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Algeria francese
colonia (1830-1848), dipartimenti e territori (1848-1957) e dipartimenti (1957-1962) francesi in Nord Africa Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Algeria francese (in francese Algérie française, ; in arabo الْجَزَائِر الْفَرَنْسِيَّة?, al-Ǧazāʾir al-faransiyya, ; in cabilo ⴷⵣⴰⵢⵔ ⵝⴰⴼⵕⴰⵏⵙⵉⵙⵝ, Dzayr ṯafṛansisṯ) fu il dipartimento coloniale francese concentrato su Algeri, nell'attuale Algeria. Ebbe inizio nel 1830 con l'invasione di Algeri e cessò di esistere nel 1962, anno dell'indipendenza del Paese. Questo periodo può indicare, nel suo insieme, il periodo della colonizzazione, della presenza o dell'occupazione francese dell'Algeria. All'interno dell'Impero coloniale francese, essa faceva parte dell'Africa Francese del Nord, che comprendeva anche il protettorato del Marocco e della Tunisia.[1]
Nel 1839 le autorità francesi adottarono il nome Algeria – derivato dall'arabo الْجَزَائِر, Al-Djazā’ir – come denominazione ufficiale in lingua francese del territorio corrispondente. Dall'inizio della colonizzazione, la resistenza si è organizzata attraverso dei movimenti guidati da Lalla Fadhma n'Soumer, Abd el-Kader e Ahmed Bey, nonché in diverse rivolte in regioni differenti. Nel 1848 il Paese divenne parte integrante del territorio francese, diviso nei tre dipartimenti di Algeri, Orano e Costantina.[2] In seguito alla prima guerra mondiale si sviluppò un movimento nazionalista algerino che sfocierà nella guerra del 1954, con l'indipendenza del Paese e l'esodo dei pieds-noirs e degli harki.
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Storia
Riepilogo
Prospettiva
Il declino della Reggenza di Algeri

Dalla conquista ottomana compiuta dai fratelli Khayr al-Dīn e Aruj Barbarossa nel 1516, l'Algeria è sempre stata un territorio di riferimento per i corsari del Mediterraneo. La pratica della corsa ebbe il suo momento d'oro nella prima metà del XVII secolo: essa era vantaggiosa sia per gli ottomani, ma anche albanesi e cristiani convertiti, che per la popolazione locale, che godeva di una maggiore vivacità dei flussi commerciali. Inoltre, il terrore dei corsari era una buona arma di deterrenza nei confronti delle potenze europee.[3] L'inizio dell'Ottocento vide un rapido declino della pratica, ciò nonostante la flotta algerina fosse composta da circa ottanta velieri, un numero elevato per gli standard dell'epoca. La causa del declino è dovuta principalmente al celere avanzamento tecnologico degli Stati europei, che potevano contare su equipaggiamenti più efficaci contro i corsari. La seconda guerra barbaresca del 1815, combattuta tra i corsari algerini e le navi statunitensi, mise fine alla pratica corsara nella regione.[4]
L'economia algerina poteva ancora contare sul commercio di prodotti come il grano e oggetti di artigianato locali, esportati principalmente verso Paesi musulmani. Per quanto riguarda le importazioni, i beni riservati alle élites ne componevano una buona parte, con strumenti per gli artigiani e armi per i militari. I soggetti che beneficiavano maggiormente del commercio erano principalmente le famiglie kouloughli, composte da madre algerina e padre giannizzero, e quelle ebree di Livorno, come la Bacri e la Busnach.[5][6]
In Francia, Carlo X salì al trono dopo la morte del fratello Luigi XVIII, avvenuta nel 1824 senza eredi. La scarsa popolarità in patria fu confermata con la perdita della maggioranza in Parlamento nel 1827, seguita allo scioglimento della Garde Nationale. In questo scenario si colloca la spedizione in Algeria: un tentativo di riacquisire consensi nella politica tramite una vittoria militare. Il casus belli è da far risalire a motivazioni economiche. Tra il 1795 e il 1797, le famiglie Bacri e Busnach fornirono una grande quantità di grano al Direttorio corrispondente a diversi milioni di franchi, aiutati dal dey Husayn III. Dopo diverse richieste di risarcimento rifiutate, nel 1827 il dey ebbe un diverbio con il console francese Pierre Deval, arrivando a colpirlo con il suo scacciamosche.[N 1] L'amministrazione francese richiese delle scuse da parte di Husayn III e che la bandiera francese venisse issata «nel punto più alto della casba e del porto».[7] Il rifiuto del dey comportò un blocco navale della durata di tre anni, culminato con lo sbarco del 1830.[8]
Conquista e occupazione francese
Lo sbarco di Algeri e l'inizio della conquista
Il 18 maggio 1830, 37 000 truppe e 675 navi tra militari e civili partirono da Tolone verso l'Algeria, in vista dello sbarco che sarebbe avvenuto la mattina del 14 giugno.[N 2] Da Sidi Ferruch, un villaggio costiero a circa trenta chilometri ad ovest della capitale, le truppe francesi affrontarono la prima resistenza il 19 giugno.[9] Il contingente algerino era composto da 50 000 unità, di cui 7 000 miliziani turchi, 13 000 truppe inviate dal bey di Costantina, 6 000 da Orano e da 16 000 a 18 000 soldati provenienti spontaneamente dalle tribù cabile.[10] La battaglia di Staoueli terminò con la vittoria francese e la successiva entrata, il 5 luglio, nella città di Algeri.
Quello stesso giorno il dey Husayn III e il generale De Bourmont firmarono la convenzione franco-algerina, un trattato di capitolazione che formalizzò la resa della Reggenza. Il trattato venne firmato a El-Biar nella Djenane Er-Raïs, passata alla storia come Villa du Traité, dove De Bourmont aveva il suo quartier generale.[11] Il 10 agosto gli invasori si appropriarono di un tesoro nascosto nei sotterranei del palazzo reale dal valore di circa cinquanta milioni di franchi: le spese dell'operazione vennero ripagate e non mancò una quota saccheggiata dagli alti ufficiali dell'esercito per il proprio tornaconto personale.[N 3] Il caso fece scandalo nell'opinione pubblica francese.[9]
Con la capitale in mano francese, non restava altro che sottomettere i territori circostanti. La violenza e la brutalità del generale Anne Jean Marie René Savary, duca di Rovigo, furono adeguati per perseguire lo scopo. Comandante dell'operazione dalla fine del 1831, agì «in modo interamente opposto ai principi liberali e ai benefici che giustamente speravamo di ottenere [da francesi]».[12] Sull'argomento si pronunciò anche il Parlamento con una commissione d'inchiesta (luglio-dicembre 1833) sui prospetti della colonizzazione: tutte le opzioni proposte dei gruppi più influenti venivano prese in considerazione, compresa un'ipotetica espulsione totale dei nativi o l'occupazione del territorio con una la progressiva sostituzione etnica data dall'immigrazione francese. Generali militari come Savary, Clauzel (a capo della spedizione da agosto 1830 a febbraio 1831 e governatore generale da luglio 1835 a febbraio 1837) o Bugeaud erano favorevoli ad un sistema di dominio assoluto.[13] Non tutti erano d'accordo con queste modalità, compreso il ministro della guerra, che era incerto sulla loro praticabilità e se fosse opportuno usare un numero di risorse così elevato per perseguire questi obiettivi a fronte dei possibili vantaggi. I risultati della commissione dichiaravano che l'occupazione permanente del territorio algerino era necessaria, viste le pressioni delle potenti lobbies commerciali nonché politiche, e il suo sviluppo iniziale andava affidato a piccoli proprietari terrieri.[14]
La resistenza anti-coloniale

Dopo il primo scontro a Staoueli, era chiaro che in una battaglia tradizionale le forze francesi avrebbero avuto la meglio, ben addestrate ed equipaggiate. La resistenza algerina quindi si organizzò in ribellioni, movimenti organizzati da un punto di vista locale data anche la frammentazione della comunità. Un primo esempio sul versante occidentale può essere la rivolta guidata da Abd el-Kader, figlio del marabutto della confraternita della Qādiriyya; nell'area orientale, invece, fu presente la resistenza del sovrano di Costantina Ahmed Bey.
Appena ventiquattrenne, l'emiro Abd el-Kader decise di assumere il ruolo di «comandante dei credenti» nello scenario della guerra santa (jihād) da lui indetta nei confronti dei coloni.[15] Il carattere religioso era garantito a causa del prestigio della carica paterna, molto rispettata dagli algerini musulmani.[16] Il primo contatto con gli uomini transalpini avvenne ad Orano nel 1832, dove l'emiro riconobbe di non aver i mezzi necessari per fronteggiare le truppe francesi. Considerato difensore della fede, del territorio e della comunità musulmana, due anni più tardi riuscì a firmare un trattato con il generale Desmichels, il quale puntava ad averlo come alleato. Il trattato Desmichels riconobbe la sovranità di Abd el-Kader su alcune tribù in Occidente e la sua investitura come bey da parte del re; poco dopo, venne modificato in segreto l'articolo riguardante il commercio, che ora dava all'emiro la libertà di commerciare forniture militari nelle regioni sotto il suo controllo, con le esportazioni da effettuare esclusivamente dal porto di Arzew.[17] Come scrive McDougall, il trattato e la successiva modifica «diedero all'emiro delle basi per considerare stabilita la sua giurisdizione, non solo sull'interno della regione ma anche sulle sue relazioni esterne».[18]
L'emiro iniziò così la costruzione della propria armata, addestrata da funzionari francesi e – in piccola parte – equipaggiata con armi da fuoco europee. La sconfitta subita dal generale Trézel il 28 giugno 1835 a Macta, dove cinquecento soldati persero la vita, suscitò la reazione dell'opinione pubblica francese. Trézel venne rimandato in Patria, e Bertrand Clauzel divenne il nuovo governatore generale. Egli prese Mascara, installò una guarnigione a Tlemcen e cercò di espandere la propria influenza anche nella regione orientale di Costantina, dove la resistenza di Ahmed Bey ebbe la meglio.[16] In risposta, il 30 maggio 1837 il generale Bugeaud firmò con Abd el-Kader il trattato di Tafna, con lo scopo di guadagnare del tempo per organizzare una seconda spedizione verso Costantina. Il trattato implicava il riconoscimento del potere dell'emiro su due terzi dell'Algeria, fatta eccezione per alcune basi costiere, e gli concedeva una grande quantità di rifornimenti militari in cambio di 180 000 franchi oro in cambio del suo riconoscimento della sovranità francese nel Paese.[19][20]
Quell'anno, il secondo attacco a Costantina riuscì a sconfiggere la resistenza di Ahmed Bey, costretto a ritirarsi nelle montagne dell'Aurès dove continuerà a combattere fino al 1848.[20] Nel 1839 un piccolo contingente di quattromila soldati guidato dal generale Valée passò per le Porte di ferro, due gole nella catena dei Bibans che Abd el-Kader considerava sotto la sua sovranità. Egli reputò l'atto come violazione del trattato del 1837 e attaccò un piccolo insediamento francese nella Mitidja; Valée venne sostituito da Bugeaud nel ruolo di governatore generale. Quest'ultimo aumentò le forze dell'esercito fino a raggiungere 107 000 unità nel 1847.[21] Per indebolire l'emirato di Abd el-Kader, Bugeaud distrusse le fonti di approvvigionamento della comunità: le coltivazioni vennero bruciate e gli allevamenti distrutti, così come le foreste.[22] A quel tempo, in Francia non era chiaro cosa fare, se rimanere nei possedimenti costieri o continuare la conquista delle aree interne.[23] Il giornalista francese Charles-André Julien definì la colonizzazione fino a questo momento «anarchica», priva di una strategia coerente.[24] Nel 1843 la smala di Abd el-Kader – una sorta di tendopoli nomade abitata da circa tremila persone – passò nelle mani francesi e lui riuscì a fuggire in Marocco con un piccolo gruppo di fedeli, dove cercò di continuare la lotta di resistenza.[19][25] Tutti i maggiori centri urbani algerini erano sotto il controllo transalpino. In Marocco, lo "Stato nello Stato" dell'emiro e la conseguente pressione francese portarono re Ḥasan I, desideroso di proteggere la sua dinastia, a respingere Abd el-Kader nel deserto del Sahara. Dopo aver incontrato delle truppe francesi, il 23 dicembre 1847 l'emiro scrisse al generale Lamorcière dichiarando la propria resa: «ho compiuto il mio dovere nei confronti di Dio […] ora che mi ritrovo impotente […] desidero riposare dalla stanchezza della guerra».[26] La sua sconfitta non equivalse alla fine della resistenza algerina: le aree interne erano ancora sotto il controllo delle confederazioni tribali.
Fino al 1871 le ribellioni continuavano ad esistere, più disperse, organizzate in modo diverso e guidate dai mahdi, incaricati da Dio di combattere contro l'infedele oppressore.[27] Ahmed Bey, sconfitto a Costantina nel 1837, restò a capo di una guerriglia itinerante nel sud del Paese. Venne costretto alla resa il 5 giugno 1848, mettendo fine alla storia della Reggenza, e morì due anni più tardi ad Algeri.[28] È proprio in quest'anno, data l'incapacità di rispondere alle rivendicazioni sociali e politiche della popolazione francese e l'inizio della Seconda repubblica, che il territorio Algerino divenne a tutti gli effetti un «territorio francese», organizzato secondo il modello metropolitano e diviso in tre dipartimenti amministrativi (Orano, Algeri e Costantina), ciascuno dotato di propri arrondissements e comuni, di propri territori civili e territori militari. Secondo Peyroulou et al., «la decisione fondamentale del 1848 è rimasta nella storia della colonia come il simbolo della sua assimilazione, poiché lo statuto dipartimentale la saldava al resto del territorio nazionale – ella divenne parte integrante del territorio della Repubblica, "una e indivisibile" […]»: questo comportava una capacità di applicazione del potere maggiore rispetto alle altre colonie, favorendo la violenza in tutte le sue forme nell'ottica dell'assimilazione.[29][8]

Il regime di «guerra totale» si dovette scontrare contro l'ultimo baluardo di resistenza, quella della Grande Cabilia di Fadhma n'Soumer, unica regione a conservare la propria indipendenza. Nata l'anno dell'arrivo dei francesi in Algeria, n'Soumer combatté al fianco di suo padre e dei suoi fratelli come parte di una ribellione determinata da pratiche feudali e marabuttiche, diventando poi il simbolo della resistenza.[30] Ella riuscì ad uscire dai legami tradizionali berberi emancipandosi in modo straordinario attraverso la religione in primis, e la resistenza armata poi. Parte della confraternita della Rahmaniya, n'Soumer prese parte al movimento di resistenza di Bou Baghla, ritiratosi in Cabilia nel 1850 per organizzare la resistenza a seguito della sconfitta di Abd el-Kader e alle incursioni francesi nella regione. La carica religiosa di n'Soumer, responsabile della zawiya a seguito della morte del padre, le permise di organizzare in maniera capillare i combattenti. Lei e Bou Baghla combatterono le forze occupanti fino alla fine del 1854, quando egli venne ucciso. Dopo una grossa sconfitta subita a Tachekkirt, nel 1857 il generale Randon tornò all'attacco con 45 000 truppe e riuscì ad occupare la fortezza di Icheriden, catturando n'Soumer e mettendo fine alla resistenza cabila.[31][32]
I movimenti di ribellione continuarono fino al 1879 nell'area dell'Aurès, di cui il più noto fu quello di Mohamed al-Mokrani; i territori del Sahara vennero incorporati solamente nell'ultimo decennio del XIX secolo, mentre per i tuareg parlanti berbero del massiccio dell'Ahaggar bisognerà aspettare il 1902.[33] La rivolta di al-Mokrani nacque sia come un gesto di protesta a seguito dell'ingerenza religiosa perpetrata dalle forze coloniali che come un tentativo di recupero del titolo di khalifa: per conseguire questo scopo, il 16 marzo 1871 egli attaccò il forte di Bordj Bou Arreridj, fallendo. Fu l'intervento della confraternita della Rahmaniya a mutare la direzione della rivolta: da un tentativo di recupero dei privilegi di al-Mokrani, l'obiettivo divenne liberare la Cabilia dagli invasori. Lo sceicco El-Haddad indisse la guerra santa e designò suo figlio Si Aziz come comandante dei combattenti. La rivolta si estese rapidamente nei dintorni di Algeri, arrivando a mobilitare un terzo del Paese, pari a più di 800 000 uomini impegnati negli scontri; nel versante francese si contavano 37 769 truppe a causa della guerra franco-prussiana, ma il 14 marzo dell'anno successivo il Ministero della guerra decise di inviare dei rinforzi a seguito del disimpegno dalla guerra, portando il conteggio a circa 86 000 soldati.[34]

La partecipazione dei marabutti e dei capo-tribù locali al fianco della resistenza ha portato lo storico Mostefa Lacheraf a denominare questo movimento come una forma di «patriottismo rurale».[35] Il 5 maggio al-Mokrani venne ucciso e il 24 giugno la resistenza si fermò alla fortezza di Icheriden, la stessa dei fatti del 1857; la lotta della Rahmaniya continuò per poche altre settimane, quando Si Aziz e il padre chiesero la pace. I francesi riuscirono ad ottenere la vittoria sia grazie alla superiorità degli armamenti che all'aiuto della resistenza dei coloni; è importante menzionare i terremoti e le epidemie di tifo e colera che colpirono la popolazione algerina tra il 1866-69, risultando in circa 300-500 000 morti nel giro di pochi mesi, quasi un quinto degli abitanti.[36][37] I coloni riuscirono ad accelerare il processo di colonizzazione in corso, prendendo il controllo di dozzine di migliaia di ettari di terreno mettendoli sotto sequestro.[38] Diversi autori denominano l'Algeria come un Paese «pacificato» dai francesi: la conquista ora poteva procedere verso il sud, dominato dal Sahara.[39]
Nel 1879 si conclude il processo di sottomissione del Paese, e l'inizio degli anni Ottanta si rivela un periodo di stabilità tale da permettere alla Terza Repubblica di riorganizzare dal punto amministrativo, politico ed economico la colonia.[40][41]
L'«Algeria francese» e l'«Algeria algerina»

La guerra franco-prussiana del 1870 causò una nuova ondata di migrazione verso l'Algeria, motivata dalla ricerca di una nuova vita prosperosa resa possibile grazie allo status privilegiato dei coloni, i quali possedevano un potere maggiore del governo di Parigi.[42][43] In questo nuovo flusso migratorio erano presenti anche gli sconfitti della Comune di Parigi, che nel 1871 si unirono ai profughi dell'Alsazia-Lorena.[44] La sconfitta nella battaglia di Sedan sancì la fine dell'Impero di Napoleone III e l'inizio della Terza Repubblica. In Algeria, questa dinamica provocò la fine del regime militare, considerata «il flagello di questa ricca colonia», e l'inizio dell'amministrazione civile sotto l'impulso del Ministro degli Interni Adolphe Crémieux.[45] Questo tipo di amministrazione favoriva una politica incentrata sul popolamento della colonia. I coloni, detti anche pieds-noirs, godevano di una posizione favorevole, confermata poi con l'introduzione del codice dell'indigénat nel 1887.[N 4]
La spoliazione delle terre
Le nuove terre consentirono la costruzione di un'Algeria sul modello francese, con un'architettura tipicamente metropolitana.[46] La spoliazione poggiò le proprie basi sui diversi decreti emanati dal 1844 in poi, che spinsero i contadini verso le zone più aride e meno fertili del sud allontanandoli dalle loro terre ancestrali.[47] La teoria del cantonnement (lett. "acquartieramento") sosteneva che gli algerini «potevano essere ammassati in un quarto o al massimo nella metà dello spazio che occupavano».[48] Sin dall'inizio della conquista, la Francia trasferì al demanio statale le terre confiscate senza titolo di proprietà e le foreste dove era in vigore solo il diritto d'uso, fondamentale per l'equilibrio tradizionale delle popolazioni dei villaggi. Negandolo, si privavano gli allevatori di una terra disponibile per il pascolo, avendo come conseguenza una frantumazione dell'organizzazione territoriale tradizionale e facilitando il percorso verso la società moderna – meno solidale, sedentaria e più individualista. Oltre ad essere assegnati ai coloni francesi, decine di migliaia di ettari di terreno vennero concessi a titolo gratuito a grandi aziende, come la Société de la Macta et de l'Habra. Nell'epoca del Secondo Impero, la decisione del 1863 del senato-consulto di creare la proprietà individuale all'interno delle tribù causò un'ondata di malcontento nei coloni, convinti che la loro espansione nelle terre arabe fosse stata rallentata.[47]
Tuttavia, questa decisione distrusse ulteriormente gli equilibri della popolazione locale, frammentando la solidarietà e la cultura tradizionale e garantendo una vendita più accessibile e facilitata delle terre coltivabili ai coloni: «il Secondo impero […] continuò, più lentamente, l'espropriazione delle terre dei fallāḥ».[47] Essa fu fondamentale per il controllo coloniale francese: la società algerina era basata sull'agricoltura e sulla lavorazione della terra, in una modalità tipicamente tribale nel douar – ossia la parte di territorio occupata da una tribù. Assieme al fattore religioso, quello della proprietà terriera era il settore più colpito dagli sforzi dell'assimilazione francese.[49] Da un punto di vista puramente economico, la spoliazione delle terre si rivelò svantaggiosa per il potere coloniale poiché andava a diminuire il gettito fiscale derivante dalla popolazione araba, rendendo necessario l'invio di sussidi verso il Paese. Alla vigilia dell'insurrezione del 1954, il salario medio annuale di un europeo coltivatore di vino ammontava a circa 1,8 milioni di franchi-oro, mentre quello di un fallāḥ era di 17 691 franchi-oro, dieci volte meno.[47]
Il nazionalismo algerino e le due guerre mondiali

Il movimento dei Giovani Algerini emerse dalla ristretta cerchia di funzionari educati alla francese, un ceto medio urbano culturalmente francesizzato la cui esistenza minacciava le grandi famiglie dell'aristocrazia tribale, urbana e religiosa tradizionale, detta dei «vecchi turbanti».[42] Tra il 1908 e il 1909, i Giovani Algerini si dichiararono favorevoli alla questione dell'apertura del servizio militare francese ai musulmani d'Algeria. Essi, fortemente ispirati al movimento dei Giovani Turchi, credettero che prestare i propri servigi militari potesse facilitare l'accesso alla cittadinanza francese. Nel 1912 depositarono al governo di Parigi il Manifeste Jeune Algérien, dove venne rivendicata la fine del regime dell'indigénat, una maggiore rappresentanza dei musulmani nella politica, l'uguaglianza fiscale della popolazione e il diritto di naturalizzazione attraverso semplice dichiarazione per chi avesse servito militarmente sotto bandiera francese. Nel periodo del dopoguerra, le richieste miravano all'accesso di pieni diritti di cittadinanza in seno alla società coloniale, prima che all'indipendenza.[50]
Il nazionalismo algerino si sviluppò in tre correnti diverse: assimilazionista, riformista musulmana e radicale. La fazione assimilazionista, negli anni Trenta rappresentata da Ferhat Abbas, era disposta a mantenere l'unione con la Francia purché si raggiungesse l'uguaglianza politica con i cittadini francesi; ciò senza che l'individuo algerino dovesse rinunciare al proprio statuto personale.[51]
La corrente riformista musulmana era guidata dagli ulema, ispirati dalle idee di Muhammad Abduh e in stretto rapporto con la borghesia tradizionale. L'Associazione degli ulema venne fondata ad Algeri il 5 maggio 1931 dallo sceicco 'Abd al-Hamid Ibn Badis, rivendicando il rispetto dell'identità araba e musulmana dell'Algeria e, di conseguenza, la sua indipendenza dalla Francia: il motto di Badis, la cui corrente riformista era detta salafita, era «l'Algeria è la mia patria, l'arabo è la mia lingua, l'Islam è la mia fede».[52] Attraverso un'estesa rete di scuole religiose, luoghi di culto e circoli culturali, l'azione degli ulema rese «l'Islam l'elemento fondamentale della specificità del popolo algerino», mezzo usato per far percepire la lotta nazionalista alle masse.[53]
«La popolazione musulmana di Algeria ha la sua propria storia, un'unità religiosa, lingua, cultura, tradizioni […] La popolazione musulmana non è parte della Francia, non può essere parte della Francia e non vuole essere parte della Francia.»
L'ultima corrente di pensiero del nazionalismo è quella radicale o radicalpopulista, incarnata da Messali Hajj.[51] L'Étoile nord-africaine (ENA) fu il primo partito politico promotore del nazionalismo algerino, fondato nel 1926 da Hadj Ali Abdelkader, parte dei numerosi giovani algerini emigrati in Francia per motivi lavorativi o di servizio militare – tra cui vi era anche l'emiro Khaled, il nipote di Abd el-Kader.[54] Nacque come un'organizzazione separata dal Partito Comunista Francese (PCF), sebbene fosse ugualmente improntata su ideali comunisti e, in particolare, sindacali.[N 5]
Di matrice laica, a differenza degli altri movimenti nazionalisti, il partito era composto principalmente dal proletariato algerino della Francia metropolitana, di cui una grande parte era berbera, sottoposto giornalmente a discriminazioni da parte della società bianca e dai propri colleghi sul lavoro. Alla sua fondazione e per i primi periodi, gli elementi centrali su cui si concentrava la lotta erano principalmente il capitalismo e l'imperialismo.[55] È solo con l'avvento di Messali Hajj alla presidenza che il partito prese una direzione fortemente nazionalista, con Hajj che divenne «il grande protagonista della politica algerina fino allo scoppio dell'insurrezione armata meritandosi l'appellativo di "padre" del nazionalismo algerino».[56] All'epoca, era l'unico movimento a rivendicare apertamente l'indipendenza dell'Algeria, anche internazionalmente.[57]
La prima guerra mondiale

La prima guerra mondiale ebbe i suoi effetti anche in Algeria. Come parte del territorio francese, i giovani algerini vennero chiamati alle armi: circa 173 000 soldati parteciparono al conflitto, di cui il 10% non ritornò in patria, e altri 119 000 furono impiegati in ruoli amministrativi.[N 6][58] I soldati algerini diedero un contributo fondamentale alle fila francesi durante la Grande guerra.[42] Ciònonostante l'Impero ottomano avesse indetto la guerra santa contro le potenze infedeli e fosse viva la fazione turcofila derivante dal forte sentimento islamico: ad esempio nel 1911, quando l'Italia invase la Tripolitania, gli algerini si mobilitarono a favore dell'Impero raccogliendo e inviando dei fondi. A seguito della guerra, i rapporti tra i francesi e gli algerini mutarono: circa 70 000 di questi ultimi restarono in Francia continentale a scopo lavorativo, mandando denaro in patria; da parte francese, il contributo algerino venne ricompensato con la legge Jonnart, la quale «comprendeva l'elettività per il terzo di componenti 'indigeni' dei consiglio regionali, mentre, da parte algerina, iniziò a svilupparsi un movimento nazionalista che rivendicava il riconoscimento di diritti molto più ampi».[42]
La nascita del nazionalismo algerino e il caso Blum-Viollette
Questa nuova legge sulla nazionalità venne varata nel 1919 ed ebbe scarsi successi. I requisiti consistevano nella monogamia e la residenza per due anni consecutivi all'interno dello stesso comune, oltre alla facoltà per il procuratore o il governatore di opporsi alla domanda. Malgrado le continue riforme varate nel corso degli anni atte all'assimilazione della popolazione algerina, e in alcuni casi anche grazie ad esse, la disparità vigente fra coloni e indigeni rimaneva intatta, creando un terreno infertile per l'emersione delle nuove élites.[59] Gli assimilazionisti, con il supporto dei progressisti francesi, cercarono di attuare un'autoriforma del sistema coloniale algerino, incontrando tuttavia una forte resistenza da parte dei pieds-noirs.[60]

I coloni d'Algeria possedevano più potere in loco rispetto al governo centrale di Parigi: un episodio esemplare fu quello della proposta di legge Blum-Viollette del 1936, sotto l'egida della coalizione del Fronte popolare (di cui faceva parte, tra gli altri, il PCF).[N 7] I due anni di esistenza del Fronte rappresentano un momento di contatto fra le due società, quella indigena e quella dei coloni: «algerini di tutte le confessioni e lingue, cittadini e non cittadini, si incontrarono, discussero e concordarono, lavorarono assieme valicando le divisioni della società coloniale».[61] Léon Blum, fondatore del Fronte con cui vinse le elezioni del 1936, propose il disegno di legge con l'allora Ministro degli affari algerini Maurice Viollette (che dal 1925 al 1927 fu governatore generale d'Algeria), il quale comprese immediatamente che quello fosse il periodo migliore per lavorare sulle condizioni degli indigeni.[62] La legge avrebbe garantito una rappresentatività politica proporzionale per un gruppo di 21 000 algerini, che dovevano aver conseguito un certo titolo di studio o una distinzione militare, con la prospettiva di estenderla in modo generale.[63][64] Blum e Viollette intuirono che non era possibile «continuare a trattare da sudditi privi dei diritti politici essenziali gli indigeni che si sono pienamente assimilati al pensiero francese e che tuttavia, per motivi di famiglia o religiosi, non possono abbandonare il loro statuto personale».[65] Tuttavia, la proposta incontrò una dura opposizione sia alla Camera, tra lobby e stampa conservatrice sostenente i coloni, che in Algeria: dei 304 sindaci europei in Algeria, ben 302 denunciarono la legge e mobilitarono le forze armate, minacciando di utilizzare la forza in caso il disegno di legge fosse stato approvato. I coloni riuscirono nel loro intento, e il progetto di legge non venne neanche discusso. In questo caso, il processo di assimilazione non venne fermato dal movimento nazionalista arabo, bensì dai pieds-noirs stessi.[65] L'episodio Blum-Viollette mise in chiaro il paradosso della politica coloniale francese: da un lato, storicamente si è sempre cercata l'assimilazione della società algerina; dall'altro, la proposta di una maggiore integrazione da parte dell'élite algerina, incarnata dalla Blum-Viollette, venne respinta.
L'anno successivo, nel 1937, tramite decreto legge venne sancito lo scioglimento dell'ENA, considerata un'organizzazione «antinazionale». Eppure, Messali Hajj non demorse: a Nanterre, poco meno di due mesi dopo fondò il Parti du peuple algérien (PPA), che nella Francia metropolitana poteva concentrarsi sulle questioni sociali, mentre in Algeria gli elementi centrali di interesse erano la lotta e l'emancipazione sociali – ciò nonostante il futuro auspicato nel programma politico del PPA comprendeva un'Algeria amica e alleata della Francia. La base del partito, similmente all'ENA, poteva basarsi sul proletariato e sul ceto mercantile urbano, faticando a radicarsi nelle zone rurali e del sottoproletariato cittadino. Nel 1939 il PPA, così come il Partito Comunista Algerino – fondato nel 1936 e ben radicato a Orano –, fu bandito e Hajj venne incarcerato.[N 8] Il partito iniziò ad operare nella clandestinità, elemento che ne favorì lo spirito rivoluzionario: non era più necessario dare false speranze al compromesso e all'assimilazione con i francesi.[66]
Nel 1938 Ferhat Abbas fondò l'Union populaire algérienne (UPA): inizialmente fiducioso nelle idee di assimilazione con i francesi, successivamente aderì all'ideale nazionalista indipendentista. Il suo Manifesto del popolo algerino avvierà la lotta nazionale e diede le basi per la costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN).[67]
Il nazionalismo algerino del periodo antecedente la Seconda guerra mondiale fu «il punto conclusivo di una crescita delle élite e delle masse per la difesa della personalità storica dell'Algeria con una propria originalità nazionale e culturale. […] [gli algerini] dopo il 1830 avevano perduto la terra, la libertà, lo studio della propria lingua – e quindi della propria storia e cultura – e le istituzioni nazionali». In questo periodo, il Paese presentava segni di una forte crisi generalizzata, soprattutto in campo economico ed agricolo. L'ottenimento dell'indipendenza avrebbe significato l'acquisizione del potere, favorendo così lo sviluppo e il perseguimento degli interessi collettivi.[68]
La seconda guerra mondiale e l'amministrazione di Vichy
Lo sbarco nei pressi di Algeri delle truppe Alleate segnò l'inizio dell'Operazione Torch (8 novembre 1942)
Con l'inizio della seconda guerra mondiale i forti ideali di decolonizzazione diffusi internazionalmente, al passo delle norme delle Nazioni Unite, accelerarono i tempi della «questione coloniale». Differentemente dagli ascari italiani, i soldati algerini reclutati combatterono anche nel teatro europeo, al fianco di colleghi di nazionalità diverse, aiutando pienamente nella liberazione dal nazismo e, sul piano intellettuale, stimolando la circolazione di idee e pensieri di emancipazione e anticoloniali.[69] Si stima che delle 560 000 truppe dell'esercito francese del 1944, 233 000 fossero di origine nordafricana; secondo un documento del Comitato francese di Liberazione nazionale il 23,2% di essi (129 920) erano musulmani algerini. Per quanto riguarda le perdite nel periodo tra la campagna di Tunisia e la resa tedesca dell'8 maggio 1945, le valutazioni del Service historique de l'armée de terre contano, su un totale di 97 715 tra morti e feriti, 11 193 deceduti e 39 645 feriti tra i musulmani, rappresentando 52% del totale.[70]
Nei primi anni della guerra, il 1939 e il 1940, l'armata composta da pieds-noirs e musulmani d'Algeria fu impiegata principalmente per sorvegliare e difendere la linea Mareth, nella Tunisia meridionale. Il terzo articolo della Carta Atlantica sanciva il «diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo sotto cui vivere»;[71] ciononostante, la definizione di 'popolo' per de Gaulle coincideva esclusivamente con le popolazioni cadute sotto il dominio delle forze dell'Asse. A favorire il processo fu la radicalizzazione del movimento nazionalista algerino, privato suoi capi: Hajj venne nuovamente incarcerato nel 1941, Ben Badis morì l'anno precedente e, sotto iniziativa del nuovo regime nazista di Vichy, i partiti politici vennero resi illegali.[72] L'incercerazione di Hajj fu dovuta al suo rifiuto di collaborare con le forze del regime, il quale abolì il decreto Cremieux e la naturalizzazione degli ebrei algerini. La posizione presa da Hajj fu quella maggioritaria, ma non mancarono algerini arruolati volontariamente nell'armata tedesca.[73] L'Algeria si rivelò «troppo zelante»: già nel 1941 non sarà più presente alcun ebreo nell'istruzione pubblica, e verrà introdotto un numerus clausus estremamente severo per gli avvocati, i dottori e gli studenti ebrei.[74]
L'8 novembre 1942 le truppe alleate sbarcarono ad Algeri e Orano, infliggendo la sconfitta più pesante ai francesi in Algeria dal 1830. Il decreto Crémieux fu ripristinato il 26 ottobre 1943, dopo trent'anni di antisemitismo ufficiale. A partire dal 1942, nell'esercito era presente il 16,35% dei pieds-noirs e il 15,8% dei musulmani algerini.[75] Con lo sbarco di Algeri, la popolazione sperò in un'applicazione della Carta Atlantica, che tuttavia venne disattesa.[N 9] Vennero quindi messe da parte le false illusioni dettate dalla politica assimilazionista, incoerente fra le sue dichiarazioni e gli atti pratici, e si lasciò spazio al nuovo spirito nazionalista, caratterizzato dalla lotta rivoluzionaria.[76] Agli occhi algerini, il vecchio prestigio francese era ai livelli più bassi di sempre.[77]
Uno dei suoi principali esponenti fu proprio Ferhat Abbas, ammiratore delle imprese kemaliste in Turchia: abbandonati gli ideali assimilazionisti, egli si dedicò alla lotta per l'indipendenza, principalmente dopo il 1945. Nel febbraio 1943 distribuì il Manifesto del popolo algerino, documento di fondamentale importanza per questa nuova fase: esso si collocava ideologicamente a metà fra le politiche assimilazioniste e quelle separatiste, chiedendo – alla luce del contributo dei soldati algerini nella guerra in corso – il rispetto dell'autodeterminazione degli algerini e della loro completa libertà, senza distinzioni razziali o religiose, che fosse di stampa, di associazione o di culto, assieme ad un'istruzione obbligatoria e gratuita per ambo i sessi; si richiedeva anche di elevare l'arabo a lingua ufficiale al pari del francese, di sopprimere la proprietà terriera feudale con una riforma agraria e la partecipazione degli algerini alla vita politica locale.[76] L'Algeria sarebbe divenuta uno stato associato alla Francia, in un concetto che si avvicina al federalismo, in cui sarebbero stati i benvenuti sia i francesi che gli ebrei.[78] Il Manifesto ricevette un'additif a maggio, ossia un'aggiunta al testo che comprendeva la rivendicazione di una Costituzione e la fine del sistema coloniale francese.[79] In Francia, il documento non venne accolto con gioia. Catroux, il governatore generale indicato da de Gaulle, era un fervente assimilazionista, e il governo francese non sembrava avere intenzione di abbandonare il territorio algerino, ormai considerato parte integrante del Midi.
Il massacro di Sétif e Guelma

Abbas si allontanò dal fascino degli ideali repubblicani e dalle false promesse di integrazione a seguito del massacro di Sétif e Guelma, perpetuato dalle truppe francesi nel 1945. Le naturalizzazioni indette nel 1944, seguenti le indicazioni contenute nella proposta Blum-Viollette, non bastarono a frenare le manifestazioni pro-indipendenza diffusesi su scala nazionale: in particolare, i primi incidenti si verificarono prima il 1° maggio 1945, festa dei lavoratori, poi l'8, giorno della vittoria alleata contro la Germania.[79] A Sétif e nella vicina Guelma furono organizzate delle parate coordinate in onore ai soldati algerini caduti nel corso della guerra, a cui vi parteciparono 10 000 persone. La pacifica manifestazione assunse un tono sempre più nazionalista, appoggiato dal PPA.[80][81] Dopo l'uccisione del quattordicenne Bouzid Saâl, colpevole di aver sventolato la bandiera dell'Emirato di Abd el-Kader, la protesta trasformò in una sollevazione incontrollata e violenta, orientata contro la dominazione e il potere coloniale: 102 coloni francesi vennero uccisi. In risposta, il governo francese mobilitò l'esercito, i quartieri arabi di Sétif e Guelma vennero incendiati, oltre quaranta villaggi vennero saccheggiati, bombardati e distrutti, ed ebbero luogo numerose fucilazioni.[82]
McDougall definisce gli eventi del 1945, durati fino al 22 maggio, «feroci, spettacolari e completamente indiscriminati; [la repressione] potrebbe aver ucciso fra i 6 000 e gli 8 000 algerini»;[83] una testimonianza dalla parte algerina è quella dello scrittore Kateb Yacine: «[…] si cementò là [a Sétif] il mio nazionalismo. C'erano certo altri fattori: l'alienazione economica e politica, ad esempio. Ma fu soprattutto questa negazione di tutto ciò che ci era stato insegnato ad aprirmi gli occhi».[84] Le fonti francesi indicano dalle sei alle quindici migliaia di algerini uccisi, mentre le fonti nazionaliste algerine rialzano la stima, portandola prima a 30 000 e poi facendola avvicinare alle 45 000 unità.[N 10] Nella storiografia nazionalista, il massacro rappresenta il punto di rottura tra il movimento indipendentista e i coloni francesi.[82]
Il dopoguerra e la lotta armata
Alla fine della seconda guerra mondiale, il territorio algerino si presenta come un «insieme di dipartimenti dotati di personalità civile, di autonomia finanziaria e di un'organizzazione particolare» secondo lo statuto del 1947, presentato dal ministro dell'interno Depreux come risposta alla richiesta d'indipendenza ormai condivisa dall'interità delle forze politiche algerine.[85] Esso avrebbe garantito un'allargamento dei diritti civili per la popolazione algerina, pur mantenendo il sistema a due collegi, di cui il primo era riservato alla popolazione europea dei coloni, e il secondo agli algerini musulmani, confermando la discriminazione di massa.

Nella realtà dei fatti, la situazione non apriva a nuovi scenari di evoluzione: nelle elezioni municipali di ottobre, la vittoria fu indubbiamente dei candidati nazionalisti di Messali Hajj, liberato nel 1946, e dell'UPA di Ferhat Abbas, che continuava a sostenere una politica più graduale di quella rivoluzionaria del Movimento per il trionfo delle libertà democratiche (MTLD), nuova piattaforma di Hajj intesa come sostituzione del PPA. Con la scusa dell'essere stato «troppo liberale», il governatore generale venne sostituito e le elezioni vennero rinviate. Il nuovo governatore generale poté così truccare le elezioni: dei 60 seggi, 41 furono assegnati a candidati amministrativi, di cui la maggior parte sconosciuti; nove furono assegnati al MTLD e otto al partito di Abbas.[86] Il sabotaggio di queste elezioni, storicamente note per i brogli e le irregolarità, spinse i restanti nazionalisti moderati alla rivolta, facendo loro abbandonare le ultime speranze rimaste per un futuro al fianco della Francia. Gli algerini erano così vittime di un completo disinteresse nei confronti della politica, poiché, come riferito da Charles André-Julien, «visto che si vota al nostro posto noi non ci disturbiamo neppure più».[87]
L'inizio della lotta armata con il MTLD e l'Organisation spéciale
Con l'inizio degli anni Cinquanta, il confronto tra le forze nazionaliste e i francesi raggiunse un punto morto. La via costituzionale della lotta lasciò il posto ad una «nuova forma d'azione», fuori dal raggio dei partiti politici tradizionali. Il primo movimento ad organizzarsi in tal senso fu l'Organisation spéciale (OS), fondata nel 1947 come costola armata dell'MTLD.[88] I brogli dell'anno seguente rinforzarono il nucleo dell'Organizzazione, nel corso della sua storia capitanata da Mohammed Belouizdad, considerato fra gli intellettuali nazionalisti più autorevoli, Hocine Aït Ahmed, capo berbero della Cabilia, e il futuro presidente dell'Algeria indipendente Ahmed Ben Bella.[N 11][85] L'azione che più diede notorietà all'OS, sia tra la popolazione che tra gli agenti di polizia, si verificò nel 1949 con l'assalto all'ufficio postale di Orano, che fruttò all'Organizzazione la somma di tre milioni di franchi. La risposta francese consistette in una vasta repressione, attuata al fine di evitare ulteriori manifestazioni di carattere nazionalista. Nel 1950, la scoperta di un «complotto» fece sciogliere l'Organizzazione, con la condanna a morte per Aït Ahmed e otto anni in carcere per Ben Bella (dal quale, tuttavia, riuscirà a fuggire nel 1952). La repressione colpì anche Hajj, che venne inviato in una residenza sorvegliata a Niort: gli unici a non esser stati bersagliati furono l'UDMA (Unione democratica del manifesto algerino, nata nel 1946) e Ferhat Abbas, storicamente fedeli ad un approccio nazionalista per vie legali, «sempre meno all'altezza dei tempi che si preparavano per l'Algeria».[88]
In questa fase, l'obiettivo di Hajj e del MTLD sembrava essere compiuto, il sentimento nazionale era stato forgiato. Era necessario un approccio diverso, anche alla luce dei dissidi interni che portarono alla scissione del movimento.[N 12] Per il segretario generale del MTLD Benyoucef Benkhedda, «la scissione del partito ha avuto in definitiva conseguenze positive perché ha permesso di liberare le forze rivoluzionarie latenti del partito e l'emergere del FLN».[89] La crisi colpisce il MTLD negli anni in cui il processo di decolonizzazione stava velocemente disgregando l'Impero coloniale francese. Il 2 febbraio 1952, a Parigi, venne redatto un patto fra le associazioni nazionaliste per l'indipendenza del Maghreb. Quello stesso anno, la presa del potere in Egitto da parte di Gamal Abd el-Nasser stimolò l'ascesa di quei movimenti che, in Marocco e Tunisia, porteranno allo scontro con i francesi e all'indipendenza nel 1956.[N 13][90]
Ma fu soprattutto la caduta a Dien-Bien-Phu del 1954 a mostrare la debolezza dell'Impero, una frattura in cui le masse algerine potevano inserirsi e reclamare la propria autodeterminazione. A marzo, la volontà di un'azione immediata fece nascere il CRUA (Comité Révolutionnaire d'Unité et d'Action), che successivamente darà vita al FLN.[91] Il Comitato nacque a seguito della spaccatura del MTLD, formato inizialmente da un gruppo di ex-leader dell'Organisation spéciale.[92]
La guerra d'Algeria e l'indipendenza
«L'Algeria di papà è morta e, se non lo capiamo, moriremo con lei.»
Con la fine della guerra in Indocina nel 1954, la Francia entra ufficialmente in un periodo di pace, che tuttavia si rivelerà essere molto breve. Nell'estate del 1954, il CRUA divise il territorio algerino in cinque distretti (wilaya), con altrettanti comandanti, in modo da prepararsi al meglio per l'insurrezione armata.[94] Il comitato direttivo era capitanato da Mohamed Boudiaf, ma non mancarono influenze esterne: tre vecchi leader dell'OS, Ahmed Ben Bella, Hocine Äit Ahmed e Mohammed Khider, formarono un ufficio politico al Cairo, unendosi agli sforzi del CRUA.[95] La rete costruita dal Comitato, che si estendeva dalla regione di Costantina a quella di Orano, decise di entrare in azione la notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre. Nelle ore comprese fra la mezzanotte e le due del mattino, una serie di esplosioni e attentati colpì il Paese, in una modalità rigorosamente preparata e coordinata, principalmente verso obiettivi militari o di polizia e i centri industriali. I trenta attentati causarono la morte di sette persone, indignando l'opinione pubblica francese: il ministro dell'interno François Mitterrand ordinò celermente l'invio di tre compagnie di CRS, formate complessivamente seicento unità. In due settimane, la rete di Algeri venne smantellata, mentre rimaneva attiva la regione montuosa della Grande Cabilia: i membri del CRUA, che rivendicarono tutte le operazioni e gli attentati formando il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), trovarono l'appoggio dei cosiddetti «banditi d'onore», guidati da Belkacem Krim.[96] Questi ultimi, in centinaia, si affidarono ad una vasta rete di supporto clandestino comprendente la popolazione locale.[94]

Il primo obiettivo del Fronte, presente nella dichiarazione di fondazione, fu la «restaurazione dello Stato algerino sovrano, democratico, sociale nel quadro dei principi islamici».[97] I sei fondatori furono Larbi Ben M'hidi, Didouche Mourad, Rabah Bitat, Mostefa Ben Boulaïd e i già citati Belkacem e Boudiaf, già militanti nel PPA-MTLD, appoggiati dai leader dell'ufficio politico presente al Cairo: sostenitori della lotta armata, per i successivi quattro anni dovranno scontrarsi contro Messali Hajj, il vecchio leader dell'organizzazione, che in risposta fondò il Movimento nazionale algerino (MNA).[95] In Francia, non si considera neanche lontanamente l'idea che l'Algeria possa essere indipendente: lo stesso presidente del Consiglio, Pierre Mendès France, affermò che «l'Algeria è francese da molto tempo. Non ci sono possibilità di secessione».[98] La riposta francese non tarda ad arrivare: il 5 novembre viene sciolto il MTLD e vengono mandati dei rinforzi militari in Algeria. Il contingente contava 83 400 uomini senza contare i goums.[99] La linea repressiva adottata dai francesi ebbe i suoi frutti con l'arresto e l'uccisione di due responsabili del Fronte. Dal punto di vista amministrativo, era presente un programma per l'Algeria, che comprendeva riforme in campo scolastico, sociale e lavorativo. Tuttavia, esso non venne attuato: il 5 gennaio 1955, il governo di Mendès France non ricevette la fiducia del parlamento. Il 31 marzo il parlamento votò lo stato di emergenza, rafforzando così i poteri dell'esercito nella regione dell'Aurès e creando anche dei «campi di accoglienza» per la popolazione.[100]
Il Fronte di Liberazione Nazionale divenne noto dal punto di vista internazionale grazie alla conferenza dei Paesi non allineati tenutasi a Bandung, in Indonesia, nel mese di aprile 1955, attirando l'attenzione delle popolazioni occidentali e afro-asiatiche sulla causa algerina.[101] Fu fondamentale internazionalizzare il conflitto, poiché non era possibile sconfiggere una potenza come la Francia da soli: il supporto dei Paesi della Lega Araba (specialmente di Marocco, Tunisia e dell'Egitto di Nasser) e, successivamente, dell'Unione Sovietica e della Cina fu di grande importanza per il Fronte, che poteva così contare su nuovi armamenti, rifornimenti e luoghi in cui addestrare i propri soldati.[102]
Inizialmente riluttante nel considerare gli scontri in Algeria come una vera e propria guerra, la politica francese dovette cambiare idea a seguito dell'insurrezione avvenuta il 20 agosto a Costantina, dove migliaia di contadini assaltarono la città, causando 123 morti di cui 71 europei. La repressione dell'esercito fu brutale: con l'aiuto di milizie private, il bilancio delle vittime conterà 1 273 morti secondo le fonti francesi, e 12 000 secondo i rapporti del FLN, mai smentiti. Furono chiamati alle armi altri 60 000 riservisti francesi e venne prolungato il tempo del servizio militare obbligatorio per ulteriori 180 000 uomini. Stremati dalla guerra, i soldati cercarono di manifestare il loro dissenso diverse volte, con l'ausilio di manifestazioni e proteste sparse per il Paese, non trovando tuttavia il sostegno delle masse.[103]
Il 29 novembre il governo di Edgar Faure non riceve la fiducia dal parlamento, fissando un'ulteriore elezione legislativa per il 2 gennaio 1956, vinta dai socialisti-repubblicani. Il nuovo presidente del Consiglio, Guy Mollet, riceve la fiducia dall'Assemblea nazionale, nominando il generale Georges Catroux come ministro in Algeria. La popolazione europea non gioì di questa decisione: il 6 febbraio venne organizzata una manifestazione in occasione della visita di Mollet ad Algeri, durante la quale egli fu vittima di una serie di contestazioni e del lancio di ortaggi, opera di un gruppo di sostenitori dell'Algeria francese, detti ultras. Tipicamente sulla linea di pensiero liberale, dopo la «giornata dei pomodori» Mollet abbandonerà il progetto volto alla pacificazione dell'Algeria. Lo storico francese Benjamin Stora afferma che, in questo momento, la «Repubblica francese capitola di fronte al lancio di qualche pomodoro […] un esecutivo di guida socialista, che sta scivolando, quasi inconsapevolmente, verso la guerra».[104] Robert Lacoste venne nominato ministro d'Algeria con un programma, approvato il 12 marzo dalla stragrande maggioranza del parlamento, che invocava l'uso di poteri speciali, limitava la libertà personale degli algerini e ricalcava la modalità militare: l'Algeria fu divisa in tre zone, similmente a quanto verrà fatto in Cisgiordania anni dopo, ciascuna pattugliata e sorvegliata da uno specifico corpo armato. La prima zona è detta di pacificazione, dove l'obiettivo fu la protezione della popolazione europea e la fornitura dei servizi essenziali ai cittadini; la seconda è la zona delle operazioni, focalizzata sull'«annientamento dei ribelli» algerini; la terza zona è detta vietata, poiché i cittadini furono evacuati e presi in custodia dalle forze armate – è in questa zona che si verificherà la costruzione dei «campi di accoglienza» di cui sopra.[105]
La battaglia d'Algeri e l'inizio della guerra totale
Il 1956 si rivelerà l'anno in cui il conflitto inizierà ad essere considerato come una vera e propria guerra dalle forze politiche e dall'opinione pubblica in Francia. Pochi giorni dopo l'approvazione dei poteri speciali, il FLN organizzò una serie di attacchi ad Algeri, provocando il coprifuoco e un costante pattugliamento dell'esercito. Nelle città più grandi del Paese erano diffusi disordini, scioperi generali e imboscate: la disorganizzazione generale e il basso livello di addestramento rese le truppe francesi suscettibile a questo tipo di attacchi, creando panico nella popolazione europea della capitale. In Francia, l'interesse dell'opinione pubblica si focalizzò sulla spedizione di Suez, rivelatasi una disfatta a seguito dell'intervento delle due potenze mondiali. Alla fine dell'anno, la situazione in Algeria stava diventando critica. I francesi potevano contare sui 350 000 uomini impiegati in loco, mentre il clima repressivo spinse i giovani algerini a entrare nella resistenza armata: l'Armée de libération nationale (ALN) contava decine di migliaia di combattenti, e anche i movimenti religiosi, come quello di Ferhat Abbas, abbandonarono le vecchie visioni e abbracciarono la causa nazionalista.[106]

Il governo di Lacoste decise di intervenire appellandosi al generale Jacques Massu, responsabile della decima divisione di paracadutisti. È il 7 gennaio 1957, inizia la battaglia di Algeri: 8 000 parà entrano in città con l'obiettivo di «pacificarla». Nel corso del mese, diverse esplosioni colpiscono il centro abitato, provocando il linciaggio di due algerini musulmani. Il Fronte di Liberazione Nazionale rispose indicendo uno sciopero generale della durata di otto giorni, brutalmente interrotto dalle forze dell'esercito «con una spettacolare azione di forza» nella casba, uno dei centri organizzativi del FLN che contava 5 000 uomini, e nei quartieri musulmani della città.[107] Tutto era giustificato, purché servisse a combattere il «terrorismo dei ribelli algerini»: in tantissimi furono schedati, perquisiti, arrestati o torturati. L'arresto di uno dei leader del Fronte, Ben M'hidi, fu seguito poco dopo dal suo «suicidio».[108] L'ampio utilizzo della tortura da parte dell'esercito provocò una forte ondata di indignazione in patria, dove si ritenne che i francesi stessero utilizzando «[…] metodi che ritenevamo propri della barbarie nazista», paragonando i campi di accoglienza alle «prigioni della Gestapo a Nancy».[N 14][109] Guazzone stima che gli algerini internati in questi campi siano stati, a fronte di una popolazione di 8,5 milioni, all'incirca due milioni.[110] Il generale Massu sostenne che «non si può lottare contro la guerriglia rivoluzionaria se non servendosi di metodi di azione clandestina».[111] Gli attentati ai danni della popolazione europea passarono, in due mesi, da 112 a 29: l'esercito fu aiutato anche dai pentiti del Fronte, che lo aiutarono nelle inflitrazioni e nelle operazioni volte allo smantellamento della rete. Con l'evacuazione della centrale di comando del FLN, il generale Massu aveva vinto la battaglia.[110]
Nei mesi successivi, l'esercito francese si rinforzò e l'ALN, che tra il 1957 e il 1959 contava 120 000 combattenti, ricevette diversi aiuti e rifornimenti provenienti dal Marocco e dalla Tunisia, paesi in cui aveva luogo l'addestramento degli uomini dell'ALN a partire dall'anno della loro indipendenza.[112] Per impedire questa dinamica, il ministro della difesa André Morice ordinò la costruzione della linea Morice, una barriera elettrificata che si estendeva per 320 km sul confine tunisino. La campagna di «pacificazione sociale» indetta da Raoul Salan nelle zone dell'entroterra riuscì, in parte, a contrastare la propaganda del FLN: l'ONU stima una cifra pari a 263 000 musulmani algerini che hanno combattuto tra le fila francesi, detti harkis.[113] Dal punto di vista interno, il 1957 è un anno di crisi per la Repubblica: si succedono diversi governi brevi, emergono le contraddizioni insite nelle azioni francesi e i valori repubblicani iniziano a vacillare. Il Partito comunista, nello specifico, era contrario alla caratteristica religiosa del movimento di liberazione, non riuscendo a prendere una posizione netta riguardo la questione algerina.
La lotta intestina del movimento nazionalista

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, neanche il nazionalismo algerino fu compatto durante questi anni. Lo scontro principale vide contrapposti il FLN e Messali Hajj, personalità centrale della fazione opposta, il MNA. Fu solo con la fine del Congresso di Soummam – primo del Fronte, tenutosi nell'estate del 1956 nella valle omonima, in Cabilia – che il FLN riuscirà a definire l'articolazione del proprio movimento: vennero creati gli equivalenti di istituzioni classiche, come una piattaforma politica che allertava i membri contro i personalismi e i regionalismi, una sorta di parlamento (CNRA, Consiglio Nazionale della Rivoluzione Algerina) e un comitato per il coordinamento e l'esecuzione.[114] Il FLN ereditò dal CRUA il sistema di suddivisione del territorio algerino in sei wilaya, pratica che negli anni successivi verrà applicata anche nel territorio della Francia metropolitana, quando il conflitto si espanderà al di fuori dell'Algeria.[115] Algeri, invece, venne considerata come ZAA (Zona Autonoma d'Algeri), una zona d'amministrazione speciale.[116] Con questa struttura ben definita, il Fronte poteva considerarsi unico rappresentante della causa nazionalista, anche da un punto di vista internazionale.
Tra il 1955 e il 1962, il FLN e il MNA si scontrarono duramente in una lotta che ebbe come obiettivo l'affermarsi di uno dei due movimenti a capo del movimento di liberazione nazionale – anche se, dal punto di vista militare, entrambi i movimenti riconobbero l'ALN come unica struttura. Ad Algeri, il 10 dicembre 1955 iniziarono i combattimenti fra i due enti con l'uccisione di uno dei capi del MNA: gli scontri si avviarono, e la lotta contro la potenza coloniale passò così in secondo piano. Uno degli episodi più cruenti di questa guerra fratricida fu sicuramente il massacro perpetuato dal Fronte ai danni dei cittadini di Melouza, sospetti messalisti. Vennero uccisi 374 abitanti, portando i membri del MNA ad arruolarsi nell'esercito francese in chiave anti-FLN. Il quotidiano Le Monde stimò che i combattimenti abbiano causato 6 000 morti e 14 000 feriti nel territorio algerino, mentre in Francia le vittime furono 4 000, accompagnate da 9 000 feriti e circa una dozzina di aggressioni.[117] Il FLN poteva considerarsi così il vincitore della lotta, diventando unico portavoce della causa: gli altri movimenti, come l'UDMA di Abbas e l'Associazione degli ulema, abbracciarono la causa del Fronte, schierandosi al suo fianco. Ufficializzato a Soummam, il nuovo Fronte poté dare un nuovo volto alla causa algerina, focalizzato sul binomio con l'ALN e sull'«affermazione del primato politico sul militare, dell'interno sull'esterno».[118] Le armi sarebbero solamente il mezzo per raggiungere un fine politico.[119]
L'unità di base dell'Armée de libération nationale era la katiba, un contingente mobile composto da circa un centinaio di uomini, con la necessità di spostarsi molto frequentemente nel territorio sia per sfuggire all'esercito francese, che per manifestare la propria presenza e forza fra le popolazioni dei villaggi delle zone rurali. Luoghi privilegiati per gli acquartieramenti erano i massicci montuosi, inospitali per il nemico. I soldati erano sottoposti ad una disciplina severissima, lontana dall'agio di una vita normale, con punizioni che potevano arrivare alla morte. Spesso erano contadini o lavoratori inoccupati a causa della crescita quasi nulla dei nuovi posti di lavoro – dove in questi anni, circa un milione di uomini potenzialmente attivi sono disoccupati.[120] Come conseguenza, nonostante siano anni di guerra, molti algerini continuarono ad emigrare in Francia, tipicamente nelle zone maggiormente industrializzate: due motivazioni importanti dietro questo flusso migratorio possono essere ritrovate nella volontà di rinnovare la struttura interna francese e nella necessità di sostituire i francesi partiti per la guerra in Algeria. Il FLN si organizzò anche nel territorio metropolitano, dividendo anche qui il territorio in cinque wilaya, raggiungendo quasi 15 000 iscritti nel 1957. I sostenitori della causa algerina in Francia furono fondamentali per il Fronte, poiché si rivelarono una fonte importantissima di denaro. Considerando una quota societaria annuale pari a trenta franchi, nel giro dei sette anni della guerra il FLN vide l'ingente somma di 400 milioni di franchi entrare nelle proprie casse.[121] In virtù di tale contributo, Stora definisce la rete del FLN presente in Francia come un «secondo fronte» della guerra.[122] Sedi del Fronte erano presenti anche in Europa centrale, orientale, negli Stati Uniti d'America, in Cina, America Latina e India.[123] L'internazionalizzazione del conflitto fece sì che, al termine della sua vita, la Quarta Repubblica venne messa sotto accusa da parte dell'ONU. Era il momento perfetto per il ritorno in politica del generale de Gaulle.
De Gaulle e la seconda fase del conflitto
Gli Stati Uniti d'America e il Regno Unito sostennero il FLN mandandogli armamenti in Tunisia, poiché le intenzioni francesi avrebbero potuto scombussolare il clima di pace presente nella regione.[124] In ragione di ciò, il generale Salan mandò un contingente militare in territorio tunisino per inseguire una colonna dell'ALN; il contingente attaccò un villaggio, causando sessantanove morti fra i civili e 130 feriti. L'efficacia della linea Morice nel tenere occupati i combattenti dell'Armée de libération nationale permise al governo di diminuire la durata del servizio di leva, gesto criticato dai coloni e dai militari, specialmente da Salan. Il 26 aprile del 1958 un'imponente manifestazione viene organizzata ad Algeri per reclamare la creazione di governo di salute pubblica, permeata da un sentimento di sfiducia nei confronti della politica. Il presidente René Coty si rivolse a Pierre Pflimlin, un centrista che da poco avanzò il desiderio di un compromesso con il FLN, tramite l'apertura dei negoziati. In risposta, il 13 maggio i militari, guidati da Salan e Mussu, assaltano il palazzo del governatorato in un vero e proprio colpo di Stato, indicendo di loro spontanea volontà la creazione di un Comitato di salute pubblica, presieduto da Massu stesso, di matrice gollista.[125]

L'idea che de Gaulle potesse fare un ritorno in politica circolava già da tempo, e il presidente Coty fu favorevole alla proposta, disposto a farsi da parte: Stora sostiene che «il generale de Gaulle, in questa congiuntura drammatica, appare ai più come la sola figura che possa tirare fuori la Francia dal pantano algerino».[126] De Gaulle rispose immediatamente all'appello di Coty, il 15 maggio, dichiarando di essere pronto ad affrontare le sfide che si erano poste di fronte alla Francia e che non aveva alcuna intenzione, alla sua età, di diventare un dittatore. Il 28 maggio finì la brevissima esperienza del governo Pflimlin con le sue dimissioni, e il 1° giugno de Gaulle assunse pieni poteri dell'Assemblée nationale, utilizzati per effettuare delle modifiche alla Costituzione. Il Presidente della Repubblica avrebbe avuto più potere, con la nuova possibilità di sciogliere il parlamento e di disporre di pieni poteri in caso di emergenza nazionale. Con queste modifiche, il potere del Parlamento sarebbe stato ridotto e l'istituzione sarebbe passata in secondo piano rispetto alla figura del Presidente, diventando a tutti gli effetti un sistema semipresidenziale. Tramite referendum, con quasi l'80% dei voti favorevoli, il 28 settembre la revisione costituzionale di de Gaulle venne approvata, dando così inizio alla Quinta Repubblica. Dopo aver tenuto dei discorsi in diverse città algerine durante l'estate, il generale si impegnò nello stanziare dei fondi destinati alla costruzione di grandi opere infrastrutturali e alla scolarizzazione in Algeria. Concesse anche la grazia a diversi militanti del Fronte, ottenendo la liberazione di alcuni militari tenuti prigionieri. Il 28 dicembre venne eletto Presidente della Repubblica francese.[127]
La posizione gollista sulla causa algerina cambiò rapidamente nei mesi successivi al discorso di Mostaganem. Si parlava di una «necessaria evoluzione» dell'Algeria, che allarmò i pieds-noirs fiduciosi nel mantenimento di un'Algeria francese. Il svolta decisiva avvenne la sera del 16 settembre 1959:
«Tenuto conto di tutti i fattori, algerini, nazionali e internazionali, considero necessario che questo ricorso all'autodeterminazione sia proclamato sin da oggi. In nome della Francia e della Repubblica, in virtù del potere che la Costituzione mi attribuisce nel consultare i cittadini, con la protezione di Dio e con l'obbedienza della nazione, mi impegno da un lato a domandare agli algerini, nei loro dodici dipartimenti, cosa vogliano finalmente diventare, dall'altro a tutti i francesi di ratificare questa scelta qualunque essa sia.»
Finalmente venne pronunciata la parola «autodeterminazione»: tutte le speranze svanirono, e i coloni europei gridarono furiosi al tradimento.[129] Durante la presidenza gollista, lo scontro in Algeria sperimentò un'intensificazione. Il 24 gennaio del 1960 si verificò una grande rivolta dei coloni ad Algeri: i gendarmi in servizio vennero attaccati dai pieds-noirs in uno scontro che provocò venti morti prima di essere fermato dai parà. Furono numerosi gli appelli rivolti all'esercito dove si esortava a rimanere fedeli al generale de Gaulle – lo stesso dichiarò fermamente che «tutti i soldati francesi devono obbedirmi».[130] In Francia, l'opposizione interna al conflitto continuò a crescere. Iniziata con le prime informazioni trapelate riguardo le torture e le esecuzioni sommarie eseguite dai soldati francesi in Algeria, con l'avanzare del conflitto il favore alla lotta algerina interessò sempre più istituzioni, soprattutto movimenti giovanili: furono più di cinquanta associazioni giovanili a richiedere la fine del conflitto, e l'Unione nazionale degli studenti di Francia organizzò una manifestazione significativa il 27 ottobre 1960 a Parigi «per la pace, attraverso il negoziato».[131] Nacque anche una rete di sostegno al Fronte di Liberazione Nazionale, composta da oltre cento personalità che avevano sottoscritto un manifesto sul diritto all'insubordinazione, edito da François Maspero. Molti dei componenti della rete furono condannati e arrestati, con pene fino ai dieci anni di carcere.[132] La seconda fase della guerra d'Algeria ormai era ormai in uno stato avanzato. Il 1961 è critico per il movimento nazionalista, poiché è in questo anno che si aprirono i negoziati per l'indipendenza. L'8 gennaio venne sottoposto ai francesi un referendum che chiese l'approvazione dell'autodeterminazione in Algeria: il «sì» vinse con il 75,25% dei voti nella Francia metropolitana e il 69,09% di quelli espressi in Algeria, dove il parere contrario era maggioritario esclusivamente nelle grandi città. È in questo momento che nacque l'OAS (Organisation armée secrète), un movimento clandestino composto da militari anti-gollisti, tra cui Salan.[115]
L'OAS e il percorso verso l'indipendenza

Il 21 aprile 1961 il 1er Régiment étranger della Legione marciò su Algeri, prendendo il controllo del governo, del deposito degli armamenti e del municipio. La capitale era sotto il controllo dei golpisti. Il colpo di Stato dei generali venne trattato con leggerezza da Parigi, quando nella realtà la situazione stava diventando critica. De Gaulle si appellò alla Costituzione per assumere i pieni poteri e lanciò un appello ai militari di leva, circoscritti, che dopo averlo ascoltato si rivoltarono contro i golpisti. Il colpo di Stato fallì: alcuni organizzatori vennero arrestati, altri, compreso Salan, entrarono in clandestinità.[133][134] Era il momento per l'OAS di entrare in azione. Da qualche centinaio, l'Organizzazione arrivò a contare 100 000 membri alla fine dell'anno, avendo come 'capo supremo' Salan stesso. La filosofia dell'OAS comprese l'uso massiccio della violenza e del terrorismo, sia in territorio francese che algerino tramite l'adesione dei coloni europei, in modo da interrompere i negoziati in corso a Évian per l'autodeterminazione algerina. Questi ultimi erano sì già avviati, ma si trovavano in una situazione critica: per partire in una posizione avvantaggiata, il Fronte di Liberazione Nazionale aumentò il numero degli attentati, causando 133 morti tra la fine di maggio e l'inizio di giugno. Contemporaneamente, l'OAS effettuava le sue azioni terroristiche in maniera estensiva, definite di matrice fascista dalla sinistra francese.[135]
La lentezza dei negoziati era dovuta alla frizione riguardante il Sahara algerino, territorio fortemente desiderato dai francesi. L'area desertica era fondamentale per l'estrazione di petrolio e risorse naturali, oltre che per la sperimentazione delle tecnologie nucleari. Successivamente, de Gaulle allentò la propria posizione sul Sahara, mentre il Fronte fu inamovibile sulle sue idee.[136] I negoziati vennero sospesi alla fine del 1961.[137] L'unità del FLN iniziò a vacillare, così come nel GPRA (Governo Provvisorio della Repubblica Algerina, in esilio al Cairo sotto la presidenza di Ferhat Abbas), divenuto poi interlocutore negli accordi. Un barlume di unità si intravedeva nell'esercito di frontiera, impegnato in Tunisia sulla linea Morice: i leader storici Houari Boumédiène, Ahmed Ben Bella, Mohammad Khider e Rabah Bibat guidavano il fronte. Con l'inizio del 1962, anche i militanti dell'OAS di Orano iniziarono con gli attentati terroristici, con missioni omicide e trasmissioni radio pirata. L'unica via rimasta percorribile per interrompere i negoziati era l'insurrezione armata: nella Francia metropolitana gli attentati aumentarono notevolmente, arrivando a contarne 801 per il solo mese di gennaio.[138]
Il 19 marzo 1962 si annunciò un «cessate il fuoco» in Algeria.[139] Gli accordi di Évian tra la Francia e il GPRA si conclusero con successo, facendo formalmente interrompere i combattimenti. Gli accordi comprendevano alcune concessioni da entrambe le parti: si permise la doppia cittadinanza per gli europei nei primi tre anni; si concessero diritti privilegiati per le basi militari francesi e nel Sahara per sei anni, soprattutto in campo di ricerca ed estrazione, e il pagamento degli idrocarburi doveva avvenire in franchi; i francesi, invece, promisero il supporto economico e finanziario al paese, in primo luogo portando a termine il piano di Costantina del 1958, ma soprattutto mettendo fine alla segregazione vigente in Algeria. Numerosi ettari di terre coltivabili passarono in mano ai contadini musulmani, venne effettuata una campagna di scolarizzazione di massa e gli stipendi vennero equiparati con quelli europei.[140]
Alla luce dei privilegi concessi ai francesi, anche riguardo lo sfruttamento delle risorse petrolifere, non si può parlare propriamente della fine dell'era del colonialismo in Algeria.[141] Il cessate il fuoco non fermò le violenze in corso, come testimoniano i massacri avvenuti a Orano tra aprile e giugno del 1962, dove quotidianamente venivano uccisi dai dieci ai cinquanta algerini. L'apice della «politica della terra bruciata» ci fu a giugno, quando la biblioteca di Algeri venne incendiata con i suoi 60 000 volumi. La violenza si affievolì fino a terminare, a seguito della deposizione delle armi da parte dell'Organizzazione.[142] Il fallimento dell'OAS portò i la comunità dei pieds-noirs a una fuga di massa dal territorio algerino, con i pochi beni rimasti. Un milione di coloni rimpatriò in Francia (da qui il nome rapatrié), a causa della paura di subire la vendetta algerina per le azioni del passato. Si trattò principalmente di europei ed ebrei, ma non mancarono i francesi musulmani, gli harkis. Gli esuli furono soprattutto persone impiegate nei lavori più facoltosi, come professori, insegnanti, tecnici; un personale specializzato difficilmente sostituibile, che destabilizzerà l'economia algerina. I beni e le proprietà terriere rimaste abbandonate fornirono l'occasione ideale per una più equa distribuzione delle terre: seppur sia vero che gli algerini musulmani possedessero il 68% della terra coltivabile, la parte realmente utile equivaleva solamente a un decimo.[143]

Domenica 1° luglio 1962 è il giorno del referendum posto agli algerini: «Vuole che l'Algeria diventi uno stato indipendente, cooperante con la Francia secondo le condizioni definite dalla dichiarazione del 19 marzo 1962?». Il 99,72% dei votanti rispose «sì», e il 3 luglio viene l'indipendenza viene confermata dal presidente de Gaulle. Il governo scelse di celebrare la data il 5 luglio, anniversario dello sbarco del 1830.[144]
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Economia
Riepilogo
Prospettiva
La conquista francese dell'Algeria aprì la strada all'instaurazione di un nuovo sistema economico. Venne istituito un sistema iniquo tra algerini ed europei, riflesso della disparità giuridica. Una delle prime misure messe in atto fu l'espropriazione delle terre dei fallāḥ, che accelerò a partire dal 1870 spinta dalla forte volontà colonizzatrice della Terza Repubblica.
A seguito dello sbarco del 1830 e della cattura della capitale, le autorità francesi saccheggiarono il tesoro del dey di Algeri, stimato in una somma pari a circa cinqunta milioni di franchi oro. La somma coprì ampiamente le spese militari.[16] I progetti urbani della futura «Algeria francese» vennero finanziati dalle imposte coloniali introdotte nel 1846 e perdurate fino alla guerra d'indipendenza del 1962.
Agricoltura
Dopo la prima guerra mondiale si assistette ad una nuova accelerazione dell'espropriazione delle terre, in particolare per costituire le grandi tenute agricole coloniali. Si stima che durante i 120 anni di dominio francese, i contadini algerini abbiano perso il 40% delle loro terre agricole, in particolare quelle più fertili – il che, in un contesto di clima mediterraneo, comporta un aumento del rischio di carestie e penurie alimentari. I coloni ebbero il controllo del 60% del patrimonio fondiario algerino: il tutto avvenne in un periodo di impoverimento generale della popolazione algerina, dovuto in larga parte al declino dell'artigianato dovuto alla concorrenza dei prodotti metropolitani,[145][146] affiancato dalla crescita demografica dovuta alle campagne di vaccinazione.
Nel 1958, il 22% delle importazioni in Francia dall'Algeria consisteva in vino, il cui prezzo a pari qualità era superiore del 75% rispetto al greco, spagnolo o portoghese.[147] Una delle motivazioni per continuare questo tipo di importazione consistette nella volontà, da parte della Francia metropolitana, di mantenere il tenore di vita dei coloni in loco, i principali produttori di vino.[145][148]
Infrastrutture
Il periodo coloniale fu caratterizzato da investimenti ingenti e costosi per la metropoli, volti a creare l'infrastruttura necessaria per lo sviluppo della colonia come ponti, strade, porti, ospedali, edifici amministrativi e scuole. Una rete ferroviaria fu costruita per connette le città costiere e quelle delle zone montuose; in seguito, la rete fu connessa a quella dei vicini Marocco e Tunisia.[149] Queste spese sarebbero state finanziate, secondo lo storico francese Jacques Marseille, dai contribuenti francesi.[150] Anche il commercio stesso sarebbe stato condotto a spese della Francia, dal momento in cui l'Algeria non forniva prodotti agricoli o minerali a basso costo, bensì vedeva i suoi beni acquistati a prezzi superiori di quelli di mercato.[151][152]
Nel periodo tra il 1952 e il 1953, le entrate locali non erano sufficienti a coprire le spese operative: l'Algeria francese era in bancarotta. Il governo di Antoine Pinay dovette richiedere l'approvazione dal Parlamento per 200 milioni di franchi di nuove tasse, e fu costretto ad effettuare dei tagli al bilancio del territorio metropolitano per stabilizzare la situazione algerina.[151] La maggioranza di questi aiuti andò nelle tasche dei coloni, mentre la popolazione algerine ne beneficiò in modo marginale.[145][148] Negli anni successivi, gli squilibri economici in Algeria aumentarono, arrivando nel 1959 a consumare il 20% del bilancio dello Stato francese.[151]
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Difesa
Istituzioni
Popolazione e società
Riepilogo
Prospettiva
Demografia

Al 1886 il numero di coloni europei era pari a 423 000, di cui il 56% proveniente dalla Francia metropolitana e il restante composto principalmente da italiani e spagnoli. Nel 1873 la percentuale francese scese arrivando al 53%. La popolazione locale contava 3 330 000 musulmani, 50 000 ebrei e immigrati provenienti dal Maghreb.[153][154]
Fu il decreto Crémieux del 1870 a naturalizzare i circa 35 000 ebrei algerini, concedendogli la cittadinanza francese e avvicinandoli così alla società coloniale.[155] Ciò in un contesto dove, a seguito dell'affermazione del senato-consulto del 1865, nel diritto francese era presente lo status di «indigeno», un francese non cittadino con un diverso codice civile e penale da seguire. Questo portò un numero consistente di algerini ad emigrare verso altri Paesi arabi, come la Siria o l'Impero ottomano, dove l'essere giuridicamente straniero era comunque più vantaggioso che rimanere in patria.[156] Nell'ultimo decennio del secolo l'Algeria sperimentò una «crisi antisemita» partita da Orano, dove nel 1897 la persecuzione era quotidiana.[157] La popolazione ebrea venne accusata di essere capitalista e oppressore delle genti, nonostante la maggior parte di essa fosse povera: di un totale di 53 000 ebrei, circa 44 000 erano in condizioni di povertà.[157]
Il codice dell'indigénat, pensato nel 1881, venne formalizzato nel 1887 e applicato all'Impero coloniale francese. È doveroso specificare che dal 1865, per un algerino era possibile accettare il codice civile francese e ottenere la cittadinanza in cambio della rinuncia allo statuto personale dettato dal Corano. Tuttavia, fino al 1934 furono solamente in 2 500 a compiere questo percorso.[158] Per la stragrande maggioranza degli algerini, l'indigénat sanciva l'inizio di una discriminazione e segregazione giuridicamente legale, assimilabile all'apartheid sudafricano: veniva segnata una separazione fra i coloni francesi e la popolazione algerina locale, attuata nella pratica con la privazione dei diritti basilari di cittadinanza e il riconoscimento di quelli che confermavano l'appartenenza etnico-religiosa, rafforzando l'idea di una divisione societaria, e l'introduzione di capi d'imputazione per reati speciali riservati agli indigeni locali.[159] Il codice restò in vigore fino al 1946.[160] Secondo Medici et al., il Maghreb era un campo d'esperimento per gli imperi coloniali, un «laboratorio d'eccellenza: quasi una prova generale della tenuta del disegno coloniale».[161]
Stranieri di origini europee
A causa dell'elevato numero di stranieri europei, era necessario rafforzare numericamente la popolazione francese, data anche l'assenza dello ius soli nell'ordinamento giuridico. Nel 1889 venne discussa e approvata la legge sulla nazionalità, che introdusse il diritto del suolo nella totalità dei territori francesi, compreso quello algerino: «il figlio di uno straniero nato in Algeria diventa francese (e cittadino) se risiede ancora in Algeria al raggiungimento della maggiore età».[162] Il paradosso si manifesta con il caso degli indigeni che, essendo considerati francesi, seppur non cittadini, non potevano godere della legge; anche la situazione giuridica dei marocchini e dei tunisini è diversa, poiché i due Paesi erano protettorati e, di conseguenza, loro considerati stranieri in Algeria. Il flusso di migranti provenienti dalla Francia metropolitana fu di fondamentale importanza allo scopo: «colonizzare è prima di tutto popolare».[163] Verso la fine del XIX secolo, i francesi emigrarono principalmente dai dipartimenti meridionali: Corsica, Pirenei Orientali, Alte Alpi, Drôme e Gard.[164] Secondo gli archivi dipartimentali, il profilo del migrante metropolitano richiedente l'offerta coloniale eratipicamente francese, capo-famiglia, sovente non in possesso delle conoscenze agricole richieste.
Per informare i possibili emigranti dell'offerta, era necessario un piano di propaganda attraverso la stampa, i manifesti e gli opuscoli regionali. Tuttavia, data la pochezza di informazioni e la mal distribuzione di esse, la propaganda non si rivelò efficace quanto, ad esempio, quella relativa ad altre destinazioni come gli Stati Uniti d'America o l'Argentina.[154] Nonostante da un punto di vista amministrativo la migrazione consistette solamente nell'oltrepassare un confine dipartimentale, arrivato a destinazione il migrante si ritrovava in un universo completamente differente dal suo. Bisognava ripiegare sulle strutture di accoglienza, molto numerose nelle città "europee" e che si basavano su un sentimento di solidarietà e di mutuo soccorso fra gli individui.

L'afflusso di migranti provenienti prevalentemente da Spagna, Italia e Malta fu di uguale importanza: per lo spagnolo o l'italiano, l'Algeria era una destinazione più economica della traversata atlantica e più sicura da un punto di vista di accettazione all'arrivo. Tipicamente, le partenze provenivano da Marsiglia, Port-Vendres, Napoli o Alicante. Questa seconda ondata di migrazione, esclusa dal primo processo di colonizzazione agricola, trovò la sua utilità come manodopera mobile e poco costosa nei cantieri delle grandi proprietà o delle strutture pubbliche.[165] Di particolare rilevanza furono i cosiddetti winterers, lavoratori stagionali descritti dal vice-console italiano di Bône nel 1881: «ogni anno, con l'avvicinarsi dell'inverno, una popolazione interamente mobile di lavoratori disoccupati si recava dall'Italia a Bône, dove si disperdeva in cerca di lavoro […] Quando arrivò l'estate, il raccolto era appena terminato e il lavoro nelle miniere si fermò a causa dell'eccessivo caldo, e tutti questi lavoratori tornarono nel loro paese natale […] presto sostituiti da nuove reclute».[166]
Secondo lo Stato italiano, dal 1901 al 1914 il flusso migratorio verso l'Algeria contava annualmente più di 2 500 individui. La legge sulla nazionalità del 1889 si applicò ai figli dei migranti europei, ora considerati come francesi, aiutando ad aumentare il numero di coloni europei nel Paese: nel 1911 vi risiedevano 137 746 spagnoli e 36 795 italiani, che insieme ai 492 660 cittadini francesi rappresentavano comunque una minorità rispetto ai 4 740 000 musulmani algerini. È qui che si inserisce il «problema arabo», la questione dell'identità e poi nazionalismo algerino per lungo tempo passata in sordina a favore delle politiche di occupazione.[167][168]
Religioni
Lingue
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Note
Bibliografia
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