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Matteo Guimerà
vescovo e beato cattolico italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Matteo Guimerà, noto anche come Matteo Cimarra o Matteo d'Agrigento (Agrigento, 1376/1377 – Palermo, 7 gennaio 1450), è stato animatore e propagatore del movimento di riforma dell'Osservanza francescana in Sicilia e vescovo di Agrigento dal 1442 al 1445. È stato beatificato per equipollenza da papa Clemente XIII nel 1767.
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Biografia
Riepilogo
Prospettiva
Nato ad Agrigento dalla famiglia spagnola dei Guimerà, abbracciò la vita religiosa nella provincia siciliana dell'ordine minoritico.[1] Secondo alcuni agiografi, fu inviato a Bologna per gli studi teologici, li coronò a Barcellona, dove probabilmente conseguì il titolo di Magister, e fu ordinato sacerdote nel 1400.
Fu amico e seguace di Bernardino da Siena, massimo esponente del movimento di riforma dell'Osservanza in seno al suo ordine: aderì al movimento e lo promosse specialmente in Sicilia. Nel 1421 era già la guida riconosciuta del movimento nell'isola e nel 1425 papa Martino V gli concesse di fondare tre nuovi conventi dell'Osservanza.[1]
Insieme con Giovanni da Capestrano, difese davanti al papa Bernardino da Siena, accusato di promuovere una strana devozione al nome di Gesù.[1]
Per ottenere aiuto e protezione dal re Alfonso il Magnanimo, si recò nel regno d'Aragona e vi soggiornò tra il 1427 e il 1428, fondando i conventi osservanti di Valencia e Barcellona: dopo un breve ritorno in Sicilia, dove nel 1429 fondò il convento di Siracusa, nel 1430 fu richiamato in Spagna dalla regina Maria per mettere pace tra suo marito e suo fratello, il re di Castiglia Giovanni II.[1]
Fu più volte vicario provinciale dell'Osservanza in Sicilia ed ebbe l'incarico di visitare e riformare conventi anche in altre regioni.[1]
Per intervento di Alfonso il Magnanimo, nel 1442 fu eletto vescovo di Girgenti.[2] Il 17 settembre 1442 fu nominato vescovo di Agrigento da papa Eugenio IV e venne consacrato il 30 giugno 1443 nella Chiesa madre di Sciacca da Giovanni De Rosa, vescovo di Mazara del Vallo.
Per la sua generosità verso i poveri venne accusato presso la Santa Sede di dilapidare i beni della Chiesa. Secondo varie testimonianze infatti, egli rinunciò a tutti i proventi ecclesiastici in favore dei poveri, riservandosi soltanto lo stretto necessario per sé e per coloro che collaboravano con lui. Venne anche accusato di godere di una donna carnalmente, ma nel processo svoltosi alla corte pontificia si dimostrò l'innocenza del vescovo Matteo e il Papa lo assolse da ogni accusa e gli confermò la sua fiducia restituendogli la sede episcopale.
Il suo governo continuò ad incontrare aspre opposizioni tra clero e aristocrazia locale. Infine si ammalò, lasciò la guida della diocesi e si ritirò a Palermo, dove morì il 7 gennaio 1450.[2]
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Il culto
Fu sepolto nella chiesa del convento palermitano di Santa Maria di Gesù, da lui stesso fondato.[2]
Il 22 febbraio 1767 papa Clemente XIII approvò il culto tributato ab immemorabili al beato.[3]
Si ebbero varie ricognizioni canoniche e sistemazioni delle reliquie del vescovo e nel 1958 gli venne dedicato un nuovo altare.[2]
Il suo elogio si legge nel martirologio romano al 7 gennaio.[4]
Genealogia episcopale
La genealogia episcopale è:
- Vescovo Giovanni De Rosa, O.F.M.
- Vescovo Matteo Guimerà, O.F.M.
Opere
- Matteo d’Agrigento, Sermones varii, a cura di Agostino Amore, Edizioni francescane, Roma 1960.
- "De ligno Paradixi" e "Cum ieunatis", edite per la prima volta in: S. M. Gozzo, Due sermoni inediti del beato Matteo d'Agrigento, "Noscere sancta", a cura di I. Vázquez Janeiro, I, Roma 1985, pp. 245–281.
- "De inferno" e "De passione Domini", pubblicate per la prima volta in: M. Sensi, Il Quaresimale del beato Matteo d'Agrigento, "Bollettino storico della città di Foligno", XIX 1995, pp. 7–74.
- Sermoni inediti sono conservati presso la biblioteca del Convento di Capestrano, Mss. XXXII, cc. 25-74v.
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Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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