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nazioni opposte agli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'espressione potenze dell'Asse, o semplicemente Asse, è usata per indicare l'insieme degli Stati che parteciparono alla seconda guerra mondiale in opposizione agli Alleati.
A dare popolarità al termine fu Benito Mussolini che, durante un discorso tenuto a Milano il 1º novembre 1936, definì «asse» l'intesa stipulata il precedente 24 ottobre tra la Germania e il Regno d'Italia, chiamata per questo motivo «Asse Roma-Berlino». Il successivo Patto d'Acciaio, stipulato dalle due potenze il 22 maggio 1939, rappresentò il primo nucleo dell'alleanza militare, poi estesa anche al Giappone con il Patto tripartito del 27 settembre 1940 (detto anche «Asse Roma-Berlino-Tokyo»).
Successivamente anche altri Stati entrarono a far parte della coalizione aderendo al Patto Tripartito. L'Asse, formato soprattutto dalle nazioni insoddisfatte dell'assetto geopolitico venutosi a creare in seguito alla prima guerra mondiale,[1] era cementato dalle affinità ideologiche dei regimi autoritari che le governavano, e mirava a costituire un «Nuovo Ordine» che avrebbe visto la supremazia della Germania nell'Europa continentale, dell'Italia nel Mediterraneo, e del Giappone nell'Estremo Oriente. Sul piano politico mirava a contrastare il capitalismo delle democrazie occidentali (Regno Unito, Francia e Stati Uniti) e il bolscevismo dell'Unione Sovietica.
Con la Repubblica Sociale Italiana che dal settembre 1943 prese il posto del Regno d'Italia, l’Asse finì definitivamente con la sconfitta del maggio 1945.
Le cause della formazione dell'Asse risiedono nel malcontento di diverse nazioni verso il trattato di Versailles, che nel 1919 concluse la prima guerra mondiale, inaugurando un turbolento ventennio di pace. La Germania, uscita sconfitta dal conflitto, era la principale potenza scontenta del trattato, dalle cui clausole era fortemente penalizzata. Tuttavia, la sua ammissione presso la Società delle Nazioni, avvenuta nel 1926 dopo l'entrata in vigore del patto di Locarno, diede inizio a un periodo di collaborazione con i vincitori, lasciando intravedere il consolidamento dell'equilibrio di Versailles. Questo processo di pacificazione fu bruscamente interrotto nel 1933 con l'avvento al potere del Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler, che aveva costruito il suo successo politico sullo spirito di rivalsa di larga parte del popolo tedesco, da lui alimentato attraverso una violenta campagna contro i cosiddetti "criminali di novembre" (ossia le autorità che nel 1918 avevano trattato la resa dell'Impero tedesco) e le gravose condizioni di pace imposte dalle potenze vincitrici.
Sostenendo di dover difendere l'integrità territoriale della Germania dalle aggressioni degli Stati confinanti, Hitler diede inizio a una politica di riarmo in aperta violazione dei trattati. Tra le nazioni scontente dell'equilibrio realizzato a Versailles c'era anche il Giappone, che non aveva ottenuto dalla vittoria i vantaggi sperati e a cui fu negato il riconoscimento di una posizione di parità con le potenze occidentali. Il malcontento nipponico aumentò quando il trattato navale di Washington del 1922 relegò la potenza asiatica in uno stato di subalternità rispetto a Stati Uniti e Regno Unito, limitando il tonnellaggio della Marina imperiale giapponese a un rapporto di tre quinti rispetto a quello concesso alla United States Navy e alla Royal Navy.[2]
Mosso da ambizioni egemoniche verso l'Asia orientale, il governo di Tokyo intraprese una politica espansionistica ai danni della Cina, a cui negli anni 1931-1932 riuscì a sottrarre la regione della Manciuria, istituendovi un proprio Stato fantoccio: il Manciukuò. La Società delle Nazioni, chiamata a intervenire dal governo cinese, emanò una risoluzione di condanna contro il Giappone, che reagì abbandonando l'organismo nel marzo 1933. La Germania nazista seguì l'esempio nipponico il 14 ottobre dello stesso anno, in seguito al fallimento della conferenza di Ginevra sul disarmo.
Negli anni successivi anche l'Italia fascista, che considerava la propria una "vittoria mutilata" dal parziale inadempimento del patto di Londra da parte delle altre potenze vincitrici, assunse un atteggiamento "revisionista" verso il trattato di Versailles. Benito Mussolini, in un primo momento ostile ai piani di Hitler, tanto da animare il fronte di Stresa (1935) per impedire l'annessione della Repubblica austriaca al Reich, si spostò su posizioni filo-tedesche in seguito alla guerra d'Etiopia (1935-1936). L'invasione dell'unico Stato africano indipendente, da tempo oggetto delle mire colonialiste italiane, fu condannata dalla Società delle Nazioni, che approvò un pacchetto di sanzioni economiche contro l'Italia, provocandone l'isolamento internazionale.
Rotti i rapporti con Francia e Regno Unito, che fino a quel momento avevano visto in lui un argine contro l'espansionismo tedesco, Mussolini fu gradualmente attratto nell'orbita della Germania di Hitler, rinunciando a difendere l'indipendenza dell'Austria e partecipando al fianco dei tedeschi alla guerra civile spagnola (1936-1939), con l'invio di ingenti aiuti militari agli insorti nazionalisti del generale Francisco Franco. Il 24 ottobre 1936 la Germania riconobbe la sovranità italiana sull'Etiopia e, il giorno successivo, il ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano e il suo omologo tedesco Konstantin von Neurath siglarono i protocolli di Berlino (detti anche "protocolli d'ottobre"), un trattato d'amicizia che Mussolini annunciò il successivo 1º novembre in piazza del Duomo a Milano:
«Gli incontri di Berlino hanno avuto come risultato una intesa fra i due paesi su determinati problemi, alcuni dei quali particolarmente scottanti in questi giorni. Ma queste intese, che sono state consacrate in appositi verbali debitamente firmati, questa verticale Berlino-Roma non è un diaframma, è piuttosto un asse attorno al quale possono collaborare tutti gli Stati europei animati da volontà di collaborazione e di pace.[3]»
Poco tempo dopo, grazie agli uffici dei diplomatici Joachim von Ribbentrop e Hiroshi Ōshima, il 25 novembre 1936 la Germania e il Giappone intensificarono i loro rapporti, stipulando il patto anticomintern in funzione anticomunista. Nel maggio 1937, dopo un colloquio con Hitler avvenuto durante il tradizionale raduno di Norimberga del Partito Nazionalsocialista, il principe Yasuhito Chichibu, fratello dell'imperatore Hirohito, si convinse della necessità di un'alleanza militare tra le due potenze e inviò diverse lettere in patria per sollecitarne la creazione. Durante l'autunno seguente, si rafforzò anche l'intesa italo-tedesca: il 28 settembre Mussolini tenne un discorso a Berlino in cui evidenziò le caratteristiche comuni di fascismo e nazionalsocialismo e parlò di «riaffermazione solenne dell'esistenza e della solidità dell'Asse Roma-Berlino»[4]; quindi, il 6 novembre anche l'Italia aderì al Patto anticomintern.
Dopo il benestare di Mussolini all'Anschluss (marzo 1938) e il ruolo da lui svolto in occasione della conferenza di Monaco (settembre 1938), dove in veste di mediatore riuscì a fare in modo che Regno Unito e Francia accettassero l'occupazione tedesca della Cecoslovacchia, l'amicizia tra Italia e Germania si consolidò fino alla sua evoluzione in una vera e propria alleanza militare con il Patto d'Acciaio, concluso a Berlino il 22 maggio 1939 dai ministri degli Esteri Galeazzo Ciano e Joachim von Ribbentrop. Circa quattro mesi dopo, con l'invasione tedesca della Polonia, ebbe inizio la seconda guerra mondiale, ma l'Italia, militarmente impreparata, rimase neutrale fino al 10 giugno 1940.
Il Giappone invece, impegnato già dal 1937 nella guerra contro la Cina, riconosciuti i preminenti interessi tedeschi e italiani in Europa e ricevuto analogo riconoscimento per l'Asia, entrò nella coalizione stipulando il Patto Tripartito, firmato anche questo nella capitale tedesca il 27 settembre 1940. Ovviamente, tutti gli Stati fantoccio manovrati dall'impero nipponico seguiranno il suo esempio e si uniranno al patto.
Nel corso del conflitto entrarono a far parte dell'Asse anche altre nazioni: Ungheria (20 novembre 1940), Romania (23 novembre 1940), Slovacchia (24 novembre 1940) e Bulgaria (1º marzo 1941). La Jugoslavia si unisce il 25 marzo 1941, ma un colpo di Stato supportato dai britannici due giorni dopo mette in dubbio la partecipazione della Jugoslavia. Anche se re Pietro II di Jugoslavia conferma la sua adesione al trattato, la Jugoslavia viene occupata dalle truppe tedesche, italiane e ungheresi nell'aprile 1941.
Quando il Regno d'Italia, l'8 settembre 1943, si schiera al fianco degli Alleati, esce dall'Asse e il 13 ottobre 1943 dichiara guerra alla Germania; al suo posto la Repubblica Sociale Italiana, dopo la sua istituzione, avvenuta il 23 settembre 1943, si schiera al fianco dei tedeschi.
Anche se nell'uso comune gli Alleati indicavano la Finlandia come uno Stato dell'Asse, essa non ne fece mai direttamente parte: la sua relazione con la Germania, durante la guerra di continuazione (1941-1944), era di «cobelligeranza».
Con la resa delle forze armate della RSI il 29 aprile 1945 e la capitolazione di Berlino nel maggio, la guerra proseguì col solo Giappone fino al settembre successivo.
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