiega la sua posizione: «Non consiglio l'insubordinazione - e dico perché -, ma mi rifiuto di condannare l'insubordinazione - e sono pronto anche a dire perché davanti a un tribunale militare, se qualche giovane mi chiede la mia testimonianza. [...] Per noi e per loro è una guerra illegittima con la quale impediamo al popolo algerino di costituirsi in Stato indipendente come tutti gli altri popoli dell'Africa.»[21].

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Dopo la guerra

Riepilogo
Prospettiva

Conclusa la guerra d'Algeria, fu emanato un corposo pacchetto legislativo volto ad amnistiare i responsabili degli atti commessi durante la guerra d'Algeria. Le norme furono emanate e votate in varie tranches tra gli accordi di Evian del 1962 e il primo settennato di presidenza Mitterrand nel 1982[22].

Le prime disposizioni giuridiche di amnistia si caratterizzarono per la loro precocità, così come per la loro insolita modalità giuridica: furono infatti concesse con decreti, mentre la tradizione repubblicana voleva che l'amnistia fosse parlamentare. La misura fu presa rapidamente in conformità agli accordi di Evian, che riconoscevano la legittimità della lotta degli algerini. La legge del 16 marzo 1956 sui poteri speciali del governo durante gli eventi in Algeria consentiva la possibilità di amnistiare per decreto, e gli archivi mostrano che il governo aveva formulato fin dal gennaio 1961 la richiesta, al servizio legislativo della direzione degli Affari criminali e delle Grazie del ministero della Giustizia, di redigere un testo di amnistia.

Queste disposizioni iniziarono al momento degli accordi di Evian, con due decreti firmati il 22 marzo 1962. Il primo è il decreto nº 62-327 recante «amnistia dei reati commessi a titolo dell'insurrezione algerina», il secondo, il decreto nº 62-328 relativo all'«amnistia di fatti commessi nel quadro delle operazioni di mantenimento dell'ordine dirette contro l'insurrezione algerina». Nel mese di aprile furono poi pubblicate cinque ordinanze per rendere applicabili i decreti sopra citati. La misura permetteva di amnistiare circa 15.000 persone in Algeria e 5.500 in Francia.

L'amnistia penale fu attuata con tre leggi promulgate il 23 dicembre 1964, il 17 giugno 1966 e il 31 luglio 1968. Esse realizzano l'amnistia penale dei militanti dell'Algeria francese e dell'Organizzazione dell'esercito segreto (OAS). Il primo «amnistia e autorizza la dispensa da talune incapacità e decadenze» e il secondo «amnistia infrazioni contro la sicurezza dello Stato o commesse in relazione agli eventi dell'Algeria».

L'ultima amnistia risale al 1982, quando il presidente François Mitterrand decise di porre fine alle «conseguenze degli avvenimenti in Algeria» facendo votare una legge sulla revisione delle carriere dei generali implicati. La legge fu convalidata in Consiglio dei ministri e poi proposta da Pierre Mauroy all'Assemblea nazionale[23]. Pierre Joxe minacciò di dimettersi se la legge riabilitava i generali putschisti e i socialisti proposero un emendamento che permettesse di escludere i generali golpisti, ma il governo fece passare la legge nella formulazione iniziale grazie all'articolo 49-3 della Costituzione della Quinta Repubblica, utilizzato per la prima volta nel settennato Mitterrand[24]. Tutti i protagonisti del Putsch dei generali, a cominciare da Raoul Salan, furono così reintegrati nella riserva[25].

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Note

Bibliografia

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