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Via romana agli dei
religione che rievoca gli antichi culti della Roma antica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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La Via Romana agli Dei, altrimenti detta Tradizione Romano-Italica, o Tradizionalismo Romano-Italico o Gentilità Romano-Italica, è la continuazione e riproposizione moderna e contemporanea della Religione Romana e italica attraverso pratiche tratte o adattate dalla documentazione storica dell'Antica Roma. A volte è qualificata, per molti suoi seguaci impropriamente, come neopaganesimo romano-italico.


È praticata in Italia in forma sia individuale che comunitaria, da alcune centinaia di persone, raccolte in diverse associazioni. Gruppi minori esistono anche in altri paesi europei e in Nord America.
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Inquadramento
Alcuni studiosi delle religioni tendono ad associare la via romana agli dèi al gruppo di religioni appartenenti al neopaganesimo, mentre gran parte degli aderenti rifiutano sia tale associazione sia il concetto stesso di neo-paganesimo, come si è venuto a sviluppare negli ultimi decenni del Novecento[2]. Le principali associazioni aderiscono all'organizzazione delle religioni etniche europee dell'ECER (European Congress of Ethnic Religion[3]).
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Culto
Riepilogo
Prospettiva
La via romana agli dèi è una religione politeista. Tuttavia, a seconda delle sensibilità e come avviene anche in altre tradizioni, alcuni gruppi pongono l'accento sull'unità di fondo del divino, di cui la molteplicità sarebbe espressione.
Alcuni gruppi, come il Movimento Tradizionale Romano, praticano i rituali esclusivamente in ambito privato, altre realtà, come l'ente per la religione classica "Pietas Comunità Gentile", provvedono allo svolgimento di riti aperti al pubblico, prevalentemente presso i templi eretti dal suddetto ente.
Ogni individuo adulto è sacerdote di sé stesso e venera anzitutto il proprio Genio (o la propria Iuno, nel caso delle donne), i Lari familiari, divinità protettrici della propria casa, i Penati (divinità della Patria), gli dei Mani (spiriti degli antenati), in secondo luogo le divinità, alle quali sono consacrate le festività dell'anno calendariale. Tali dèi sono i dodici Olimpi coi nomi romani (Giove, Giunone, Minerva, Marte, Apollo, Diana, Venere, Bacco, Nettuno, Cerere, Vulcano e Mercurio) e altre divinità come Plutone, Vesta, Proserpina, Ercole, Giano, Saturno, Quirino (ossia Romolo divinizzato), Enea divinizzato, Esculapio, Sol Invictus, Mater Matuta, Anna Perenna, imperatori romani divinizzati come Cesare, Augusto, Traiano, Antonino Pio, Giuliano o Marco Aurelio, la dea Roma, Cibele, Bellona, Tellus, Bona Dea, ecc. e tutte quelle che considera protettrici di sé o della propria famiglia e comunità.
Le occasioni rituali importanti, come i momenti di passaggio della vita (nascita, pubertà, matrimonio, morte), le ordinarie festività annuali, i tre cardini del mese (Calende, none, Idi), i solstizi, gli equinozi e le fasi lunari sono spesso celebrati comunitariamente. In particolare, i riti legati alle fasi lunari, le calende, le none e le idi si basano sulla logica dell'evoluzione spirituale; annualmente il collegio pontificale dell' ente per la religione classica "Pietas Comunità Gentile" elabora il calendario per le festività sulla base di calcoli lunisolari, che vengono poi celebrate dai praticanti in sede privata o presso i templi riedificati.[4]
Di importanza fondamentale è la lettura dei testi antichi pervenuti.[5] La tradizione gentile considera alcuni poemi epici come testi sacri, in particolare l'Iliade e l'Odissea di Omero (ambito greco), e l'Eneide di Virgilio (ambito romano). Altrettanta valenza sacra conservano gli Inni omerici e quelli orfici. Nelle fonti antiche (sia epigrafiche sia letterarie) si rinvengono molte preghiere (Cicerone, Lucrezio, ecc.).
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Storia
Riepilogo
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Teorie della continuità
In Grecia
Nella penisola di Mani, nel Peloponneso, il cristianesimo fu introdotto tardivamente, con i primi templi greci convertiti in chiese cristiane nell'XI secolo. Il monaco bizantino Nikon il Metanoita (Νίκων ὁ Μετανοείτε) fu inviato nel X secolo per convertire i Manioti, che erano rimasti prevalentemente pagani. Sebbene la predicazione di Nikon avesse avviato il processo di conversione, ci vollero oltre 200 anni affinché la maggior parte della popolazione accettasse pienamente il cristianesimo, cosa che avvenne solo nell'XI e XII secolo. Patrick Leigh Fermor osservò che i Manioti, isolati dalle montagne, furono tra gli ultimi greci ad abbandonare la religione pagana.[6] In De Administrando Imperio, Costantino VII scrive che i Manioti erano chiamati 'Ellenici' e che furono pienamente cristianizzati solo nel IX secolo, sebbene alcune rovine di chiese del IV secolo indichino una presenza cristiana precoce. Il terreno montuoso della regione permise ai Manioti di sfuggire agli sforzi di cristianizzazione dell'Impero romano d'Oriente, preservando così le tradizioni pagane nello stesso territorio che fu l'Alma Mater di Gemistos Plethon.[7]
Il lignaggio bizantino rappresenta la continuità interna del pensiero greco nell'Impero bizantino, caratterizzato da una gestione strategica del rischio teologico attraverso pratiche di oikonomia e dissimulazione, riconducibili alla moderna categoria di cripto-paganesimo.[8] La sopravvivenza dei lignaggi neoplatonici fu garantita da figure come Proclo (412–485) e Damascio (458–538), praticanti espliciti di paganesimo ellenico e teurgia, che trasformarono le proprie opere in strumenti filosofici di continuità con la tradizione religiosa e cosmologica classica, similmente ai rituali e culti civici romani.[9] La pseudepigrafia dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita (c. 500), attribuita a Damascio, sancì una continuità simbolica tra filosofia ellenica e teologia cristiana.[10][11] Altre figure come Ammonio di Ermia (440–520) utilizzarono accomodamenti pragmatici con le autorità cristiane per preservare le scuole neoplatoniche.[12]
Simplicio di Cilicia (fl. 530–560), allievo di Damascio, preservò ampie sezioni di testi pagani perduti, tramite i commentari aristotelici, fonte primaria per la tradizione ellenica nei secoli successivi.[13] Accanto a lui operò Prisciano di Lidia (VI sec.), il cui Solutionum ad Chosroem mostra la sopravvivenza della fisica e cosmologia platonica nella diaspora neoplatonica in Persia.[14] Un altro membro del gruppo, Eulamius di Filadelfia (VI sec.), testimoniato nelle fonti arabe e siriache, contribuì alla trasmissione di materiali astronomici e teologici neoellenici nell’ambiente sasanide.[15] In area palestinese, Isidoro di Gaza (VI sec.) preservò elementi di retorica e paideia ellenica nella sua scuola, largamente usata in epoca protobizantina.[16] Nella stessa fase, il medico e traduttore siriaco Sergio di Reshaina († 536) veicolò in Siria testi aristotelici e galenici, fondamentali per la tenuta del curriculum filosofico tardo-antico.[17] A corte sasanide operò anche Paolo il Persiano (VI sec.), la cui Esposizione della Logica di Aristotele dimostra l’uso continuo della logica neoplatonica in ambiente non cristiano.[18] Nel VII secolo, Stefano di Alessandria (fl. 600) operò come matematico, alchimista e astrologo presso la corte bizantina di Eraclio. Le sue opere contengono elementi neoplatonici e pratiche esoteriche, facendo di lui un esempio significativo di filosofo “cripto-pagano” attivo in epoca bizantina.[19] In seguito si sviluppò a Costantinopoli un filone sotterraneo di erudizione ellenica: figure come Teodoro il Grammatico (VIII sec.), accusato nelle cronache di pratiche astrologiche e “ellenismo”,[20] Leone il Filosofo († ca. 869), in cui gli studi moderni vedono elementi di rinascita del quadrivio di matrice tardo-antica,[21] e il poeta-grammatico Stefano il Geometra (IX sec.), la cui produzione conserva riferimenti matematico-cosmologici di derivazione neoplatonica,[22] testimoniano la persistenza di saperi ellenici anche in ambiente imperiale. Infine, la sintesi operata da Giovanni Damasceno († ca. 750), che cita materiali neoplatonici e porfiriani, rappresenta l’ultimo punto della catena bizantina da cui attingeranno gli eruditi dell’VIII–IX secolo e, indirettamente, i centri filosofici siro-mesopotamici connessi anche alla tradizione harraniana.[23]
Nel Rinascimento Macedone (IX secolo), il rischio teologico divenne palese con figure come Leone il Matematico (c. 790–869), accusato di cripto-paganesimo e costretto a difese politiche pubbliche.[24] Fozio di Costantinopoli (c. 810–893) e Areta di Cesarea (c. 860–935) preservarono testi pagani cruciali tramite copia fisica, usando strategie retoriche per schermare la loro continuità pagana.[25]
Durante l'Era Comnena (XI–XII secolo), Michele Psello (1017–1078) perfezionò la dissimulazione, studiando Proclo e gli Oracoli caldaici mentre ripudiava pubblicamente l'astrologia per motivi politici.[26] Giovanni Italo (1025–1085) fallì nella strategia dell'abiura, venendo condannato come "pagano" nel 1082.[27]
Il Rinascimento paleologo culminò con Teodoro Metochite (1270–1332), che reinterpretò i costumi pagani come precursori storici della verità cristiana, e con Giorgio Gemisto Pletone (c. 1355–1452), ultimo rappresentante del cripto-paganesimo bizantino, autore dei Νόμων συγγραϕή (Trattato delle leggi) (l'opera maggiore, ma giunta in frammenti)., proponendo un sistema religioso neo-pagano e teocratico.[28][29][30]
In Italia
Le evidenze archeologiche, epigrafiche e testuali indicano che alcuni elementi delle pratiche religiose tradizionali romane continuarono a influenzare la vita cultuale in Italia dalla tarda antichità fino al tardo Medioevo. Nei secoli V–VII, gli scavi alla Crypta Balbi di Roma documentano strati domestici contenenti oggetti di culto riutilizzati, amuleti protettivi e piccoli oggetti figurativi, interpretati come residui di comportamenti rituali tardo-romani.[31] Depositi tardoantichi in varie regioni italiane restituiscono defixiones, pendenti apotropaici e amuleti iscritti databili fino al VI secolo, suggerendo la persistenza di tecniche rituali al di fuori dei culti ufficiali.[32] La continuità intellettuale è testimoniata dalla sopravvivenza delle scuole neoplatoniche ad Atene e Alessandria fino ai secoli V e VI, che conservarono concetti mitologici, teurgici e rituali dopo il declino dei sacrifici pubblici.[33] Nei secoli VII–X, sotto il dominio bizantino e longobardo, il diritto canonico registra norme religiose che riflettono la coesistenza di credenze locali e rituali cristiani, suggerendo la sopravvivenza di pratiche rituali di matrice pagana.[34][35][36] Tra l’XI e il XIV secolo, nella cultura magica e stregonica dell’Italia medievale permangono amuleti, invocazioni e simboli ereditati dalla tradizione classica, reinterpretati in un contesto cristiano.[37] La storiografia moderna interpreta queste tracce secondo tre modelli: un approccio “survivalista” che enfatizza la persistenza diretta di riti antichi, un modello “trasformazionista” centrato sulla reinterpretazione e l’adattamento, e un modello di “discontinuità” che postula una rottura ideologica; insieme, essi permettono di comprendere come il paganesimo romano sia stato gradualmente ricollocato e rielaborato nella cultura cristiana medievale.[38]
In Medio Oriente
La sopravvivenza delle tradizioni tecniche e intellettuali della tarda antichità — in particolare l'astrologia avanzata, le tecniche matematiche specializzate e il corpus dell'alchimia ermetica — fu garantita nel Vicino Oriente grazie alla cosiddetta Trasmissione Araba, sviluppatasi all'interno di comunità non musulmane integrate nel mondo intellettuale arabo. Tra queste, un ruolo centrale fu svolto dai Sabei di Harran, un'enclave pagana che praticava un sincretismo tra politeismo mesopotamico e neoplatonismo, caratterizzato da ritualità astrali, culto planetario e continuità con le forme religiose dell'antichità classica. Tale quadro, in cui Ermete Trismegisto veniva venerato come profeta, presenta forti analogie strutturali con aspetti della religione tradizionale romana, soprattutto nella conservazione dei culti civici, dell'astralità filosofica e dell'identificazione fra divinità planetarie e ordine cosmico.[39][40][41]
Figure chiave come Thābit ibn Qurra (836–901), matematico e alchimista harrano apertamente pagano, e la tradizione attribuita a Jābir ibn Ḥayyān (Geber) contribuirono in modo decisivo all'introduzione della meccanica celeste e delle pratiche talismaniche nell'ambiente arabo, mantenendo un impianto cosmologico affine a quello greco-romano.[42] Il culmine della trasmissione verso l'Occidente si verificò nel XIII secolo, quando l'eredità intellettuale — arricchita dagli elementi astrali sabee — giunse alla corte dell imperatore del Sacro Romano Impero, Federico II di Svevia (1194–1250), tramite opere e traduzioni legate a Michele Scoto (c. 1175–1232).[43][44] Le fonti utilizzate da Scoto mostrano un forte legame con l'ermetismo astrale harrano, in particolare attraverso testi come il Ghāyat al-Ḥakīm (Picatrix) e le traduzioni di Thābit ibn Qurra.[45]

Dal Rinascimento al Risorgimento
Differentemente da altre espressioni neopagane, come la wicca, nell'ambito della via romana agli dèi si afferma la sopravvivenza della religione pagana romana, tramandata attraverso i secoli in forma esoterica, ossia segreta e privata. In ogni caso, considerando gli dèi eterni e disponendo di fonti antiche sulla ritualità per l'officio del culto privato, non sarebbe comunque necessaria alcuna continuità storica. Nonostante l'interruzione della Pax Deorum, successiva all'abolizione del culto pubblico e i decreti di Teodosio I (fine del IV secolo), che proibivano anche il culto privato, la tradizione cultuale romana non sarebbe venuta meno, ma si sarebbe conservata all'interno di alcune famiglie (come i Latriani di origine maniota, di cui si afferma che sarebbero discesi i Medici[46] i quali, dietro suggerimento di Giorgio Gemisto Pletone, istituirono l'Accademia neoplatonica). Costoro l'avrebbero segretamente tramandata nel tempo, costituendo un centro sacrale occulto, che in periodi favorevoli della Storia avrebbe anche avuto visibilità e influenza nella realtà sociopolitica italiana[47].
Si porta come esempio il sorgere a Roma, intorno alla metà del Quattrocento, dell'Accademia Romana di Pomponio Leto (alunno di Gemisto Pletone), di cui è nota la celebrazione rituale del Natale di Roma il 21 aprile, l'evidenza archeologica di alcune iscrizioni scoperte nell'Ottocento, la restaurazione del Pontificato Massimo, detenuto da Leto stesso. Tale Accademia fu sciolta da papa Paolo II nel 1468 e i suoi membri incarcerati o perseguitati.
Ficino, Pico e Poliziano, membri dell’Accademia neoplatonica di Firenze, intrattennero contatti culturali e corrispondenze con Giovanni Pontano e i membri dell’Accademia Pontaniana, e in particolare Poliziano esercitò una notevole influenza sul pensiero e sulla formazione umanistica di Pontano, consolidando un filo esoterico-filosofico tra Firenze e Napoli.[48][49][50][51]
Fra le teorie moderne sulla trasmissione di elementi pagani ed ermetici nell'Italia rinascimentale e post-rinascimentale, una delle più articolate postula una catena ininterrotta di figure iniziatiche, definite come "Gran Jerofanti e Pontefici Massimi", che si succederebbero a partire dal grande umanista Giovanni Pontano. Questa narrazione, radicata in ambienti esoterici e massonici, in particolare quelli legati ai riti egizi napoletani, mira a illustrare una continuità sotterranea del paganesimo antico attraverso l'umanesimo, l'ermetismo e l'occultismo moderno.[52], Sebbene queste teorie non vengano considerate spesso costruzioni retrospettive volte a legittimare ordini iniziatici del XIX e XX secolo,[53] essa riflette influenze neopagane e pitagoriche persistenti nel Mezzogiorno d'Italia. Tale teoria si inserisce nel più ampio discorso sulla sopravvivenza del paganesimo, che include sincretismi con il cristianesimo, tradizioni folkloristiche e revival occulti, evidenziando come elementi magici e cosmologici antichi abbiano permeato il pensiero filosofico e iniziatico europeo.
XV secolo - Giovanni Pontano (1426–1503, umanista, filosofo e erudito, fondatore dell’Accademia Pontaniana)[54].
XVI secolo - Giambattista della Porta (1535–1615, naturalista, filosofo esoterico, fondatore dell’Accademia dei Segreti),[55] Giordano Bruno (1548–1600, filosofo ermetico con concezioni magiche e cosmologiche),[56] Tommaso Campanella (1568–1639, filosofo della natura e della magia naturale).[57]
XVII–XVIII secolo Raimondo di Sangro (1710–1771, principe di Sansevero, alchimista, massone, membro del Rito Egizio),[58] Alessandro Cagliostro (1743–1795, occultista, alchimista e massone),[59] Vincenzo di Sangro (nobile esoterico meridionale, membro della famiglia di Sangro),[60] Mario Pagano (1748–1799, filosofo politico con interessi massonici),[61] Pietro Colletta (1775–1831, storico e politico con legami massonici),[62] Domenico Bocchini (attivo XIX secolo, intellettuale iniziato e massone).[63]
XIX secolo Gabriele Rossetti (1783–1854, poeta e simbolista con affinità esoteriche),[64] Orazio De Attellis (1790–1860, esoterista),[65] Edward (Lord) Bulwer‑Lytton (1803–1873, affiliato alla Società Rosicruciana in Anglia),[66] Giuseppe Gallone (Principe di Tricase, 1820–1880, esoterista meridionale),[67] Pasquale del Pezzo (Duca di Caianello, 1825–1890, iniziato ermetico),[63] Michelangelo Caetani (Duca di Sermoneta, 1804–1882, studioso tradizionale e massone),[68] Pasquale De Servis (1815–1880, massone e occultista)[67]Giustiniano Lebano (1832–1910, ermetista napoletano, promotore del rito Egizio),[67] Ciro Formisano detto Giuliano Kremmerz (1861–1930, fondatore della Fratellanza Miriamica),[63] Leone Caetani (1869–1935, studioso delle religioni con interessi esoterici).[69].
XX secolo Arturo Reghini (1878–1946, filosofo pagano‑pitagorico del Novecento)[70].
Dopo la Rivoluzione francese, l'avvocato francese Gabriel André Aucler (metà del 1700–1815) adottò il nome di Quintus Nautius e cercò di ristabilire il paganesimo in Francia. Ammiratore dell'Antica Grecia e dell'Antica Roma, si dichiarava discendente di un'antica famiglia sacerdotale romana. Pubblicò il libro La Thréicie nel 1799, in cui esponeva le sue visioni religiose e criticava il cristianesimo. Gérard de Nerval scrisse un saggio su di lui in Les Illuminés (1852), descrivendo il suo paganesimo come un esempio della persistenza della religiosità in tempi di declino della fede.
Primo Novecento
Tra l'Ottocento e il Novecento il tentativo di proporre l'adozione di alcune forme rituali pagano-romane al nuovo Stato nazionale italiano fu tentato dall'archeologo Giacomo Boni (ara graminea sul Palatino, ludus Troiae, ecc.) e da ambienti esoterici della capitale.[71] Nel 1927 il filosofo ed esoterista Julius Evola, diede vita a Roma a una "catena magica", denominata Gruppo di Ur, e alla corrispondente rivista Ur (1927-1928); ne fece parte anche Arturo Reghini, discepolo del maestro pitagorico ed esponente di una catena iniziatica Amedeo Armentano. Nel 1928, Evola pubblicò il saggio Imperialismo Pagano, che può essere considerato il manifesto novecentesco del paganesimo politico italiano, al fine di contrastare i Patti lateranensi tra Stato e Chiesa. La rivista fu interrotta alla fine del 1928, per poi riprendere nel 1929 con il nuovo nome Krur.
Nel 1929 su Krur apparve un misterioso documento, proveniente da ambienti ermetici di Roma e firmato con lo ieronimo di Ekatlos, secondo i più attribuito all'orientalista Leone Caetani. Esso conteneva l'esplicita affermazione che la vittoria italiana nella prima guerra mondiale e l'avvento successivo del fascismo sarebbero stati propiziati, se non determinati, da alcuni riti etrusco-romani, compiuti a seguito di un misterioso ritrovamento di antichi reperti magici.[72]
Secondo Novecento
Il richiamo pubblico alla spiritualità precristiana di Roma, negli anni successivi, fino alla fine del fascismo, fu opera pressoché unicamente di Julius Evola. Da ambienti giovanili ruotanti attorno al filosofo romano riemerse, alle soglie degli anni settanta, un interesse "operativo" per la romanità pagana e per la stessa esperienza del Gruppo di Ur. Evola inserì nei suoi scritti anche concetti estranei alla religione classica romana (buddhismo, induismo, magia sessuale, nudità rituale privata).
A seguito di ciò, a Roma, Napoli, Messina nacque e si sviluppò il Gruppo dei Dioscuri, del quale Evola stesso era a conoscenza, che pubblicò una serie di quattro fascicoli dal titolo: L'Impeto della vera cultura, Le due Razze, Phersu maschera del Nume e Rivoluzione Tradizionale e Sovversione, per poi far perdere le sue tracce. Erroneamente considerato disciolto da alcuni autori, in particolare Renato del Ponte, il Gruppo dei Dioscuri ha continuato le proprie attività dal 1969, anche dopo la scomparsa del fondatore e guida spirituale, avvenuta nel 2000, manifestandosi in diverse regioni italiane. In Campania il reggente dei Dioscuri tenne la sua ultima e inconsueta apparizione pubblica in una conferenza intitolata "Oltre ogni distruzione - la Tradizione vive".
Un vivo interesse per la religione prisca di Roma emerse anche nella rivista evoliana Arthos, fondata a Genova nel 1972 e diretta da Renato del Ponte, autore di Dei e miti italici (1985) e La religione dei Romani (1993). Nel 1984, le esperienze dei Dioscuri messinesi furono riprese nel Gruppo Arx di Salvatore Ruta, già componente del gruppo originario, e nella pubblicazione del trimestrale La Cittadella.
Nel 1988 viene fondato il Movimento Tradizionale Romano[73][74], unificando vari gruppi. Tra i fondatori ci sono Salvatore Ruta, Renato del Ponte e Roberto Incardona.
Dal 1984 al 1986, tra Calabria e Sicilia, si rimanifestò anche l'Associazione Pitagorica, definita dai suoi portavoce come «lo stesso sodalizio fondato da Arturo Reghini nel dicembre del 1923», che pubblicava la rivista Yghìeia. L'associazione cessò ufficialmente di esistere nel 1988 con la morte del suo presidente, Sebastiano Recupero.
Uno dei membri, Roberto Sestito, diede poi vita ad autonome attività editoriali, dalla rivista Ignis (1990-1992), all'omonima casa editrice, al bollettino Il flauto di Pan (2000): il tema religioso e rituale pagano-romano però, malgrado le dichiarazioni di principio, fu pressoché assente. Tra il 1979 e il 1989, la casa editrice genovese Il Basilisco, pubblicò una trentina di opere nella Collana di Studi Pagani, tra le quali: Simmaco, Relazione sull'altare della Vittoria; Porfirio, Lettera ad Anebo; Giamblico, I Misteri; Proclo, Elementi di teologia; De Angelis, Il nome arcano di Roma; Giuliano Imperatore, Inno alla Madre degli Dèi; Giandomenico Casalino, Il nome segreto di Roma. Tra i collaboratori vi furono Renato del Ponte, Diego Meldi, Giandomenico Casalino e Glauco Berrettoni.
Il tema della Tradizione Romana è stato presente anche nella rivista dell'associazione Senatus di Piero Fenili (morto il 19 gennaio 2021) e Marco Baistrocchi (quest'ultimo morto nel 1997): Politica Romana (1994-2004). Pubblicazione di elevato livello culturale, è stata considerata da molti una rivista romano-pagana, pitagorica e "reghiniana".
Un famoso attivista fu l'attore Roberto Corbiletto, morto misteriosamente in un incendio forse causato da un fulmine nel 1999.

Anni Duemila
Negli anni Duemila, l'Associazione Tradizionale Pietas[75] si è impegnata nella ricostruzione di diversi templi[76] in tutta Italia e ha iniziato il percorso legale per ottenere il riconoscimento giuridico[77] da parte dello stato, ispirandosi a organizzazioni simili in altri paesi europei, come le associazioni Thyrsus e YSEE in Grecia. Il 30 giugno 2023, Pietas ha preso parte all'incontro dell'ECER, dove delegazioni di associazioni provenienti da 17 nazioni hanno redatto e firmato la Dichiarazione di Riga[78], volta a portare i governi delle varie organizzazioni a riconoscere le religioni etniche europee. Inoltre dall'inizio del nuovo millennio alcuni gruppi hanno ripreso a svolgere riti pubblici come il rito nel giorno del Natale di Roma.[79][80][81]
La via romana agli dei vede la presenza e l'azione nel territorio italiano di varie realtà indipendenti, continuando il pluralismo di associazioni già presente negli anni Ottanta e Novanta.
Il Movimento Tradizionale Romano porta avanti con continuità le sue attività cultuali e culturali, sia registrandosi come Associazione di Promozione Sociale / Associazione del Terzo Settore, sia aderendo prima al WCER nel 2005 e poi come membro attivo dell'ECER[82], organizzando ed ospitando il Congresso dell'ECER tenutosi a Roma[83] nel 2018. Il Movimento Tradizionale Romano inoltre possiede una testata giornalistica online, Saturnia Tellus,[84] registrata al Tribunale di Roma, nonché un canale di Religione Romana Gentile.
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Note
Bibliografia
Voci correlate
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