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Konstantinos Kavafis
poeta e giornalista greco Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Konstantinos Petrou Kavafis, noto in Italia anche come Costantino Kavafis (in greco Κωνσταντίνος Καβάφης?; Alessandria d'Egitto, 29 aprile 1863 – Alessandria d'Egitto, 29 aprile 1933), è stato un poeta e giornalista greco. [2] Tra le figure più illustri della letteratura greca moderna,[3][4][5] compose un canone di 154 poesie, ponendosi all'intersezione tra la moderna espressività poetica europea e le antiche immagini e idealizzazioni dell'Ellenismo.[6]
(greco)
«Ἀπ᾽ ὅσα ἔκαμα κι απ᾽ ὅσα εἶπα
νὰ μὴ ζητήσουνε νὰ βροῦν ποιòς ἤμουν.
[...]
Ἡ πιò ἀπαρατήρητές μου πράξεις
καὶ τὰ γραψίματά μου τὰ πιò σκεπασμένα –
ἀπò ἐκεῖ μονάχα θὰ μὲ νιώσουν.»
νὰ μὴ ζητήσουνε νὰ βροῦν ποιòς ἤμουν.
[...]
Ἡ πιò ἀπαρατήρητές μου πράξεις
καὶ τὰ γραψίματά μου τὰ πιò σκεπασμένα –
ἀπò ἐκεῖ μονάχα θὰ μὲ νιώσουν.»
(italiano)
«Da quanto ho fatto, da quanto ho detto
di scoprire non cerchino chi fui.
[...]
Di me le azioni meno percettibili
e dei miei scritti quelli più velati –
sarà solo di lì che capiranno.»
«Da quanto ho fatto, da quanto ho detto
di scoprire non cerchino chi fui.
[...]
Di me le azioni meno percettibili
e dei miei scritti quelli più velati –
sarà solo di lì che capiranno.»


L'opera di Kavafis è stata tradotta numerose volte in molte lingue. Il suo amico E. M. Forster, romanziere e critico letterario, presentò per la prima volta le sue poesie al mondo anglofono nel 1923; si riferiva a lui come "Il Poeta",[7] descrivendolo come "un gentiluomo greco, con un cappello di paglia, fermo ad un angolo dell’universo".[8] La sua opera, come ha affermato un traduttore, "contiene lo storico e l'erotico in un unico abbraccio".[9]
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Biografia
Riepilogo
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Kavafis nacque nel 1863 ad Alessandria, nell'allora Egitto ottomano, dove i suoi genitori greci si stabilirono nel 1855; fu battezzato nella Chiesa greco-ortodossa e aveva sei fratelli maggiori. Originario della comunità greca fanariota di Costantinopoli (oggi Istanbul), suo padre si chiamava Petros Ioannis (Πέτρος Ἰωάννης), da cui il patronimico Petrou presente nel suo nome, e sua madre Cariclea (Χαρίκλεια; nata Georgaki Photiades, Γεωργάκη Φωτιάδη).[6][10][11] Il padre era un mercante benestante che aveva vissuto in Inghilterra negli anni precedenti e possedeva sia la nazionalità greca che quella britannica. Due anni dopo la morte improvvisa del padre nel 1870, Kavafis e la sua famiglia si stabilirono per un periodo nel Regno Unito, spostandosi tra Liverpool e Londra. Nel 1876, la famiglia affrontò gravosi problemi finanziari a causa della lunga depressione del 1873 e, con la loro attività ormai scioltasi, fecero ritorno ad Alessandria nel 1877. Qui Kavafis frequentò il collegio greco Hermes, dove strinse i suoi primi amici intimi e iniziò a redigere il suo dizionario storico all'età di diciotto anni.[6]
Nel 1882 disordini ad Alessandria costrinsero la famiglia a trasferirsi, anche se ancora temporaneamente, a Costantinopoli, dove alloggiarono nella casa del nonno materno, Georgakis Photiades. In quell'anno, infatti, scoppiò una rivolta ad Alessandria contro il controllo anglo-francese dell'Egitto, precipitando così la guerra anglo-egiziana del 1882. Durante questi eventi, Alessandria fu bombardata e l'appartamento di famiglia a Ramleh fu bruciato. Al suo arrivo a Costantinopoli, il diciannovenne Kavafis entrò così in contatto per la prima volta con i suoi numerosi parenti e iniziò una strenua ricerca dei suoi antenati, in modo da poter individuare le proprie radici nel più ampio contesto ellenico. Parallelamente, iniziò a prepararsi per una carriera nel giornalismo e nella politica, e diede avvio ai suoi primi tentativi sistematici di comporre poesie.[6][10]

Nel 1885, Kavafis fece ritorno ad Alessandria, dove visse per il resto della sua vita, lasciandola solo per escursioni e viaggi all'estero. Dopo il suo arrivo, riacquistò così la cittadinanza greca e abbandonò quella britannica, che suo padre aveva acquisito alla fine degli anni quaranta dell'Ottocento. Inizialmente iniziò a lavorare come corrispondente di cronaca presso il giornale Telegraphos (1886): in seguito, lavorò in borsa e infine fu assunto come impiegato temporaneo, a causa della sua cittadinanza straniera, presso il Ministero dei Lavori Pubblici egiziano gestito dagli inglesi. Lavoratore coscienzioso, Kavafis mantenne questo incarico rinnovandolo annualmente per trent'anni (l'Egitto rimase un protettorato britannico fino al 1926).
Durante questi decenni, una serie di morti inaspettate di amici intimi e parenti funestarono la vita del poeta. Pubblicò le sue poesie dal 1891 al 1904 sotto forma di manifesti, e solo per i suoi amici intimi: non a caso, gli elogi che la sua produzione letteraria ricevette provenivano principalmente dalla comunità greca di Alessandria. Infine, nel 1903, fu introdotto nei circoli letterari della Grecia continentale grazie all'intercessione di Gregorios Xenopoulos: per il resto, tuttavia, conobbe scarsi riconoscimenti, perché il suo stile si differenziava nettamente dagli stilemi della poesia greca allora dominante. Solo vent'anni dopo, in seguito alla sconfitta greca nella guerra greco-turca, una nuova generazione di poeti di ispirazione nichilista (ad esempio Karyotakis) trovò feconda ispirazione nell'opera di Kavafis.
Una nota biografica scritta da Kavafis recita quanto segue:
«Appunto autobiografico. Io sono di origine costantinopolitana, ma nato in Alessandria d’Egitto, in una casa della via Cherif. Me ne andai di là ch’ero ancora bambino, e molta parte della mia infanzia la passai in Inghilterra, Più avanti negli anni visitai ancora quel paese, ma per poco. Soggiornai anche in Francia. Adolescente, passai più di due anni a Costantinopoli. In Grecia è da anni che non vado più. Il mio ultimo impiego è stato presso un ufficio dipendente dal ministero egiziano dei Lavori Pubblici. Parlo l’inglese, il francese e un poco italiano»
Nel 1922, Kavafis lasciò la sua posizione di alto rango presso il dipartimento dei Lavori Pubblici, un atto che definì come catartico, e si dedicò al completamento della propria opera poetica. Nel 1926, a riconoscimento dei suoi contributi poetici, lo stato greco onorò Kavafis conferendogli la medaglia d'argento dell'Ordine della Fenice.[10] Morì infine di cancro alla laringe il 29 aprile 1933, il giorno del suo 70° compleanno.[12][13] Dalla sua morte, la reputazione di Kavafis è cresciuta considerevolmente ; la sua poesia è insegnata nelle scuole in Grecia e a Cipro e nelle università di tutto il mondo.
E. M. Forster lo conobbe personalmente e scrisse un libro di memorie su di lui, contenuto nella sua opera Alexandria. Forster, Arnold J. Toynbee e T. S. Eliot furono tra i primi promotori di Kavafis nel mondo di lingua inglese prima della seconda guerra mondiale.[14] Nel 1966, David Hockney realizzò una serie di stampe per illustrare una selezione di poesie di Kavafis, tra cui Nel villaggio noioso.
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Produzione letteraria
Riepilogo
Prospettiva

Il corpus letterario completo di Kavafis comprende le 154 poesie che costituiscono il suo canone poetico in senso stretto; le sue 75 poesie inedite o "nascoste", che furono trovate completate nel suo archivio o in possesso di amici, e non furono pubblicate fino al 1968; le sue 37 poesie rifiutate, che pubblicò ma a cui in seguito rinunciò; le sue 30 poesie incomplete che furono trovate incompiute nel suo archivio; così come numerose altre poesie in prosa, saggi e lettere.[15] Secondo le istruzioni del poeta, le sue poesie vanno classificate in tre categorie distinte: storiche, filosofiche ed edonistiche o sensuali.[10]
Kavafis fu determinante nella rinascita e nel riconoscimento della poesia greca sia in patria che all'estero. Le sue poesie sono, in genere, evocazioni concise ma intime di personaggi e ambienti reali o letterari che hanno avuto un ruolo nella cultura greca. Alcuni dei temi distintivi sono l'incertezza sul futuro, i piaceri sensuali, il carattere morale e la psicologia degli individui, l'omosessualità e una nostalgia esistenziale fatalistica e disincantata. Oltre ai suoi soggetti, non convenzionali per l'epoca, le suoi composizioni mostrano anche una tessitura poetica abile e versatile, estremamente difficile da tradurre.[16] Il suo stile prediletto era una forma giambica libera, sicché i versi raramente rimano e sono solitamente composti da 10 a 17 sillabe.
Quasi tutta l'opera di Kavafis è scritta in lingua greca; ciò malgrado, la sua poesia rimase sconosciuta e sottovalutata in Grecia, e iniziò a essere valorizzata solo a partire del 1935, quando ne fu pubblicata la prima antologia nel 1935 su iniziativa di Eracle Apostolidis. Il suo stile e il suo linguaggio unici (che erano un misto succinto e personalissimo della lingua colta della tradizione, il katharevousa, e il più popolare demotico) avevano attirato le critiche di Kostis Palamas, il più grande poeta della sua epoca nella Grecia continentale, e dei suoi seguaci. È noto per il suo uso prosaico delle metafore, il suo brillante uso dell'immaginario storico e il suo perfezionismo estetico, caratterizzato da un lessico scarno ed essenziale, ritmicamente affine al linguaggio parlato, e da un uso dell'aggettivo parsimonioso, quasi centellinato. Queste qualità, tra le altre, gli hanno assicurato un posto duraturo nel pantheon letterario del mondo occidentale.
Tra le poesie più conosciute di Kavafis vi è indubbiamente Aspettando i barbari. La poesia inizia descrivendo una città-stato in declino, la cui popolazione e i cui legislatori attendono il misterioso arrivo dei barbari. Quando cala la notte, i barbari non sono ancora arrivati. La poesia termina: «E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? / Era una soluzione, quella gente». Kavafis, in questo modo, intendeva rievocare le contraddizioni della storia, e far riflettere sulle aspettative nutrite verso un cambiamento che, seppur nella drasticità tragica di un'invasione, era percepito come una soluzione al proprio stato di avvilimento e prostrazione. La poesia influenzò opere letterarie come Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati (1940), La riva opposta (1951) di Julien Gracq e Aspettando i barbari (1980) di J.M. Coetzee.[17]
Nel 1911, Kavafis compose invece Itaca, tra le sue poesie più celebri, ispirata al viaggio di ritorno omerico (nostos) di Ulisse alla sua isola natale, così come descritto nell'Odissea. La poesia trasfigura le peregrinazioni dell'eroe omerico in una metafora del viaggio che ciascuno di noi è portato a compiere nella propria vita. Dopo aver esperito le inquietudini e le turbolenze del mare, alludendo ai pericoli, ai dolori e alle paure di ciascun uomo, si potrà così raggiungere la meta agognata (il Sapere, la felicità, o secondo altre interpretazioni, Dio): ma, nell'interpretazione di Kavafis, l'approdo alla meta finale non è d'altronde così importante, in quanto il senso del viaggio è il viaggio stesso, con tutti gli accidenti - positivi e negativi - che lo caratterizzano:[18]
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere, [...]
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per stradasenza aspettarti ricchezze da Itaca.
Poesie storiche

Kavafis, oltre che dalla propria vicenda personale, desumeva le tematiche delle proprie opere anche da una profonda e ampia conoscenza della storia, in particolare dell'epoca ellenistica, che trovò proprio in Alessandria d'Egitto uno dei suoi centri culturali e scientifici più floridi. Altre poesie provengono dall'antichità elleno-romaica e dall'epoca bizantina, con occasionali riferimenti mitologici. I periodi scelti sono per lo più di declino e decadenza (ad esempio, l'epos di Troia); i suoi eroi affrontano la fine definitiva. I suoi poemi storici includono: La gloria dei Tolomei, A Sparta, Vieni, o re dei Lacedemoni, Il primo passo, Nell'anno 200 a.C., Se solo ci avessero pensato, Il dispiacere di Seleucide, Teodoto, Re alessandrini, Ad Alessandria, 31 a.C., Il dio abbandona Antonio, In un comune dell'Asia Minore, Cesarione, Il potente della Libia occidentale, Degli Ebrei (50 d.C.), Tomba di Eurione, Tomba di Lanes, Myres: Alessandria 340 d.C., Cose pericolose, Dalla scuola del famoso filosofo, Un sacerdote del Serapeo, La malattia, Clito, Se davvero morto, Nel mese di Athyr, Tomba di Ignazio, Da Ammones che morì anziano 29 nel 610, Aemilianus Monae, Alessandria, 628-655 d.C., Kisarion (poema), In chiesa, Mare mattutino (alcune poesie su Alessandria rimasero incompiute alla sua morte).[19]
Di seguito si riporta un'analisi di Gian Maria Annovi:
«Proprio la moderna città egiziana, con la sua storia, i suoi miti, i quartieri popolari, i caffè, le vie e le taverne, centro periferico da sempre luogo di mescolanze culturali e di lingue, come la Trieste di Italo Svevo e di Umberto Saba, funge da soggetto e insieme da paesaggio di gran parte della prima produzione poetica di Kavafis. Così come era successo a Baudelaire, anche il poeta alessandrino avverte “l’impatto torturante della grande città moderna sull’individuo solitario”, come scrive Thomas Stearns Eliot, separato da alte mura dalla vera vita (“senza scrupolo, senza pietà, senza pudore / grandi e alte mura intorno a me hanno elevato”, Le mura), moralmente inerte e senza slancio vitale [...] Alessandria, metafora del destino, diviene anche il filtro che permette l’osmosi continua tra il presente e l’età ellenistica e bizantina, tra la coscienza e la storia vissuta come un meccanismo implacabile in cui si inseriscono il senso e il controsenso del dramma personale. Ma la città mitica “drammatizzata” da Kavafis è sempre quella dei momenti poco gloriosi, di transizione, immagine di un mondo che si sgretola con i suoi monumenti, denuncia nemmeno velata del vuoto decadentismo dell’epoca di trapasso in cui si trovava a vivere il poeta»
Poesie omoerotiche
Le poesie sensuali di Konstantinos Kavafis sono permeate da un lirismo intenso e da una profonda emozione legata all’amore omosessuale, spesso ispirato dal ricordo di esperienze biografiche personali. Non casualmente, infatti, il tempo del vissuto, nella linearità del suo sviluppo cronologico, assume in queste liriche un'importanza secondaria: ciò che davvero conta è la sua elaborazione interiore, la sua rievocazione e trasfigurazione attraverso la memoria. Questa percezione soggettiva attraverso il processo poetico si purifica e si distilla così fino a raggiungere una forma di verità universale, in un lento lavoro di sedimentazione della memoria, in cui il passato rivive nel presente con una forza che lo rende eterno.
Questa capacità di sublimare l’esperienza individuale in riflessione universale risulta affine alla ricerca di Marcel Proust, al quale Kavafis si avvicina sia per la sensibilità al tema della memoria e del tempo, ma anche per via del proprio orientamento sessuale, vissuto come un'esperienza profonda, ma segreta, e per questo ancora più carica di desiderio e intensità: «Temere di nominare l’amore per i ragazzi di Kavafis significa non amare Kavafis» avrebbe poi scritto Pier Paolo Pasolini.[20] La tematica omoerotica viene esplorata in testi come Torna o Una notte, nei quali il corpo amato e il piacere vissuto non si offrono come oggetti di narrazione, ma come presenze interiori che ritornano attraverso la scrittura, trasfigurati dalla distanza e dalla solitudine. In Una notte, ad esempio, l’incontro erotico consumato su un “vile letto plebeo”, tra le voci confuse di operai che giocano a carte nella stanza accanto, si riaffaccia con la medesima intensità nell’atto solitario del ricordo, trasformando l’istante fuggevole in un assoluto poetico.
In questa prospettiva, l’amore non è mai solo esperienza sensuale, ma anche e soprattutto esperienza della perdita, del desiderio che si consuma nell’istante e che solo la memoria può riscattare. La scrittura diventa allora il luogo dove ciò che è stato può tornare a vivere, dove l’effimero si fa eterno, e dove il corpo amato, pur assente, diventa presenza costante nel flusso della coscienza poetica. Come osservato dal poeta George Kalogeris:[21]
«Oggi è forse più popolare per i suoi versi erotici, in cui i giovani alessandrini delle sue poesie sembrano essere usciti direttamente dall'Antologia greca, per entrare in un mondo meno accogliente che li rende vulnerabili e spesso li tiene in povertà, sebbene la stessa ambra ellenica ne seppellisca i bellissimi corpi. I soggetti delle sue poesie hanno spesso un fascino provocatorio anche nei loro contorni più essenziali: l'avventura omoerotica di una notte che viene ricordata per tutta la vita, la pronuncia oracolare inascoltata, il giovane talentuoso incline all'autodistruzione, l'osservazione improvvisa che indica una crepa nella facciata imperiale.»
Poesie filosofiche

Chiamati anche poemi istruttivi, si dividono in poemi con consultazioni con i poeti e poemi che trattano altre situazioni come l'isolamento (ad esempio in Le mura), il dovere (come in Le Termopili) e la dignità umana (Il Dio abbandona Antonio).
Il poema Termopili evoca la famosa Battaglia delle Termopili, in cui trecento Spartani, guidati dal re Leonida, combatterono valorosamente contro l'invasione dell'Ellade da parte di centinaia di migliaia di Persiani, pur consapevoli della loro inevitabile sconfitta. Per Kavafis vi sono alcuni principi nella nostra vita che dovremmo seguire vigorosamente, e le Termopili sono il fondamento del dovere: occorre restare a combattere, pur sapendo della potenzialità del fallimento.[22]
In un'altra poesia, Nell'anno 200 a.C., Kavafis commenta l'epigramma storico "Alessandro, figlio di Filippo, e i Greci, eccetto i Lacedemoni,...", tratto dalla donazione di Alessandro ad Atene dopo la battaglia del Granico.[23] Kavafis elogia l'epoca e gli ideali ellenistici, condannando così le interpretazioni chiuse e localistiche su tale periodo storico. Tuttavia, in altre poesie, la sua posizione oscilla con ambiguità tra l'ideale classico e l'era ellenistica (che a volte viene descritta con tonalità languide e decadenti).
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