Prime biblioteche romane
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Le prime biblioteche romane scaturirono dal forte desiderio dei romani di coltivare la cultura greca, e ciò accadeva già nel III secolo a.C. Per la metà del II secolo a.C. la grecità veniva promossa e diffusa da un circolo di nobili romani guidati da Scipione l'Emiliano.[1] Scipione era pervaso dallo spirito greco: si racconta che, durante la terza e ultima guerra punica tra Roma e Cartagine, nel 146 a.C., nella quale comandava le forze romane che abbatterono le ultime difese della città africana e la misero in fiamme, mentre guardava i fuochi che ardevano, espresse il suo stato d'animo in questo momento storico citando un appropriato versetto dell'Iliade di Omero.[2] Suo padre, Emilio Paolo, aveva distrutto per sempre l'impero macedone ventidue anni prima con la vittoria della Battaglia di Pidna; non prese bottino per sé, ma lasciò che Scipione e l'altro suo figlio, entrambi "appassionati di conoscenza" - che all'epoca voleva dire "conoscenza greca" - si portassero via con loro la biblioteca reale.[1]
Poiché parlare greco e aver conoscenza della letteratura greca erano diventati gli ingredienti comuni della vita culturale della classe superiore romana, molte famiglie avevano raccolto un certo numero di libri che formavano una cosiddetta "biblioteca", di modeste dimensioni s'intende, ma con gli autori canonici in voga. L'unica vera collezione libraria che si sappia sia esistita con certezza è quella della precedente biblioteca macedone che Scipione e suo fratello acquisirono tramite loro padre. Tale raccolta era indubbiamente vasta e variata, dato che probabilmente fu iniziata verso la fine del V secolo a.C. da Re Archelao I di Macedonia, che era così amante della cultura greca da attirare Euripide e altri famosi letterati ateniesi presso la sua corte macedone. La biblioteca inoltre era stata quasi certamente arricchita da Antigono II Gonata, il cui lungo regno (277-239 a.C.) fu rinomato per il suo patronato delle arti.[3] Scipione fu quindi in grado di offrire accesso a quegli scrittori latini che godevano della sua amicizia, a scritti greci speciali e fuori dall'ordinaria disponibilità pubblica. Si prenda come esempio Ennio, che i romani consideravano il padre della letteratura latina. Tra le molte opere che produsse, si annovera una traduzione in latino della singolare storia utopico-filosofica di Evemero, che narra di un viaggio immaginario verso un'isola sconosciuta dell'Oceano Indiano.[4] Ennio deve aver ricevuto il testo greco di questo inusitato scritto da Scipione, poiché Evemero aveva passato più di un decennio presso la corte macedone e certamente aveva fatto in modo che la biblioteca reale contenesse alcune copie delle sue opere.[1]