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collaborazione con il nemico in tempo di guerra Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il collaborazionismo è un fenomeno sociale e politico connesso alle vicende di governo di un paese occupato militarmente da una potenza straniera, che vi organizza una classe dirigente totalmente asservita agli interessi degli occupanti. Sebbene in Italia il termine fosse già usato prima del fascismo per indicare la partecipazione al governo da parte dei socialisti, esso viene abitualmente usato in riferimento alla collaborazione con i nazisti nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale[1].
Esso consiste nell'organizzazione di una struttura di controllo sociale, in modo da creare un collegamento tra la potenza occupante e la popolazione assoggettata. Tale struttura di controllo sociale è composta da elementi locali e si articola secondo uno schema piramidale che riproduce quello tipico di un normale apparato statale, dotato quindi di una propria burocrazia e regole autonome di funzionamento, che va da un vertice, civile o militare, fino a una base operativa costituita da elementi inseriti nelle varie classi sociali con funzione spionistica e delatoria, che assicurino il controllo e la repressione dei movimenti eversivi che possono turbare l'ordine pubblico.
Da ciò il termine negativo di "collaborazionismo", nel senso di offerta stabile e consapevole di collaborazione con un soggetto occupante extranazionale, che rappresenta gli interessi di un altro governo, finalizzata a far funzionare l'apparato statale che altrimenti avrebbe difficoltà a operare normalmente, visto che il precedente apparato, di norma, viene rimosso o comunque destrutturato[2].
Nell'esperienza storica europea le vicende più importanti che videro la nascita di stati fantoccio collaborazionisti si ebbero durante la seconda guerra mondiale. Il Terzo Reich, ad esempio, instaurò in buona parte dei territori occupati governi asserviti ai propri voleri (in altri permase invece un'amministrazione militare); tra questi la Francia (a partire dal 1942, con l'Operazione Anton che invase la Repubblica di Vichy[3]), la Repubblica Sociale Italiana con sede a Salò, la Norvegia di Vidkun Quisling e il governo degli ustascia in Croazia. Anche l'Impero Giapponese creò degli stati vassalli per gestire la propria espansione negli anni Trenta e Quaranta, il più celebre tra i quali è senza dubbio il Manciukuò.
Durante la seconda guerra sino-giapponese, il Giappone creò nei territori occupati, situati nella parte nord-orientale della Cina, un'amministrazione civile fedele alla causa nipponica, nota come Repubblica di Nanchino. Presidente del governo era il collaborazionista Wang Jingwei,[4] che già negli ultimi mesi del 1938 aveva proposto di negoziare con i Giapponesi. Il suo governo nella Cina occupata iniziò il 30 marzo 1940, quando divenne Presidente dell'Esecutivo Yuan e Dirigente del Governo Nazionale (行政院長兼國民政府主席). Tra il 1940 e il 1943 continuò ad esprimere solidarietà alle Potenze dell'Asse, criticando l'imperialismo occidentale, il comunismo sovietico e il Kuomintang di Chiang Kai-Shek.[5] Wang Jingwei morì prima della fine della guerra, nel 1944, e non subì quindi un processo per alto tradimento.[6]
All’indomani dell’annuncio alla radio del maresciallo Badoglio sulla resa dell’Italia, il 9 settembre 1943 i tedeschi, nell’ambito di attuazione del piano Achse, nell’arco di 9 giorni occuparono gran parte del territorio italiano spingendosi a sud quasi fino a Salerno, dove il 18 settembre 1943 la loro avanzata fu fermata dagli Alleati. L’esercito tedesco si appropriò inoltre di tutti i territori fino ad allora occupati dall’esercito italiano catturando complessivamente circa 810.000 militari italiani. Di questi circa 600.000 uomini rifiutarono ogni collaborazione con le forze armate tedesche e fasciste, restando fedeli al giuramento fatto al re, furono rinchiusi nei campi di prigionia nazisti. Circa 197.000 militari catturati scelsero invece, per convinzione o semplicemente per evitare la deportazione, di continuare la guerra a fianco delle potenze dell’Asse, tradendo in tal modo il giuramento fatto al Re.[7][8]
Il territorio italiano occupato dai tedeschi venne considerato “territorio occupato”, sottoposto all’autorità militare germanica, e diviso in tre entità politico-amministrative:
Secondo una stima del Comando SS di Milano le forze militari e delle forze di polizia della RSI, al 9 aprile 1945, contavano circa 130.000 uomini[9]:
Le formazioni fasciste costituite in funzione antipartigiana si macchiarono talvolta di delitti atroci, così efferati da sorprendere addirittura gli occupatori tedeschi: La Guardia Nazionale Repubblicana era costituita principalmente da ex carabinieri, da ex militi della MVSN e da ex appartenenti alla PAI. Alcune unità della GNR sostennero reparti dell’esercito e della polizia tedeschi nella guerra al fronte contro gli Alleati e nella lotta contro i partigiani. La GNR partecipò a numerose operazioni di rappresaglia, come ad esempio alla strage di Forte Bravetta[10], e si macchiarono anche di crimini di guerra contro la popolazione civile. Alla fine del conflitto diverse centinaia dei suoi appartenenti furono liquidati dai partigiani italiani e jugoslavi;[11] tra di essi i 12 ex carabinieri, inquadrati nella GNR, uccisi a Malga Bala.
L’Esercito Nazionale Repubblicano costituiva l’esercito regolare della Repubblica Sociale Italiana, ma per l’impiego operativo era di fatto subordinato ai comandi militari tedeschi. La maggior parte delle azioni compiute dalle untà di questa formazione militare furono dirette contro il movimento partigiano; i comandanti tedeschi, poco inclini a fidarsi dei militari italiani dopo i fatti dell’8 settembre, preferirono evitare di coinvolgerli nei combattimenti al fronte.[12]
Le Brigate Nere erano formate in larga parte da fascisti radicalizzati ed operavano con brutalità e ferocia nei confronti dei combattenti della Resistenza e di chiunque fosse anche solo sospettato di fornire loro sostegno. Le Brigate Nere rappresentavano l’espressione più violenta del fascismo. Spesso superavano i compiti a loro affidati. Le brutalità da essi compiute nelle azioni ritorsive furono tali da stupire addirittura Karl Wolff, comandante supremo delle SS in Italia, che le definì “eccessi terroristici”.[13]
«… brigate nere. Autentico flagello della popolazione, queste erano altrettanto odiate dai cittadini quanto dalle autorità…e da me. Le brigate nere erano composte dai seguaci più fanatici del partito. Sprezzanti della morte, incapaci di esprimere un giudizio personale, fedeli devoti al Duce, gli uomini di queste formazioni erano capaci di assassinare chiunque, di compiere qualsiasi nefandezza quando si trattava di eliminare un avversario politico.»
La Decima MAS si componeva da militari provenienti dalla 10ª Flottiglia MAS della Regia Marina Italiana che dopo l’Armistizio di Cassibile decisero di collaborare con la Germania nazista. per continuare la guerra contro gli Alleati.
«rappresentava (…) una delle milizie più feroci della Repubblica sociale di Mussolini, alleata dei nazisti fin dall'8 settembre prima ancora dei fascisti. "Secondo le stime dell'Atlante delle stragi nazifasciste fece almeno 300 morti innocenti, spiega lo storico Nicola Labanca (…) La “Decima” si macchia di episodi atroci e di crimini di guerra (…) Durante le torture gli uomini della Flottiglia X MAS marchiavano o incidevano sul petto degli sventurati la “X” della Decima. Agli alberi delle strade pendevano i corpi di partigiani con una cartello al collo: “E’ passata la Decima”»
La Legione Autonoma Mobile Ettore Muti era composta principalmente da elementi del fascismo milanese, integrati da volontari della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Tra il 18 marzo 1944 e il 27 aprile 1945 operò principalmente nella provincia di Milano e nel cuneese, rendendosi protagonista di rastrellamenti e crimini che saranno oggetto di un processo nel 1947.[17]
Col decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159 furono istituite un’Alta Corte di giustizia e Corti d’assise speciali – i giudici popolari erano designati dai Comitati di Liberazione nazionale – poi sostituite dalle sezioni speciali, con i giudici popolari nominati dal presidente della Corte e la possibilità per i condannati di ricorso in Cassazione. Peraltro, "il decreto 5 ottobre 1945 sottraeva a questi organi le questioni che implicavano un giudizio di carattere militare, devolute ai Tribunali militari, disposizione decisiva nella lunga vicenda giudiziaria di Graziani, accusato ai sensi dell’art. 5, che rifondeva il decreto 26 maggio 1944 n. 134, e disponeva «chiunque, posteriormente all’8 settembre 1943, abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto o assistenza ad esso data, è punito a norma delle disposizioni del Codice penale militare di guerra. Le pene applicate ai militari sono applicate anche ai non militari. I militari saranno giudicati dai Tribunali militari, i non militari dai giudici ordinari»"[18].
Per giudicare i crimini fascisti e condannare gli imputati di collaborazionismo le autorità del Regno d’Italia emanarono leggi e istituirono organismi giuridici speciali, ancor prima della fine del conflitto.[19][20]
«Dal punto di vista legislativo, fondamentale fu il Decreto-legge luogotenenziale del 27 luglio 1944, n. 159 “Sanzioni contro il fascismo”, approvato dal governo Bonomi (...) Le Corti d’Assise straordinarie (Cas), destinate a processare gli imputati di collaborazionismo, furono istituite il 22 aprile 1945 (Decreto legislativo luogotenenziale 22 aprile 1945, n. 142) dal terzo governo Bonomi a cui partecipavano i partiti che facevano parte del Comitato di Liberazione nazionale (Cln) (...) I principali crimini perseguiti erano rastrellamenti, in particolare della popolazione civile, partecipazione a incendi e distruzioni, collaborazione allo spoglio di opere d’arte o alla rapina di beni; partecipazione alla deportazione di ebrei; partecipazione a plotoni d’esecuzione, partecipazione a tribunali speciali della Rsi, sevizie ai danni di civili e partigiani, delazione nei confronti di civili e partigiani, attuazione di forme di collaborazionismo economico (...) Il quadro generale – dal luglio 1944 al dicembre 1952 – dei condannati per collaborazionismo, dei processi ancora in corso e dell’impatto dei provvedimenti di clemenza viene riassunto in una relazione inviata dal ministro di grazia e giustizia, Adone Zoli, al presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi, all’inizio del 1953. Dalla relazione risulta che vi erano stati:
– 5928 condannati per collaborazionismo
– di questi 259 erano stati condannati a morte
– la sentenza era stata eseguita per 91 di essi. Per gli altri 168 la condanna alla pena di morte non aveva avuto seguito in conseguenza di provvedimenti di amnistia o di grazia.
Un numero imprecisato di condannati era stato liberato e la pena era stata interamente estinta in seguito alle amnistie.
Al 31 dicembre 1952 i condannati per collaborazionismo ancora detenuti erano 266, i latitanti 334.
Se prendiamo in considerazione gli imputati e tra questi coloro che furono condannati, possiamo dire che, in generale, tra coloro che avevano esercitato ruoli di rilievo nella Rsi, negli alti gradi dell’esercito, dell’amministrazione, dei tribunali speciali, ben pochi furono condannati a pene severe. Per la quasi totalità di loro non si giunse nemmeno al dibattimento; se processati, furono condannati a pene lievi, assolti, liberati in seguito alle amnistie (...) La maggior parte dei collaborazionisti che subirono delle condanne aveva esercitato funzioni medio-basse, erano inquadrati nelle varie Brigate nere, nella Guardia nazionale repubblicana, nei servizi di polizia investigativa (UPI Ufficio politico investigativo), e nello spionaggio. La tesi che i tribunali si accanissero contro i gregari, mentre i capi uscivano indenni dalla resa dei conti, fu ampiamente utilizzata dagli avvocati difensori dei condannati per chiedere annullamenti delle sentenze e revisione dei processi.»
Dopo la caduta del fascismo e la sconfitta dei nazisti molte persone, sospettate di avere commesso crimini di guerra riconducibili al fascismo, di avere collaborato con le autorità tedesche, di avere militato nella RSI o semplicemente di avere manifestato simpatie fasciste, furono catturate, sottoposte a processi popolari e giustiziate, a volte anche senza processo. Gli atti di giustizia sommaria nei confronti di fascisti e collaborazionisti, compiuti nei giorni immediatamente successivi al termine della guerra, furono localmente tollerati dai comandi alleati:
«Fate pulizia per due, tre giorni, ma al terzo giorno non voglio più vedere morti per le strade»
La persecuzione dei fascisti durò per alcuni mesi e produsse molte vittime. Secondo un'indagine della Direzione generale di Pubblica sicurezza, svolta alla fine del 1946, le persone uccise perché politicamente compromesse con il regime fascista sarebbero state 8.044. A questo numero vanno aggiunte 1.180 persone "prelevate e presumibilmente soppresse", per un totale di 9.224.[23][24][25] Questa cifra si accorda con l'entità di quelle dichiarate nel 1948 al Senato da Ferruccio Parri, che parlò di un numero di morti compreso tra 10.000 e 15.000.[26]
«Per quanto non precise, queste cifre stabiliscono tuttavia un ordine di grandezza di riferimento, garantito dalla convergenza tra i dati del ministero dell’Interno e le stime degli alleati: è presumibile che nell’aprile-maggio 1945 la giustizia insurrezionale abbia comportato un numero di vittime compreso tra ottomila e diecimila, escludendo dal computo i caduti dell’Istria, di Trieste e del Goriziano, dove l’epurazione assume tratti specifici.»
La Zona d'operazioni del Litorale adriatico, o OZAK (acronimo di Operationszone Adriatisches Küstenland), fu un territorio annesso "de facto" alla Germania nazista e comprendente le province italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana.Fu creato assieme alla Zona d'operazioni delle Prealpi nel settembre 1943[29], a seguito dell'occupazione tedesca dell'Italia centro-settentrionale e dell'istituzione del regime collaborazionista della Repubblica Sociale Italiana. L’OZAK, pur essendo ufficialmente parte della Repubblica Sociale Italiana, era sottoposta all'amministrazione militare tedesca e di fatto, annessa al Terzo Reich.
Il comando militare dell’OZAK fu affidato a Ludwig Kübler, mentre il comando della polizia e delle SS venne affidato a Odilo Globočnik, che avviò una lotta crudele e senza quartiere al movimento partigiano friulano e slavo molto forte sia nel Friuli che nella Venezia Giulia, attraverso l'utilizzo di forze collaborazioniste italiane e straniere. Queste ultime erano formate da oltre 12.000 uomini, inquadrati in vari corpi militari e di polizia tra i quali la Milizia per la Difesa Territoriale, l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, la Guardia Civica, due reparti regolari dell'esercito della RSI (Battaglione bersaglieri Mussolini e Reggimento Alpini Tagliamento), la Xª Flottiglia MAS (dal novembre 1944 al febbraio 1945), le Brigate nere, la polizia tedesca e varie formazioni di collaborazionisti sloveni, croati, serbi e cosacco-caucasici.
«Prefetti e podestà finiscono sotto il controllo di "consiglieri" tedeschi". Dalle autorità tedesche dipendono direttamente anche le formazioni della milizia fascista e i vari reparti di polizia, impegnati anche nelle operazioni di rastrellamento antipartigiane. Tra questi particolare rilievo ha l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia... La sezione operativa dell'Ispettorato divenne tristemente nota come "Banda Collotti, dal nome del suo comandante Gaetano Collotti. Dopo l'8 settembre essa proseguì nella sua attività antipartigiana mettendosi al servizio dei tedeschi e distinguendosi in particolare nella cattura degli ebrei.»
«Fuori dal capoluogo, la palma della criminalità travestita da difesa dell’ordine spetta ad uno dei quattro centri di repressione dell’attività partigiana costituiti dai tedeschi in Friuli, e cioè quello attivo ... presso la caserma Piave di Palmanova. Guidati dal tenente Odorico Borsatti, comandante di un plotone di volontari italiani e tedeschi della SS, e da Ernesto Ruggiero a capo di una compagnia della Milizia di difesa territoriale, gli uomini della caserma Piave terorizzano gli abitanti della Bassa friulana, dando prova di incredibile ferocia: nasi e orecchie strappati a morsi, prigionieri squartati da due cavalli, altri coperti di polvere pirica e incendiati, sono alcune delle testimonianze di una violenza che sconfina nettamente nella patologia...»
Come nel resto d’Italia, dopo la cacciata dei nazisti anche nelle provincie che avevano fatto parte dell’OZAK si verificarono numerose uccisioni di persone, sospettate di avere commesso crimini di guerra riconducibili al fascismo, di avere collaborato con le autorità tedesche, di avere militato nella RSI o semplicemente di avere manifestato simpatie fasciste. Le violenze postbelliche compiute nelle province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume presentano tuttavia delle differenze rispetto a quelle compiute nel resto d’Italia. Gran parte del territorio di tali province fu strappata al controllo militare tedesco dagli Jugoslavi che, dopo averne assunto il controllo, gestivano essi stessi tali violenze, in base a precise disposizioni emanate dagli organi politici jugoslavi. Tali violenze avevano non solo finalità ritorsive “nei confronti di chi era accusato di crimini contro i popoli sloveno e croato (quadri fascisti, uomini degli apparati di sicurezza e delle istituzioni italiane, ex squadristi, collaboratori dei tedeschi)”, ma anche “finalità epurative dei soggetti ritenuti pericolosi, come ad esempio gli antifascisti italiani contrari all’annessione alla Jugoslavia (membri dei CLN, combattenti delle formazioni partigiane italiane che rifiutavano di porsi agli ordini dei comandi sloveni, autonomisti fiumani)”, nonché “finalità intimidatorie nei confronti della popolazione locale, per dissuaderla dall’opporsi al nuovo ordine.”[32]
«Sorte simile a quella degli arrestati civili ebbero i militari della RSI. Dopo la resa i reparti vennero in genere sottoposti a decimazioni selvagge. Poi i prigionieri vennero inviati ai campi dove trovarono condizioni spaventose, per la denutrizione ed i maltrattamenti. Particolarmente noto è al riguardo il caso del campo di Borovnica presso Lubiana, dove la mortalità fu assai elevata (...)
Per le stragi del 1945 l’ordine di grandezza è delle migliaia. Lo stato della ricerca non consente quantificazioni precise. Gli arrestati nelle province di Trieste e Gorizia furono circa 10.000, ma la maggior parte di essi fu liberata nel corso di alcuni anni. Secondo una ricerca condotta a fine anni '50 dall'Istituto centrale di statistica, le vittime civili (infoibati e scomparsi) nel 1945 dalle province di Trieste, Gorizia ed Udine furono 2.627. Probabilmente la cifra è leggermente sovrastimata, perché qualche prigioniero può essere rientrato senza darne notizia. D'altra parte, a tale stima vanno aggiunte le circa 500 vittime accertate per Fiume e qualche centinaio dalla provincia di Pola. Inoltre, mancano dal computo i militari della RSI, per i quali il calcolo è difficilissimo, in quanto le fonti non li distinguono dagli altri prigionieri di guerra. Una stima complessiva delle vittime fra le 3.000 e le 4.000 sembra perciò abbastanza ragionevole.»
La politica del NSDAP era, nel complesso, quella di lasciare l'autonomia necessaria alle autorità dei paesi occupati con un loro governo per mantenere l'ordine pubblico, permettendogli di risparmiare truppe d'occupazione che restavano quindi disponibili per il fronte. Quasi tutti i paesi occupati ebbero la loro forma di collaborazionismo:
In generale le truppe straniere nelle Waffen-SS raccolsero quasi 500.000 aderenti da tutti i Paesi occupati, venendo così a costituire la più grande formazione militare volontaria della storia. Non sono considerabili collaborazionisti i membri minori dell'Asse, come l'Ungheria, diretta da Miklós Horthy, o la Romania di Ion Antonescu. Tuttavia, entrambi questi paesi divennero collaborazionisti nelle fasi finali del conflitto, seppure su fronti opposti: in Ungheria venne instaurato un regime filo-tedesco, le Croci Frecciate, per evitare una resa separata, e in Romania Re Michele I effettuò un colpo di Stato per creare un governo filo-sovietico che firmasse la resa incondizionata all'Armata Rossa, offrendo così all'URSS il controllo totale della Romania.
In tempi più recenti, il termine è stato usato per indicare i cambogiani che presero parte alla Repubblica Popolare di Kampuchea (un governo instaurato dai vietnamiti nel 1979)[46] e i palestinesi accusati di atteggiamento amichevole verso le autorità israeliane.[47]
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