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Legge Bossi-Fini

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La legge 30 luglio 2002, n. 189, meglio nota come legge Bossi-Fini, è una normativa della Repubblica Italiana che disciplina l'immigrazione, detta così dai primi firmatari Gianfranco Fini e Umberto Bossi che nel governo Berlusconi II ricoprivano rispettivamente le cariche di vicepresidente del Consiglio dei ministri e di ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione.

Fatti in breve Titolo esteso, Stato ...
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Storia

Venne varata dal Parlamento italiano nel corso della XIV Legislatura, di modifica del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero del 1998 al fine di regolamentare le politiche sull'immigrazione e sostituire la norma precedente, la legge Turco-Napolitano, confluita poi nella legge del 2002.

La legge fu approvata dal Senato della Repubblica il 28 febbraio 2002 con 153 favorevoli, 96 contrari e 2 astenuti, passando quindi alla Camera dei deputati che l'approvò con modifiche il 4 giugno con 279 favorevoli, 203 contrari e un astenuto. Fu approvata definitivamente dal Senato l'11 luglio con 146 favorevoli, 104 contrari e 104 astenuti.

La legge fu quindi promulgata il 30 luglio e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 26 agosto, entrando in vigore il 10 settembre.

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Caratteristiche

Riepilogo
Prospettiva

La legge in materia di immigrazione, entrata in vigore il 10 settembre, oltre ad avviare le procedure restrittive segna anche l'inizio delle procedure per la regolarizzazione di colf, badanti e lavoratori non in regola. In base alla legge è possibile reperire la documentazione ufficiale: ogni extracomunitario che voglia regolarizzarsi deve far riferimento esclusivamente ai modelli ufficiali che vengono consegnati a Poste Italiane, per ragioni tecniche non risultano infatti validi quelli ripresi da giornali o stampati attraverso internet.

Contenuto

In sintesi, le principali novità della legge furono le seguenti:

  • Espulsioni con accompagnamento alla frontiera;
  • Permesso di soggiorno legato ad un lavoro effettivo;
  • Inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani;
  • Sanatoria per colf, assistenti ad anziani, malati e diversamente abili, lavoratori con contratto di lavoro di almeno 1 anno;
  • Uso delle navi della marina militare italiana per contrastare il traffico di clandestini.

Modifiche al diritto di asilo

Così come Amnesty International ha evidenziato nel rapporto annuale 2006[1], nonostante l'Italia aderisca alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, la legge Bossi-Fini, che ha emendato la precedente normativa sull'immigrazione, non è considerabile una legge specifica e completa sul diritto di asilo, in quanto si limita a modificare taluni aspetti della Legge Martelli[2], ancora oggi il testo base nel merito.

L'istituzione dei centri di identificazione per la detenzione dei richiedenti asilo e di una procedura veloce per la determinazione del diritto di asilo per i richiedenti detenuti, «genera preoccupazione» per:

  • l'accesso alle procedure di asilo, per la detenzione dei richiedenti asilo in violazione degli standard previsti dalla normativa internazionale e per la violazione del principio del non-refoulement (non respingimento) che vieta di rimpatriare o espellere forzatamente i richiedenti asilo verso Paesi in cui potrebbero essere a rischio di gravi abusi dei diritti umani;
  • la possibilità che molte delle migliaia di migranti e richiedenti asilo giunti in Italia via mare, principalmente dalla Libia, siano stati respinti verso Paesi in cui erano a rischio di violazioni dei diritti umani (tra gennaio e ottobre 2005 almeno 1425 persone sono state trasferite in Libia).
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Ammissibilità costituzionale

I tribunali di Genova, Torino, Bologna, Ancona (sezione distaccata di Jesi), Gorizia, Trieste, Milano, Terni e Verona avevano sollevato una questione sulla legittimità costituzionale della norma chiedendo un giudizio di legittimità costituzionale in merito alla pena della reclusione da 1 a 4 anni prevista per gli stranieri che non rispettano i decreti di espulsione e rimangono illegalmente sul territorio italiano.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 22/2007[3], ha sancito che il rapporto reato-pena previsto nella legge Bossi-Fini non viola il canone della ragionevolezza e ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate.

Note

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni

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