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Apocrifo

testo religioso, ma non canonico; per estensione, opera di dubbia autenticità o ufficialità Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Apocrifo
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Il termine apocrifo, dal greco ἀπόκρυφος, derivato di ἀποκρύπτω «nascondere», indica «ciò che è tenuto nascosto», «ciò che è tenuto lontano (dall’uso)».

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Pagina dalla Bibbia di Ginevra, in un'edizione stampata da Robert Barker (Londra, 1615), con gli apocrifi biblici

Originariamente riferito all'ambito dei libri esclusi da uno dei vari canoni della Bibbia (vedi apocrifo biblico), in seguito ha avuto un'estensione del suo significato, per indicare qualcosa di autenticità o ufficialità dubbie.

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Etimologia e uso del termine

Riepilogo
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Etimologia

L'origine della parola è l'aggettivo del latino medievale apocryphus (segreto, o non canonico), derivato dall'aggettivo greco antico ἀπόκρυφος (apokryphos, "ciò che è tenuto celato"), a sua volta dal verbo ἀποκρύπτειν (apokryptein, "nascondere, celare").[1][2]

Uso

La parola apocrifo (ἀπόκρυφος) ha subito un notevole mutamento di significato nel corso dei secoli. Nell'uso cristiano antico indicava originariamente un testo letto in privato anziché in contesti liturgici pubblici.

In alcuni ambienti esoterici, il termine fu applicato a scritti che venivano mantenuti segreti[3] poiché veicolo di conoscenze ritenute troppo profonde o sacre per essere divulgate a chi non fosse iniziato. Ad esempio, i discepoli dello gnostico Prodico si vantavano di possedere i libri segreti (ἀπόκρυφα) di Zoroastro. Il termine godette in generale di grande considerazione presso gli gnostici (come visibile negli Atti di Tommaso).[4]

Apocrifo venne applicato anche a scritti nascosti non per la loro sacralità, bensì per il loro valore discutibile agli occhi della Chiesa. Il teologo cristiano Origene, nei suoi Commentari a Matteo, distingue tra scritti letti nelle chiese e scritti apocrifi: γραφὴ μὴ φερομένη μέν ἒν τοῖς κοινοῖς καὶ δεδημοσιευμένοις βιβλίοις εἰκὸς δ' ὅτι ἒν ἀποκρύφοις φερομένη (scritti non presenti nei libri comuni e pubblicati da un lato [ma] effettivamente presenti in quelli segreti dall'altro).[5] Il significato di ἀπόκρυφος equivale qui praticamente a "escluso dall'uso pubblico della chiesa" e prepara la via a un uso ancor meno favorevole del termine.[4] Nel prologo al commento di Origene al Cantico dei cantici, di cui sopravvive soltanto la traduzione latina, si legge:[4]

«De scripturis his, quae appellantur apocriphae, pro eo quod multa in iis corrupta et contra fidem veram inveniuntur a maioribus tradita non placuit iis dari locum nec admitti ad auctoritatem.»

Nell'uso generale, la parola apocrifo ha assunto il significato di opera o documento "di autenticità dubbia".[6] Nel caso di un'opera attribuita - o intenzionalmente da parte del vero autore, o da parte della successiva tradizione critica - a un autore diverso da quello reale (eventualmente anche fittizio), si parla più propriamente di pseudoepigrafia.

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In ambito religioso

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Buddhismo

I Jātaka apocrifi del Canone pāli, come quelli appartenenti alla raccolta del Paññāsajātaka, sono stati adattati per conformarsi alle culture locali in alcuni paesi del Sud-est asiatico e sono stati rielaborati con modifiche alle trame per riflettere meglio la morale buddhista.[7][8]

All’interno della tradizione pāli, i Jātaka apocrifi di composizione più tarda (alcuni databili fino al XIX secolo) sono considerati una categoria distinta di letteratura rispetto alle storie dei Jātaka "ufficiali", che sono stati più o meno formalmente canonizzati almeno dal V secolo, come attestato da ampie prove epigrafiche e archeologiche, ad esempio nelle raffigurazioni superstiti in bassorilievo sulle antiche pareti dei templi.

Taoismo

Testi profetici chiamati Ch'an-wei furono scritti da sacerdoti taoisti durante la dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.) per legittimare, nonché limitare, il potere imperiale.[9] Essi trattano di oggetti preziosi che facevano parte dei tesori reali della dinastia Zhou (1066–256 a.C.). Sorgendo dall’instabilità del periodo degli Stati Combattenti (476–221 a.C.), gli antichi studiosi cinesi vedevano il governo centralizzato degli Zhou come un modello ideale che il nuovo impero Han doveva emulare.

I Ch'an-wei sono testi scritti da studiosi Han sui tesori reali degli Zhou, non per registrare la storia fine a sé stessa, ma per legittimare il regno imperiale in corso. Questi testi assumevano la forma di racconti su scritti e oggetti conferiti agli imperatori dal Cielo e costituenti le insegne regali di questi antichi re-saggi (così venivano chiamati gli imperatori Zhou a quel tempo, circa 500 anni dopo il loro apogeo).[9] L’effetto desiderato era di confermare il Mandato celeste dell’imperatore Han attraverso la continuità offerta dal possesso degli stessi talismani sacri.

Proprio a causa di questa registrazione politicizzata della storia è difficile rintracciare le origini esatte di tali oggetti. È noto però che questi testi furono probabilmente prodotti da una classe di letterati chiamata fangshi. Si trattava di nobili che non facevano parte dell’amministrazione statale; erano considerati specialisti o occultisti, ad esempio indovini, astrologi, alchimisti o guaritori.[9] È da questa classe di nobili che si ritiene siano emersi i primi sacerdoti taoisti. Seidel osserva tuttavia che la scarsità di fonti relative alla formazione del primo taoismo rende poco chiaro il legame preciso tra i testi apocrifi e le credenze taoiste.[9]

Bibbia

Lo stesso argomento in dettaglio: Apocrifo biblico.

Ebraismo

Gli apocrifi ebraici, noti in ebraico come הספרים החיצונים (Sefarim Hachizonim: "i libri esterni"), sono opere scritte in gran parte da ebrei, specialmente durante il Secondo Tempio, non accettate come manoscritti sacri al momento dello sviluppo del canone della Bibbia ebraica. Alcuni di questi libri sono considerati sacri da parte di alcuni cristiani, ed entrano nelle loro versioni dell’Antico Testamento. Gli apocrifi ebraici si distinguono dagli apocrifi del Nuovo Testamento e dagli apocrifi biblici in quanto sono l’unica di queste raccolte a collocarsi interamente entro un quadro teologico ebraico.[10]

Sebbene gli ebrei ortodossi credano nell’esclusiva canonizzazione dei 24 libri attuali della Bibbia ebraica, essi considerano anche autorevole la Torah orale, che si ritiene sia stata tramandata da Mosè. Alcuni sostengono che i sadducei, a differenza dei farisei ma come i samaritani, sembrino aver mantenuto un numero di testi canonici più ridotto e più antico, preferendo attenersi solo a ciò che era scritto nella Legge di Mosè (la Torah),[11] rendendo ai loro occhi apocrifo gran parte dell’attuale canone accettato, sia ebraico sia cristiano. Altri ritengono che sia spesso affermato erroneamente che i sadducei accettassero soltanto il Pentateuco (Torah).[12] Gli esseni in Giudea e i terapeuti in Egitto avrebbero posseduto una letteratura segreta (cfr. Manoscritti del Mar Morto).

Altre tradizioni mantennero usi differenti riguardo alla canonicità.[13] Gli ebrei etiopi, ad esempio, sembrano aver conservato un insieme di testi canonici simile a quello dei cristiani ortodossi etiopi.[14][15]

Deuterocanonici

Lo stesso argomento in dettaglio: Libri deuterocanonici.

Il Decretum Gelasianum (attribuito oggi a un anonimo erudito attivo tra il 519 e il 553) si riferisce a opere religiose dei Padri della Chiesa come Eusebio, Tertulliano e Clemente di Alessandria come apocrife. Agostino definì il termine nel senso di "oscurità dell'origine", implicando che qualsiasi libro di autore ignoto o di autenticità dubbia sarebbe stato considerato apocrifo. Girolamo nel Prologus Galeatus dichiarò che tutti i libri al di fuori del canone ebraico erano apocrifi. Nella pratica, però, Girolamo trattò come canonici alcuni libri esterni al canone ebraico, e la Chiesa latina non accolse la sua definizione di apocrifi, mantenendo invece l'accezione precedente.[4] Di conseguenza, varie autorità ecclesiastiche etichettarono come apocrifi differenti libri, trattandoli con gradi diversi di considerazione.

Origene affermava che "i libri canonici, come tramandati dagli Ebrei, sono ventidue".[16] Clemente e altri citavano alcuni libri apocrifi come "Scrittura", "Scrittura divina", "ispirati", e simili. Maestri collegati alla Palestina e familiari con il canone ebraico (il protocanone) esclusero dal canone tutto l'Antico Testamento che non vi era contenuto. Tale visione si riflette nel canone di Melitone di Sardi, e nelle prefazioni e lettere di Girolamo. Una terza posizione era che i libri non fossero tanto preziosi quanto le Scritture canoniche della raccolta ebraica, ma avessero un valore morale, come testi introduttivi per i nuovi convertiti dal paganesimo, e per essere letti nelle congregazioni. Furono chiamati "ecclesiastici" da Rufino.[4]

Nel 1546, il Concilio di Trento cattolico riconfermò il canone di Agostino, risalente al II-III secolo, dichiarando: «Sia anatema chi non riceve questi libri interi, con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella Chiesa cattolica e come si trovano nelle antiche edizioni della Vulgata latina, quali sacri e canonici». Tutti i libri in questione, eccetto 1 Esdra, 2 Esdra e la Preghiera di Manasse, furono dichiarati canonici a Trento.[4]

I protestanti, invece, ebbero sin dall’inizio opinioni diverse sui deuterocanonici. Alcuni li considerarono divinamente ispirati, altri li respinsero. Luterani e anglicani conservarono i libri come letture intertestamentarie cristiane e come parte della Bibbia (in una sezione chiamata "Apocrifi"), ma senza fondarvi alcuna dottrina.[17] John Wyclif, umanista cristiano del XIV secolo, dichiarò nella sua traduzione biblica che "qualsiasi libro che nell'Antico Testamento si aggiunga a questi venticinque sia posto tra gli apocrifi, cioè senza autorità o fede".[4] Tuttavia, la sua traduzione della Bibbia includeva gli Apocrifi biblici e la Lettera ai Laodicesi.[18]

Martin Lutero non classificò i libri apocrifi come Scrittura, ma nella Bibbia di Lutero (1534) li pubblicò in una sezione separata dagli altri libri, sebbene gli elenchi luterani e anglicani fossero differenti. Gli anabattisti usarono la Bibbia di Lutero, che conteneva i libri intertestamentari; i matrimoni amish includono "il racconto del matrimonio di Tobia e Sara negli Apocrifi".[19] I padri dell’anabattismo, come Menno Simons, li citarono "con la stessa autorità e quasi con la stessa frequenza dei libri della Bibbia ebraica" e i testi sul martirio sotto Antioco IV in 1 Maccabei e 2 Maccabei furono tenuti in grande stima dagli anabattisti, che conobbero la persecuzione nella loro storia.[20]

Nelle edizioni della tradizione riformata (come quella di Westminster), i lettori venivano avvertiti che tali libri non dovevano essere "approvati o usati diversamente da altri scritti umani". Una distinzione più blanda si trova altrove, come nell’"argomento" che li introduce nella Bibbia di Ginevra, e nel Sesto Articolo della Chiesa d'Inghilterra, dove si afferma che "la Chiesa legge gli altri libri come esempio di vita e istruzione di costumi", ma non per fondare dottrina.[4] Presso alcuni nonconformisti, il termine apocrifo iniziò ad assumere ulteriori o diversi significati: non solo di autenticità dubbia, ma di contenuto spurio o falso,[21] benché i protestanti, data la varietà delle loro visioni teologiche, non fossero unanimi nell’adottare tali accezioni.[22][23][24]

In generale, anabattisti e protestanti "magisteriali" riconoscono i quattordici libri degli Apocrifi come non canonici, ma utili da leggere "come esempio di vita e istruzione di costumi": una visione che continua oggi nelle chiese luterane, nella Comunione anglicana mondiale, e in molte altre denominazioni, come le chiese metodiste e le riunioni annuali quacchere.[22][23][24] Dal punto di vista liturgico, le chiese cattolica, metodista e anglicana includono una lettura dal Libro di Tobia nei riti di matrimonio.[25]

La posizione della Comunione anglicana sugli apocrifi è ben riassunta dal VI dei 39 articoli di religione: "Con il nome di Sacra Scrittura intendiamo quei libri canonici dell'Antico e del Nuovo Testamento, sulla cui autorità non vi fu mai alcun dubbio nella Chiesa […] E gli altri Libri (come dice Gerolamo) la Chiesa li legge come esempio di vita e istruzione di costumi; ma non li applica a fondare alcuna dottrina."[26]

Benché le Bibbie protestanti storicamente includano 80 libri, 66 di questi formano il canone protestante (come indicato nella Confessione di fede di Westminster del 1646),[27][28] stabilito da secoli, con molti che oggi sostengono l'uso degli Apocrifi e altri che invece vi si oppongono con varie argomentazioni.[27][29][30]

Cristianesimo

Libri intertestamentari
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Copie della Bibbia di Lutero comprendono i libri deuterocanonici come sezione intertestamentaria tra Antico e Nuovo Testamento; essi sono chiamati "Apocrifi" in molte Chiese protestanti.
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Pagina dei contenuti in una Bibbia di re Giacomo completa (80 libri), con "Libri dell’Antico Testamento", "Libri detti Apocrifi" e "Libri del Nuovo Testamento".

Durante l’età apostolica esistevano numerosi testi ebraici di origine ellenistica, frequentemente utilizzati anche dai cristiani. Le autorità patristiche riconoscevano spesso a questi libri un ruolo importante per la nascita del cristianesimo, ma la loro ispirazione e il loro valore rimasero oggetto di dibattito. I cristiani inserirono diversi di questi scritti nei canoni delle Bibbia cristiane, chiamandoli "apocrifi" o "libri nascosti".

Nel XVI secolo, durante la Riforma protestante, la validità canonica dei libri intertestamentari venne messa in discussione e quattordici libri furono collocati, nelle Bibbie protestanti a 80 libri, in una sezione intertestamentaria detta "Apocrifi", posta tra Antico e Nuovo Testamento. Prima del 1629, tutte le Bibbie protestanti in lingua inglese includevano Antico Testamento, Apocrifi e Nuovo Testamento; esempi sono la "Bibbia di Matthew" (1537), la Grande Bibbia (1539), la Bibbia di Ginevra (1560), la Bibbia dei vescovi (1568) e la Bibbia di re Giacomo (1611).[27]

Quattordici su ottanta libri biblici costituiscono gli Apocrifi protestanti, pubblicati per la prima volta come tali nella Bibbia di Lutero (1534). Molti di questi testi sono considerati canonici dall’Chiesa cattolica, che li ha riconfermati nel Concilio di Trento (1545–63); tutti i libri degli Apocrifi protestanti sono ritenuti canonici dalla Chiesa ortodossa orientale, che li chiama anagignoskomena secondo quanto stabilito dal Sinodo di Gerusalemme (1672). Le Chiese luterane includono normalmente gli Apocrifi come sezione intertestamentaria tra Antico e Nuovo Testamento; il teologo sistematico Martin Chemnitz, figura centrale del luteranesimo, "distinse la Scrittura in due categorie: quelle da cui la Chiesa trae dottrina e quelle che non hanno questo scopo".[31] Il Libro di Concordia, compendio della dottrina luterana, cita passi dagli Apocrifi/Deuterocanonici,[31] e il Catechismo di Dietrich, ampiamente diffuso, afferma che la Bibbia luterana comprende anche gli Apocrifi.[31] Ancora oggi letture dagli Apocrifi sono incluse nei lezionari delle Chiese luterane e anglicane.[32][33]

Gli anabattisti utilizzano la Bibbia di Lutero, che contiene i libri intertestamentari; i matrimoni amish comprendono la narrazione del matrimonio di Tobia e Sara tratta dagli Apocrifi.[19] La Comunione anglicana accetta gli Apocrifi protestanti "per l’istruzione nella vita e nei costumi, ma non per fondarvi la dottrina" (Articolo VI dei Trentanove articoli),[27] e molte letture liturgiche del Libro della preghiera comune sono tratte dagli Apocrifi, proclamati allo stesso modo delle letture dell’Antico Testamento.[34]

Il primo libro liturgico metodista, The Sunday Service of the Methodists, impiega versetti degli Apocrifi, ad esempio nella liturgia eucaristica.[23] Gli Apocrifi protestanti contengono tre libri (1 Esdra, 2 Esdra e la Preghiera di Manasse) che sono accolti come canonici da molte Chiese ortodosse orientali e ortodosse orientali antiche, ma sono ritenuti non canonici dalla Chiesa cattolica e quindi non inclusi nelle Bibbie cattoliche moderne.[35]

Nel XIX secolo la Società biblica britannica e forestiera cessò di pubblicare regolarmente la sezione intertestamentaria nelle sue Bibbie, citando come motivazione i costi aggiuntivi di stampa; ciò divenne tipico delle Bibbie in lingua inglese di Gran Bretagna e Americhe, a differenza dell’Europa, dove le Bibbie protestanti continuarono a essere stampate con 80 libri in tre sezioni: Antico Testamento, Apocrifi e Nuovo Testamento.[36][37]

Oggi "le Bibbie inglesi con gli Apocrifi stanno tornando popolari", di solito stampate come libri intertestamentari.[27] Il Lezionario comune riveduto, adottato dalla maggior parte dei protestanti storici, inclusi metodisti e moravi, prevede letture dagli Apocrifi nel calendario liturgico, anche se con brani alternativi dall’Antico Testamento.[38]

Lo status dei deuterocanonici rimane invariato nel cattolicesimo e nell’ortodossia, anche se il numero di libri varia tra le due tradizioni.[39] Alcuni studiosi hanno iniziato a usare il termine deuterocanonico per riferirsi a questa collezione tradizionale, considerata "secondo canone".[40] Questi libri sono spesso visti come utili per comprendere le transizioni teologiche e culturali tra Antico e Nuovo Testamento. Talvolta sono anche detti "intertestamentari" da gruppi che non riconoscono l’Ebraismo ellenistico come parte né del giudaismo né del cristianesimo.

Collezioni parzialmente differenti di libri apocrifi, deuterocanonici o intertestamentari formano parte dei canoni di cattolici, ortodossi orientali e ortodossi orientali antichi. I deuterocanonici cattolici comprendono Tobia, Giuditta, Baruc, Siracide, 1 e 2 Maccabei, Sapienza e aggiunte a Ester, Daniele e Baruc.

Il Libro di Enoch è incluso nel canone biblico delle Chiese ortodosse d’Etiopia ed Eritrea. La Lettera di Giuda allude a un episodio del Libro di Enoch, e alcuni ritengono che vi siano riferimenti anche nei quattro vangeli e in 1 Pietro.[41] Sebbene Gesù e i suoi discepoli utilizzino talvolta espressioni presenti anche in alcuni apocrifi,[42] il Libro di Enoch non è mai citato da Gesù. L’autenticità e l’ispirazione di Enoch furono ritenute valide dall’autore della Lettera di Barnaba, da Ireneo di Lione, Tertulliano e Clemente di Alessandria,[4] e da molti altri autori della Chiesa antica. Le Lettere di Paolo e i Vangeli mostrano influenze anche dal Libro dei Giubilei, parte del canone etiopico, come pure dall’Assunzione di Mosè e dal Testamento dei dodici patriarchi, non accolti in alcun canone biblico.

Canonicità

Il processo di definizione di un canone uniforme durò secoli, e anche il significato dei termini canone e apocrifi si sviluppò progressivamente. Il riconoscimento canonico avvenne dapprima attraverso l’accoglienza spontanea degli scritti ritenuti ispirati da Dio, seguita dalla successiva conferma ufficiale delle autorità ecclesiastiche.[21]

Il primo decreto ecclesiastico sul canone delle Sacre Scritture è attribuito al Concilio di Roma (382), e corrisponde a quello di Trento.[43] Martin Lutero, come Girolamo, preferì il Testo masoretico per l’Antico Testamento, escludendo i deuterocanonici dalla Bibbia di Lutero, pur includendoli in una sezione separata.[44] Lutero li definì "Apocrifi, cioè libri che non sono ritenuti alla pari delle Sacre Scritture, ma che è utile e buono leggere".[45]

La Chiesa ortodossa accoglie inoltre quattro libri in più rispetto al canone cattolico: Salmo 151, la Preghiera di Manasse, 3 Maccabei e 1 Esdra.[46]

Controversie

Lo status dei libri che la Chiesa cattolica chiama deuterocanonici (secondo canone) e il protestantesimo Apocrifi è stato oggetto di controversia già prima della Riforma. Molti studiosi ritengono che la traduzione greca delle Scritture ebraiche, la Settanta, comprendesse originariamente anche gli apocrifi senza distinzione dagli altri libri dell’Antico Testamento. Altri sostengono invece che la Settanta del I secolo non contenesse tali libri, ma che essi siano stati aggiunti successivamente dai cristiani.[47][48]

I più antichi manoscritti della Settanta pervenuti, risalenti al IV secolo, mostrano una grande mancanza di uniformità nella presenza dei libri apocrifi,[49][50][51] e alcuni contengono anche testi classificati come pseudepigrafi, dai quali vari autori cristiani dei secoli II e successivi citarono brani come se fossero Scrittura.[21]

Mentre alcuni studiosi concludono che il canone ebraico fu opera della dinastia asmonea,[52] è opinione generale che esso non sia stato fissato definitivamente prima del 100 d.C.[53] o poco dopo, epoca in cui la diffusione del greco e l’accoglienza cristiana della Settanta contribuirono all’esclusione di alcuni testi. Alcuni non furono accettati dagli ebrei come parte del canone della Bibbia ebraica, e gli Apocrifi non fanno parte del canone ebraico storico.

Padri della Chiesa come Atanasio di Alessandria, Melitone di Sardi, Origene e Ciro di Gerusalemme si espressero contro la canonicità di buona parte o di tutti gli apocrifi,[47] ma l’opposizione più influente fu quella dello studioso cattolico del IV secolo Girolamo, che preferiva il canone ebraico, mentre Agostino e altri favorivano il canone più ampio (greco),[54] ciascuno seguito da propri sostenitori nei secoli successivi. Secondo la Catholic Encyclopedia, durante il medioevo all'interno della Chiesa latina la posizione nei confronti dei deuterocanonici fu altalenante, con una corrente favorevole, una sfavorevole e numerosi autori con posizioni intermedie, divisi tra la venerazione dei testi e incertezze circa il loro preciso statuto. L’atteggiamento prevalente degli autori medievali occidentali è sostanzialmente quello dei Padri greci.[55]

Il canone cristiano più ampio, accettato da Agostino, divenne quello più consolidato nella Chiesa occidentale[56] dopo essere stato promulgato per l’uso nella Lettera pasquale di Atanasio (circa 372 d.C.), nel concilio di Roma (382 d.C., anche se il relativo Decretum Gelasianum è generalmente considerato un'aggiunta successiva[57]) e nei concili locali (sinodi) di Cartagine e Ippona in Africa settentrionale (391 e 393 d.C.). Atanasio dichiarò canonici tutti i libri della Bibbia ebraica, incluso Baruc, ma escluse Ester; aggiunse che «vi sono alcuni libri che i Padri hanno stabilito che siano letti ai catecumeni per edificazione e istruzione: la Sapienza di Salomone, la Sapienza di Siracide (Ecclesiastico), Ester, Giuditta, Tobia, la Dottrina degli Apostoli e il Pastore di Erma. Tutti gli altri sono apocrifi e invenzioni di eretici» (Lettera festale per il 367).[58]

Tuttavia, nessuno di questi elenchi costituì una definizione indiscutibile, e persistettero per secoli dubbi e controversie circa la natura degli apocrifi, fino al Concilio di Trento,[59][60][61] che fornì la prima definizione infallibile del canone cattolico nel 1546.[62][63]

Nel XVI secolo, i riformatori protestanti misero in discussione la canonicità dei libri e delle parti di libri presenti nella Settanta ma assenti nel Testo masoretico. In risposta, dopo la morte di Martin Lutero (8 febbraio 1546), il Concilio di Trento dichiarò ufficialmente («infallibilmente») canonici tali libri (detti «deuterocanonici» dai cattolici) nell’aprile 1546.[64] Mentre i riformatori respinsero le parti del canone non comprese nella Bibbia ebraica, inclusero nel proprio canone non vincolante i quattro libri del Nuovo Testamento da Lutero ritenuti di dubbia canonicità, insieme agli Apocrifi (che comparvero comunque nella sua Bibbia di Lutero[21] e in alcune edizioni della Bibbia di re Giacomo fino al 1947).[65]

Il Protestantesimo stabilì dunque un canone di 66 libri, composto dai 39 dell’antico canone ebraico e dai 27 del Nuovo Testamento. I protestanti respinsero anche il termine cattolico «deuterocanonico», preferendo «apocrifo», già in uso per altri scritti antichi e discussi. Come oggi (ma anche per altre ragioni),[47] vari riformatori sostennero che quei libri contenevano errori dottrinali o di altro tipo e non dovevano quindi essere considerati canonici. Le differenze tra i canoni sono illustrate nelle voci Canone biblico e Sviluppo del canone cristiano della Bibbia.

La spiegazione del canone della Chiesa ortodossa orientale risulta complessa a causa delle divergenze di prospettiva con la Chiesa cattolica romana circa la sua formazione. Tali differenze (di natura giurisdizionale) furono tra i fattori che contribuirono allo scisma tra cattolici e ortodossi intorno al 1054; tuttavia, la formazione del canone che il Trento avrebbe poi definitivamente sancito era in gran parte compiuta già nel V secolo, se non addirittura conclusa sei secoli prima della separazione. Nella parte orientale della Chiesa, l’accordo richiese gran parte del V secolo, ma alla fine fu raggiunto. I libri canonici stabiliti dalla Chiesa indivisa divennero il canone predominante sia per la futura Chiesa cattolica romana sia per quella ortodossa orientale.

L’Oriente differiva tuttavia dall’Occidente nel non considerare ancora definitivamente risolte alcune questioni di canone, e in seguito accolse qualche altro libro nell’Antico Testamento, mantenendo in sospeso la discussione su altri, che in taluni casi vennero accolti in alcune giurisdizioni ma non in altre. Oggi permangono quindi lievi differenze tra i canoni ortodossi, che in ogni caso comprendono più libri del canone cattolico. Tra questi figurano i Salmi di Salomone, 3 Maccabei, 4 Maccabei, la Lettera di Geremia, il Libro delle Odi, la Preghiera di Manasse e il Salmo 151, inclusi in alcune copie della Settanta,[66] alcuni dei quali sono accettati come canonici dalle Chiese ortodosse orientali e da altre confessioni. I protestanti non considerano canonico nessuno di questi testi aggiuntivi, ma li considerano di pari utilità agli altri Apocrifi.

La Chiesa ortodossa utilizza una definizione diversa rispetto alla Chiesa cattolica per i libri che chiama deuterocanonici, intendendoli come testi dotati di un’autorità minore rispetto agli altri libri dell’Antico Testamento.[67][68] La Chiesa cattolica, invece, usa questo termine per indicare una categoria di libri aggiunti più tardi al proprio canone dell’Antico Testamento, ma ai quali riconosce pari autorità rispetto agli altri.

Islam

Gli hadith, cioè i presunti resoconti delle parole, azioni e approvazioni silenziose del profeta islamico Maometto, sono accusati da alcuni musulmani di essere falsificazioni (pseudepigrafi) create tra l’VIII e il IX secolo e falsamente attribuite al profeta.[69][70][71] Storicamente, alcune sette dei kharigiti respinsero anch’esse gli hadith, mentre i mutaziliti rigettarono gli hadith come base per la legge islamica, pur accettando la Sunna e l’ijmāʿ.[72] I principali punti di critica interna islamica alla letteratura hadith si basano su dubbi circa la sua autenticità. Tuttavia, le critiche musulmane agli hadith si fondano anche su obiezioni di carattere teologico e filosofico.

Tradizionalmente, alcune sette dei kharigiti hanno respinto gli hadith. Vi sono anche coloro che si oppongono anche alla loro scrittura, per timore che possa competere con, o addirittura sostituire, il Corano. Anche i seguaci muʿtaziliti rigettano gli hadith come base per la legge islamica, pur accettando contemporaneamente la Sunna e l’ijmāʿ.[72] Per i mutaziliti, l’argomentazione principale per il rifiuto degli hadith è che «a causa della loro natura di trasmissione individuale, [essi] non possono costituire una via sicura alla comprensione degli insegnamenti del Profeta, a differenza del Corano, la cui trasmissione gode di un consenso generale tra i musulmani». Alcuni critici musulmani degli hadith sono arrivati a rifiutarli completamente come testi fondamentali delle credenze islamiche e ad aderire esclusivamente al Corano. Questo movimento è noto anche come coranismo.

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Riferimenti culturali

Note

Voci correlate

Collegamenti esterni

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