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Barriera corallina
Ecosistema marino tipico delle acque costiere tropicali Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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La barriera corallina o scogliera corallina è una biocostruzione marina tipica delle acque costiere dei mari e degli oceani tropicali, originata principalmente dall'attività di calcificazione di animali bentonici, i coralli duri o madrepore, in determinate condizioni ambientali. Una barriera corallina è composta da formazioni sottomarine biogeniche costituite e accresciute dalla sedimentazione degli esoscheletri calcarei dei coralli, in endosimbiosi con microalghe dette zooxantelle, che danno luogo ad ecosistemi estremamente ricchi di biodiversità.[1][2][3][4][5][6][7][8][9][10]

. Il termine si riferisce in genere alla barriera corallina di acque basse, habitat ad alto irraggiamento solare tipico dei mari tropicali, ma esistono biocostruzioni analoghe anche in acque a bassa penetrazione della luce (cosiddetta barriera corallina mesofotica[11]) o in condizioni di assenza di luce (barriera corallina di acque profonde[12]).
Questo tipo di ambiente è unico in quanto le barriere hanno creato delle isole e delle lagune in mari profondi, modificando sia il fondo sia le coste (ricoperte di sabbia finissima, frutto dell'erosione marina sui coralli e dell'azione di alcuni pesci che si cibano dei polipi, meglio noti come "corallivori"). La barriera corallina fa parte di una piattaforma carbonatica, e generalmente ne costituisce la fascia marginale verso mare. Verso terra è spesso (ma non necessariamente) separata dalla costa da lagune molto alte. Nonostante le barriere coralline occupino solo lo 0,1% del fondo oceanico della Terra, supportano il 25% di tutte le specie marine del nostro pianeta[13]. Il primo di giugno è la giornata mondiale dedicata alle barriere coralline.[14]
Come suggerisce il nome, le barriere coralline sono costituite da scheletri di corallo provenienti da colonie di corallo per lo più intatte. Man mano che altri elementi chimici presenti nei coralli vengono incorporati nei depositi di carbonato di calcio, si forma l'aragonite.
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Distribuzione delle barriere coralline
Riepilogo
Prospettiva

I coralli duri o madrepore vivono in tutti i mari del globo, ma mentre nei mari freddi e temperati costituiscono colonie piccole, nelle zone tropicali e subtropicali assumono un notevole sviluppo tale da formare le barriere coralline. L’osservazione della distribuzione geografica delle barriere coralline evidenzia come il loro sviluppo dipenda dal verificarsi di precise condizioni ambientali, riscontrabili solo in alcune acque costiere tropicali.
Le barriere coralline sono diffuse in tutta la fascia intertropicale tra i 30° di latitudine Nord e i 30° di latitudine Sud. Le aree geografiche con maggiore sviluppo delle barriere coralline sono i Caraibi, il Mar Rosso, l’Oceano Indiano (Africa orientale, India, Maldive), l’arcipelago della Sonda (Malesia, Indonesia, Timor), l’Australia settentrionale, la Polinesia e le Antille. Si stima che le barriere coralline coprano 284.300 km² (109.800 miglia quadrate), poco meno dello 0,1% della superficie degli oceani. La regione indo-pacifica (che comprende Mar Rosso, Oceano Indiano, Sud-Est asiatico e Pacifico) rappresenta il 91,9% di questo totale. Il sud-est asiatico rappresenta il 32,3% di quella cifra, mentre il Pacifico, inclusa l'Australia, rappresenta il 40,8%. Le barriere coralline atlantiche e caraibiche invece rappresentano il 7,6%.
In Australia, al largo delle coste del Queensland, si snoda la più grande barriera corallina del mondo, la Grande Barriera Corallina australiana (The Great Barrier Reef): 2.900 barriere collegate tra loro, 900 isole, 345.000 chilometri quadrati, oltre 2.200 km di lunghezza. Ospita circa 1.500 specie di pesci.
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Caratteristiche generali
Riepilogo
Prospettiva
Nell'immaginario collettivo e non solo, le barriere coralline rappresentano un mondo sommerso variopinto e altamente ricco in biodiversità. Le caratteristiche uniche dell'habitat che si crea a ridosso dei reefs (altro modo, anglosassone, per riferirsi alle barriere) sono dovute alla presenza dei coralli stessi che offrono riparo e protezione a migliaia di specie.[15]
La parte superiore delle barriere coralline, termine oggi riservato esclusivamente a quelle di maggiori dimensioni e poste lontano dalla costa (Grande Barriera Corallina australiana, Belize, ecc), fino a 5 m di profondità, è un ambiente ad alto o altissimo irraggiamento solare. Pochi cm al di sotto della superficie dell'acqua si possono raggiungere i 100000 lux. Ma già a 50 cm di profondità, la quantità di luce si dimezza, attestandosi intorno ai 50000-70000 lux nella fascia dei 3-5 m.
La luce è il “carburante” della barriera, in quanto viene catturata dai pigmenti fotosintetici delle zooxantelle, le alghe (genere Symbiodinium) che vivono in strettissima simbiosi con i coralli, detti per questo zooxantellati, all'interno dei loro tessuti, stimolandone la crescita fornendo zuccheri e ossigeno e favorendo la costruzione dei loro scheletri calcarei.[1]
A questa grande quantità di luce in natura si aggiunge un notevole idrodinamismo (movimento dell'acqua), percentuali bassissime di nutrienti in soluzione e una buona quantità di plancton.
Fattori ambientali limitanti

Le barriere coralline sono distribuite esclusivamente nelle calde regioni tropicali. Questo soprattutto perché il meccanismo di simbiosi tra le microalghe unicellulari e i coralli costruttori dei reef, per riuscire a produrre quantità di carbonato di calcio così elevate, necessita di un range di condizioni ambientali molto ristretto. La formazione delle barriere coralline è un processo antico e complesso che coinvolge numerosi organismi marini ed una grande varietà di processi e forze fisiche e chimiche.[1][2][3][4][5][6][7][8][9][10]
Luce, profondità e trasparenza

Le barriere coralline necessitano di un forte irraggiamento solare, come è consueto nelle regioni tropicali. L’esigenza di un’elevata luminosità per poter esplicare al meglio la funzione fotosintetica delle zooxantelle spiega perché la crescita dei coralli costruttori dei reef avvenga soprattutto nei primi metri della zona eufotica, attorno a isole e continenti. I coralli costruttori crescono fin dove arriva la luce del sole, quindi sott’acqua possono raggiungere una profondità di 15-25 m con un massimo di 40-50 m. Senza una sufficiente illuminazione, la fotosintesi delle zooxantelle non può realizzarsi e ciò riduce la capacità dei coralli di produrre carbonato di calcio e quindi di ‘edificare’ i reefs. La quantità di luce diminuisce al crescere della latitudine dove la penetrazione dei raggi solari in profondità può stagionalmente essere inferiore anche a 10 m. La quantità di luce che raggiunge le profondità massime è quella degli atolli corallini in oceano aperto. Per la crescita delle barriere coralline è fondamentale inoltre la trasparenza dell’acqua: l’acqua deve essere limpida senza sedimenti, sabbia o fanghi in sospensione. È anche per questo motivo che i reef si formano in zone lontane dalle foci fluviali o dai fondali fangosi, che sono ambienti molto torbidi.[1][2][3][4][5][6][7][8][9][10]
Temperatura

I coralli costruttori dei reef sono molto sensibili e poco tolleranti (non sono euritermi ma stenotermi): richiedono acque calde. Sebbene i coralli possano sopportare brevi esposizioni a temperature estreme, nel corso dell’anno deve necessariamente esservi una temperatura costante dell’acqua: superiore in media ai 20 °C, comunque non inferiore ai 18 °C e non superiore ai 32 °C per tutti i periodi dell’anno. Sembra che la temperatura ideale per la crescita dei coralli sia compresa tra i 23 °C e i 29 °C. Dove la temperatura dello strato superficiale del mare non varia oltre questi limiti di tolleranza, l’area è potenzialmente idonea per lo sviluppo di barriere coralline. Questa prerogativa si verifica sostanzialmente solo nelle acque costiere tropicali: nei mari temperati infatti, come il mar Mediterraneo, le specie di coralli che nei mari tropicali danno origine alle barriere coralline sono assenti. Sulle coste occidentali dell’Africa e dell’America, comprese tra i tropici, le formazioni coralline mancano o sono molto ridotte soprattutto a causa di correnti fredde che in quelle zone raggiungono le latitudini tropicali. La temperatura delle acque influenza anche la presenza di alcune specie piuttosto di altre: così acque a 25-29 °C sono ottimali per coralli ramificati mentre sotto i 24 °C crescono per lo più forme lisce e compatte. I coralli non riescono a sopportare temperature molto basse né troppo alte e in caso di fenomeni di abbassamento o di innalzamento eccessivo della temperatura dell’acqua muoiono rapidamente. Un aumento della temperatura anche modesto mette i coralli in forte difficoltà. L’aumento della temperatura dell’acqua, anche di pochi gradi, provocato dalle modificazioni climatiche planetarie ha infatti importanti ripercussioni sull’intero ecosistema. Il passaggio nell’Oceano Indiano della corrente calda di El Niño proveniente dal Pacifico ha causato la morte di vasti tratti di barriera corallina. Le barriere coralline sono assenti nel Mediterraneo perché le temperature invernali delle acque del Mediterraneo scendono al di sotto dei 18 °C, sono quindi cioè troppo basse.[1][2][3][4][5][6][7][8][9][10]
Salinità e sedimenti
Per la formazione e la crescita delle barriere coralline occorre un valore di salinità delle acque costante (né troppo bassa, né troppo alta) e uguale a quella oceanica (i coralli costruttori sono quindi anche stenoalini oltre che stenotermi). La maggior parte dei coralli costruttori di barriere coralline richiede acque molto saline in genere comprese tra 32 e 42‰ (cioè 32-42 grammi di sali per ogni litro d’acqua). Sembra che le condizioni di salinità ottimali per la crescita dei coralli siano comprese tra 34 e 37‰. I coralli quindi non sopportano differenze significative di salinità rispetto al normale. Di conseguenza, piogge abbondanti possono alterare la salinità dell’acqua e quindi danneggiare i coralli più superficiali. La necessità di acque molto saline spiega l’assenza di barriere coralline nelle vicinanze delle foci dei grandi fiumi, dove l’apporto di acqua dolce elevato diluisce l’acqua salata. Una grande responsabilità nell’interrompere a nord la Grande Barriera Corallina australiana è a carico dei fiumi della Nuova Guinea, così come la foce del Rio delle Amazzoni previene lo sviluppo di barriere coralline a sud dei Caraibi. Lo stesso accade in molte aree dell’Indonesia come alcune coste di Sumatra, Sulawesi, Borneo e lungo diverse coste indiane e malesi. D’altra parte zone ad alta concentrazione di sali come il Mar Rosso o il Golfo Persico vedono un’abbondante sviluppo di coralli ed un’ampia diffusione di barriere coralline. Sebbene i coralli sembrino tollerare maggiormente alte concentrazioni di sale, vi sono anche in questo caso dei limiti ed una salinità di 45‰ è mal tollerata da quasi tutte le specie, solo alcune specie dei coralli Porites resistono a concentrazioni di 48‰.[1][2][3][4][5][6][7][8][9][10]
Substrato, nutrienti ed inquinamento

Altra importante condizione necessaria per lo sviluppo delle barriere coralline è la presenza di un substrato duro molto stabile, su cui i coralli si possano insediare ed accrescere liberamente. Anche questa condizione ambientale è uno dei motivi per cui i reef corallini non esistono in prossimità dei fiumi: il sedimento che gli stessi fiumi possono portare in mare può interferire con la crescita del reef in quanto può comportare una riduzione della luminosità. Le particelle di sedimento potrebbero inoltre depositarsi sopra i polipi dei coralli determinandone il soffocamento. La presenza di nutrienti (però non troppo abbondanti) e di acque ben ossigenate è anche essenziale per la crescita di tutti gli organismi del reef. I coralli costruttori sono anche molto sensibili all’inquinamento. I fertilizzanti incrementano il livello di nutrienti, un eccesso di nutrienti nell’acqua altera l’equilibrio ecologico del reef provocando danni alla comunità corallina.[1][2][3][4][5][6][7][8][9][10]
Idrodinamismo
Anche la forza del vento, l’intensità del moto ondoso e l’intensità e la direzione delle correnti influenzano la crescita della barriera corallina. Per le barriere coralline infatti è necessario un movimento costante dell’acqua, in modo da disporre di un elevato e costante apporto di ossigeno e nutrienti e da impedire che eventuali sedimenti in sospensione si depositino sui polipi dei coralli, soffocandoli. Per questo motivo le barriere coralline si formano in ambienti a ricambio d’acqua, con acque abbastanza agitate, condizioni facilmente riscontrabili nella zona dei frangenti. I coralli comunque non sopportano movimenti dell’acqua troppo forti, perché potrebbero danneggiare lo scheletro carbonatico e causare l’apporto di eccessivo particellato in sospensione che ridurrebbe la quantità di luce necessaria alle zooxantelle per la fotosintesi. Quindi deve esserci un buon ricambio d’acqua ma non un eccessivo idrodinamismo. I coralli inoltre non tollerano emersioni prolungate, quindi luoghi con forti escursioni di marea non sono adatti alla formazione di importanti barriere coralline.[1][2][3][4][5][6][7][8][9][10]
Formazione delle barriere coralline
La maggior parte delle barriere coralline si è formata dopo l'ultimo periodo glaciale, quando lo scioglimento del ghiaccio ha causato l'innalzamento del livello del mare e l'allagamento delle piattaforme continentali. La maggior parte delle barriere coralline ha meno di 10.000 anni. Quando le comunità si sono stabilite, le barriere coralline sono cresciute verso l'alto, stimolando l'innalzamento del livello del mare. Le barriere coralline che si alzavano troppo lentamente potrebbero annegare, senza luce sufficiente. Le barriere coralline si trovano nel mare profondo lontano dalle piattaforme continentali, intorno alle isole oceaniche e agli atolli. La maggior parte di queste isole è di origine vulcanica. Altri hanno origini tettoniche in cui i movimenti delle placche hanno sollevato il fondo oceanico profondo.
In The Structure and Distribution of Coral Reefs (1842), il naturalista inglese Charles Darwin espose la sua teoria sulla formazione delle barriere coralline, un'idea che concepì durante il viaggio del Beagle. Ha teorizzato che il sollevamento e il cedimento della crosta terrestre sotto gli oceani formassero gli atolli. Darwin ha stabilito una sequenza di tre fasi nella formazione dell'atollo. Una barriera corallina si forma intorno a un'isola vulcanica estinta mentre l'isola e il fondo dell'oceano si abbassano. Mentre la subsidenza continua, la barriera corallina diventa una barriera corallina e infine un atollo.
Darwin predisse che sotto ogni laguna ci sarebbe stata una base rocciosa, i resti del vulcano originale. Ricerche successive hanno supportato questa ipotesi. La teoria di Darwin derivava dalla sua comprensione che i polipi corallini prosperano ai tropici dove l'acqua è agitata, ma possono vivere solo entro un intervallo di profondità limitato, a partire appena sotto la bassa marea. Laddove il livello della terra sottostante lo consente, i coralli crescono intorno alla costa per formare barriere coralline e alla fine possono crescere fino a diventare una barriera corallina.
Una barriera corallina può impiegare diecimila anni per formarsi e un atollo può impiegare fino a 30 milioni di anni.
Dove il fondale sta salendo, intorno alla costa possono crescere barriere coralline, ma il corallo sollevato sopra il livello del mare muore. Se la terra si abbassa lentamente, le barriere coralline tengono il passo crescendo verso l'alto su una base di corallo morto più vecchio, formando una barriera corallina che racchiude una laguna tra la barriera corallina e la terraferma. Una barriera corallina può circondare un'isola, e una volta che l'isola affonda sotto il livello del mare, un atollo approssimativamente circolare di coralli in crescita continua a stare al passo con il livello del mare, formando una laguna centrale. Le barriere coralline e gli atolli di solito non formano cerchi completi ma sono rotti in alcuni punti dalle tempeste. Come l'innalzamento del livello del mare, un fondale che si abbassa rapidamente può sopraffare la crescita dei coralli, uccidendo il corallo e la barriera corallina, a causa di quello che viene chiamato annegamento dei coralli. I coralli che si affidano alle zooxantelle possono morire quando l'acqua diventa troppo profonda perché i loro simbionti possano fotosintetizzare adeguatamente, a causa della ridotta esposizione alla luce.
Le due principali variabili che determinano la geomorfologia, o forma, delle barriere coralline sono la natura del substrato su cui poggiano e la storia del cambiamento del livello del mare rispetto a quel substrato.
La Grande Barriera Corallina, vecchia di circa 20.000 anni, offre un esempio di come le barriere coralline si siano formate sulle piattaforme continentali. Il livello del mare era quindi 120 m (390 piedi) più basso rispetto al XXI secolo. Quando il livello del mare si è alzato, l'acqua e i coralli hanno invaso quelle che erano state le colline della pianura costiera australiana. Entro 13.000 anni fa, il livello del mare era salito a 60 m (200 piedi) più basso di quello attuale e molte colline delle pianure costiere erano diventate isole continentali. Con il continuo innalzamento del livello del mare, l'acqua ha superato la maggior parte delle isole continentali. I coralli potrebbero quindi invadere le colline, formando banchi e scogliere. Il livello del mare sulla Grande Barriera Corallina non è cambiato significativamente negli ultimi 6000 anni. L'età della struttura vivente della barriera corallina è stimata tra i 6.000 e gli 8.000 anni. Sebbene la Grande Barriera Corallina si sia formata lungo una piattaforma continentale e non intorno a un'isola vulcanica, si applicano i principi di Darwin. Lo sviluppo si è fermato allo stadio della barriera corallina, poiché l'Australia non sta per sommergersi. Ha formato la barriera corallina più grande del mondo, 300-1.000 m (980-3.280 piedi) dalla costa, che si estende per 2.000 km (1.200 mi).
Le barriere coralline tropicali sane crescono orizzontalmente da 1 a 3 cm (da 0,39 a 1,18 pollici) all'anno e crescono verticalmente ovunque da 1 a 25 cm (da 0,39 a 9,84 pollici) all'anno; tuttavia, crescono solo a profondità inferiori a 150 m (490 piedi) a causa del loro bisogno di luce solare e non possono crescere sopra il livello del mare.[5]
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Biologia ed ecologia dei coralli
Riepilogo
Prospettiva

Quando sono vivi, i coralli sono colonie di piccoli animali incastonati in gusci di carbonato di calcio. Le teste di corallo sono costituite da accumuli di singoli animali chiamati polipi, disposti in forme diverse. I polipi sono generalmente piccoli, ma possono variare in dimensioni da una capocchia di spillo a 30 cm (12 pollici).
I coralli che costruiscono barriere coralline o ermetici vivono solo nella zona fotica (sopra i 50 m), la profondità alla quale la luce solare sufficiente penetra nell'acqua.
Zooxantelle

I polipi dei coralli non fotosintetizzano, ma hanno una relazione simbiotica con alghe microscopiche (dinoflagellati) del genere Symbiodinium, comunemente chiamate zooxantelle. Questi organismi vivono all'interno dei tessuti dei polipi e forniscono nutrienti organici che nutrono il polipo sotto forma di glucosio, glicerolo e amminoacidi. A causa di questa relazione, le barriere coralline crescono molto più velocemente in acque limpide, che ammettono più luce solare. Senza i loro simbionti, la crescita dei coralli sarebbe troppo lenta per formare significative strutture di barriera. I coralli ottengono fino al 90% dei loro nutrienti dai loro simbionti. In cambio, come esempio di mutualismo, i coralli riparano le zooxantelle, in media un milione per ogni centimetro cubo di corallo, e forniscono un apporto costante di anidride carbonica di cui hanno bisogno per la fotosintesi.
I pigmenti variabili nelle diverse specie di zooxantelle conferiscono loro un aspetto complessivamente marrone o marrone dorato e conferiscono ai coralli marroni i loro colori. Altri pigmenti come rossi, blu, verdi, ecc. provengono da proteine colorate prodotte dagli animali corallini. Il corallo che perde una grande frazione delle sue zooxantelle diventa bianco (o talvolta sfumature pastello nei coralli pigmentati con le proprie proteine) e si dice che sia sbiancato, una condizione che, se non corretta, può uccidere il corallo.
Ci sono otto cladi di filotipi Symbiodinium. La maggior parte delle ricerche è stata condotta sui cladi A-D. Ogni clade contribuisce con i propri benefici e attributi meno compatibili alla sopravvivenza dei loro ospiti corallini. Ogni organismo fotosintetico ha un livello specifico di sensibilità al fotodanneggiamento ai composti necessari per la sopravvivenza, come le proteine. I tassi di rigenerazione e replicazione determinano la capacità dell'organismo di sopravvivere. Il filotipo A si trova maggiormente nelle acque poco profonde. È in grado di produrre amminoacidi simili alle micosporine resistenti ai raggi UV, utilizzando un derivato della glicerina per assorbire la radiazione UV e permettendo loro di adattarsi meglio alle temperature dell'acqua più calde. In caso di danni ai raggi UV o termici, se e quando si verifica la riparazione, aumenterà la probabilità di sopravvivenza dell'ospite e del simbionte. Questo porta all'idea che, evolutivamente, il clade A è più resistente ai raggi UV e termicamente rispetto agli altri clade.
Le cladi B e C si trovano più frequentemente in acque più profonde, il che potrebbe spiegare la loro maggiore vulnerabilità all'aumento delle temperature. Le piante terrestri che ricevono meno luce solare perché si trovano nel sottobosco sono analoghe ai cladi B, C e D. Poiché i cladi da B a D si trovano a profondità più profonde, richiedono un elevato tasso di assorbimento della luce per essere in grado di sintetizzare tanta energia. Con elevati tassi di assorbimento alle lunghezze d'onda UV, questi filotipi sono più inclini allo sbiancamento dei coralli rispetto al clade A poco profondo.
È stato osservato che il clade D è tollerante alle alte temperature e ha un tasso di sopravvivenza più elevato rispetto ai cladi B e C durante i moderni eventi di sbiancamento.
Scheletro dei coralli
Le barriere coralline crescono mentre i polipi e altri organismi depositano carbonato di calcio, la base del corallo, come struttura scheletrica sotto e intorno a se stessi, spingendo la sommità della testa del corallo verso l'alto e verso l'esterno. Onde, pesci al pascolo (come i pesci pappagallo), ricci di mare, spugne e altre forze e organismi agiscono come bioerodori, scomponendo gli scheletri dei coralli in frammenti che si depositano negli spazi nella struttura della barriera corallina o formano fondali sabbiosi nelle lagune di barriera associate.
Le forme tipiche delle specie di corallo prendono il nome dalla loro somiglianza con oggetti terrestri come cervelli rugosi, cavoli, piani di tavoli, corna, fili e pilastri. Queste forme possono dipendere dalla storia della vita del corallo, come l'esposizione alla luce e l'azione delle onde, e da eventi come le rotture.
Riproduzione dei coralli

I coralli si riproducono sia sessualmente che asessualmente. Un singolo polipo utilizza entrambe le modalità riproduttive durante la sua vita. I coralli si riproducono sessualmente mediante fecondazione interna o esterna. Le cellule riproduttive si trovano sui mesenteri, membrane che si irradiano verso l'interno dallo strato di tessuto che riveste la cavità dello stomaco. Alcuni coralli adulti maturi sono ermafroditi; altri sono esclusivamente maschi o femmine. Alcune specie cambiano sesso man mano che crescono.
Le uova fecondate internamente si sviluppano nel polipo per un periodo che va da giorni a settimane. Lo sviluppo successivo produce una minuscola larva, nota come planula. Le uova fecondate esternamente si sviluppano durante la deposizione delle uova sincronizzata. I polipi attraverso una barriera corallina rilasciano simultaneamente uova e sperma nell'acqua in massa. Le uova si disperdono su una vasta area. La tempistica della deposizione delle uova dipende dal periodo dell'anno, dalla temperatura dell'acqua e dai cicli delle maree e della luna. La deposizione delle uova ha più successo data la piccola variazione tra l'alta e la bassa marea. Minore è il movimento dell'acqua, maggiori sono le possibilità di fertilizzazione. Il momento ideale si verifica in primavera. Il rilascio di uova o planula di solito avviene di notte ed è talvolta in fase con il ciclo lunare (da tre a sei giorni dopo la luna piena). Il periodo dal rilascio all'insediamento dura solo pochi giorni, ma alcune planule possono sopravvivere a galla per diverse settimane. Durante questo processo, le larve possono utilizzare diversi segnali per trovare un luogo adatto per l'insediamento. A lunghe distanze i suoni delle barriere esistenti sono probabilmente importanti, mentre a brevi distanze diventano importanti i composti chimici. Le larve sono vulnerabili alla predazione e alle condizioni ambientali. Le poche fortunate planule che si attaccano con successo al substrato poi competono per cibo e spazio.
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Biodiversità delle barriere coralline
Riepilogo
Prospettiva
Le barriere coralline sono gli ecosistemi più ricchi di biodiversità del pianeta. Sebbene occupino solo circa l'1% dei mari e degli oceani del pianeta, le barriere coralline ospitano più del 25% della biodiversità marina globale, questo rende le barriere coralline dei veri e propri hotspot di biodiversità.[16][3][4][2]
La biodiversità marina delle barriere coralline è dominata dal benthos, che rappresenta circa il 95% della biodiversità totale di questi ecosistemi, ma alle barriere coralline si associa anche una ricca componente del plancton e del necton.
Le barriere coralline formano alcuni degli ecosistemi più produttivi del mondo, fornendo habitat marini complessi e vari che supportano un'ampia gamma di altri organismi.

Le barriere coralline ospitano una ricchissima varietà di animali invertebrati, tra cui poriferi (spugne), cnidari (coralli, gorgonie, attinie o anemomi di mare, pennatule, meduse), platelminti (vermi piatti), anellidi (vermi segmentati), molluschi (bivalvi, gasteropodi, cefalopodi), briozoi, brachiopodi, nemertini, crostacei (gamberetti, aragoste, canocchie, gamberi, granchi, paguri), echinodermi (ricci di mare, stelle di mare, stelle serpentine, cetrioli di mare, gigli di mare), ascidie.
Tra gli animali vertebrati, le barriere coralline ospitano una ricchissima diversità di pesci appartenenti a diverse famiglie, sia pesci cartilaginei sia pesci ossei. I rettili sono rappresentati da tartarughe di mare e serpenti di mare. Molte specie di uccelli marini delle regioni costiere tropicali trovano nutrimento dalle barriere coralline. A parte gli esseri umani, i mammiferi sono rari sulle barriere coralline, con l'eccezione principale di cetacei in visita come i delfini.
Alcune specie si nutrono direttamente di coralli, mentre altre pascolano di alghe sulla barriera corallina. La biomassa della barriera corallina è positivamente correlata alla diversità delle specie.
Gli stessi nascondigli in una barriera corallina possono essere regolarmente abitati da specie diverse in momenti diversi della giornata. I predatori notturni come il pesce cardinale e il pesce scoiattolo si nascondono durante il giorno, mentre castagnole, pesci chirurgo, pesci balestra, labri e pesci pappagallo si nascondono da anguille e squali.
Il gran numero e la diversità dei nascondigli nelle barriere coralline, cioè i rifugi, sono il fattore più importante che causa la grande diversità e l'elevata biomassa degli organismi nelle barriere coralline.
Alghe
Le barriere coralline sono cronicamente a rischio di invasione di alghe. La pesca eccessiva e l'eccesso di apporto di nutrienti dalla terraferma possono consentire alle alghe di competere e uccidere il corallo. L'aumento dei livelli di nutrienti può essere il risultato del deflusso delle acque reflue o dei fertilizzanti chimici. Il deflusso può trasportare azoto e fosforo che promuovono la crescita eccessiva delle alghe. Le alghe a volte possono competere con il corallo per lo spazio. Le alghe possono quindi soffocare il corallo diminuendo l'apporto di ossigeno disponibile alla barriera corallina. Livelli di ossigeno ridotti possono rallentare i tassi di calcificazione, indebolendo il corallo e rendendolo più suscettibile alle malattie e al degrado. Le alghe abitano una grande percentuale di località coralline esaminate. La popolazione algale è costituita da alghe da tappeto erboso, alghe coralline e macroalghe. Alcuni ricci di mare (come Diadema antillarum e Diadema setosum) mangiano queste alghe e potrebbero quindi ridurre il rischio di invasione algale.
Le alghe coralline contribuiscono in modo importante alla struttura della barriera corallina. Sebbene i loro tassi di deposizione di minerali siano molto più lenti dei coralli, sono più tolleranti all'azione delle onde ruvide, e quindi aiutano a creare una crosta protettiva su quelle parti della barriera corallina soggette alle maggiori forze dalle onde, come il fronte della barriera corallina rivolto verso il oceano aperto. Rafforzano anche la struttura della barriera corallina depositando calcare in fogli sulla superficie della barriera corallina.
Invertebrati
Gli invertebrati sono sicuramente gli organismi più diffusi e più presenti nelle barriere coralline; la maggior parte di questi sono organismi bentonici legati al substrato.
Un certo numero di invertebrati, chiamati collettivamente "criptofauna", abitano il substrato scheletrico del corallo stesso, perforando gli scheletri (attraverso il processo di bioerosione) o vivendo in vuoti e fessure preesistenti. Gli animali che scavano nella roccia includono spugne, molluschi bivalvi e sipunculani. Quelli che si stabiliscono sulla barriera corallina includono molte altre specie, in particolare crostacei e anellidi policheti.
Poriferi

I poriferi, comunemente noti come spugne, sono fondamentali per il funzionamento della barriera corallina. Le spugne hanno un ruolo importante nell’ecologia delle barriere coralline. Nei Caraibi in alcune regioni sono addirittura più abbondanti dei coralli stessi; nell'Indo-Pacifico invece la loro presenza è inferiore.

Le spugne sono i più semplici e primitivi tra gli animali: non hanno organi né tessuti, ma sono fondamentalmente costituite da un ammasso di cellule specializzate in diverse funzioni. Il loro corpo, che può assumere tantissime morfologie, da forme massive e globose a forme piatte e incrostanti, da forme a barile a forme a canne d'organo, da forme arborescenti e ramificate a forme compatte, è sostenuto da uno scheletro interno di piccole spicole, strutture microscopiche aghiformi, a forma di bastoncino, che possono essere silicee o carbonatiche e che conferiscono sostegno alla spugna. La composizione chimica delle spicole ha valore sistematico; spesso le specie si possono identificare solo studiando al microscopio le spicole.
Le spugne sono organismi bentonici filtratori sospensivori, si nutrono filtrando l'acqua dall'ambiente circostante attraverso numerosi pori che ricoprono tutta la superficie del corpo della spugna, e catturando materiale nutritivo organico presente nella colonna d'acqua attraverso particolari cellule flagellate, dette coanociti, presenti all'interno del corpo della spugna. Le spugne filtrano l'acqua attraverso i pori, le particelle nutritive vengono trattenute all'interno del corpo tramite i flagelli dei coanociti, e l'acqua viene poi espulsa da un poro più grande, presente alla sommità del corpo, detto osculo. Le spugne hanno un considerevole impatto nell'ambiente della barriera corallina filtrando enormi quantità di acqua e rimodellando la struttura della barriera nella competizione per lo spazio.

Le spugne sono tra i più importanti componenti strutturali e funzionali delle barriere coralline. Partecipano secondariamente alla biocostruzione dell’impalcatura generale dell’ambiente tridimensionale, riempiendo e cementando gli spazi, aggiungendo le spicole e tutto il materiale minerale che incorporano durante la loro crescita. In ambienti come la barriera esterna e profonda della zona caraibica e dell’Oceano Pacifico le spugne, sia strutturalmente sia anche visivamente, hanno una grande importanza, formando architetture spettacolari a barile, arborescenti ramificate o a imbuto. Queste spugne contribuiscono notevolmente ad aumentare la complessità della struttura tridimensionale delle barriere coralline. Le spugne competono per lo spazio con i coralli e con gli altri invertebrati bentonici. Dall’altro lato tra le spugne troviamo anche i responsabili dei maggiori fenomeni di erosione: spugne perforanti, aiutandosi con una secrezione acida scavano gallerie all’interno delle rocce calcaree, dei coralli morti e spesso anche di quelli vivi, riducendo in sabbia il materiale che attaccano e rendendolo fragile, in altre parole polverizzano quanto era stato costruito.[5]
Cnidari

Gli cnidari o celenterati sono gli organismi dominanti delle barriere coralline: le madrepore, i coralli costruttori, appartengono a questo grande gruppo. La caratteristica fondamentale degli cnidari è la presenza di una corona di tentacoli, muniti di cellule urticanti (cnidociti) che circondano una bocca. Le cellule urticanti presenti nei tentacoli, dette cnidociti, contengono capsule urticanti, che prendono il nome di nematocisti, e servono all'animale per difesa e per paralizzare le prede. Gli cnidari possono apparire in due diverse forme del corpo, quella medusoide e quella polipoide. La forma medusoide è tipica delle meduse; in questi organismi, che fanno parte del plancton e che quindi vivono in sospensione nella colonna d'acqua, la bocca e i tentacoli sono rivolti verso il basso. Nella forma polipoide la bocca e i tentacoli sono rivolti verso l'alto. I polipi sono organismi bentonici sessili, fissi al substrato; possono essere solitari, come nel caso delle attinie o anemoni di mare, o coloniali, come nel caso dei coralli e delle gorgonie.

Nelle barriere coralline ci sono molti gruppi di cnidari oltre alle madrepore o coralli duri che costruiscono l'edificio corallino: elioporacei, coralli di fuoco, coralli molli, gorgonie, penne di mare, attinie o anemoni di mare ecc.
Gli elioporacei sono organismi polipoidi coloniali in grado di produrre robuste strutture esoscheletriche di aragonite cristallina, simili a quelle dei coralli costruttori (madrepore). Partecipano come biocostruttori secondari all'impalcatura della barriera corallina.

I coralli di fuoco sono organismi polipoidi coloniali, diffusi nell’Oceano Indiano, nel Pacifico e nel Mar Rosso, dotati di un fragile scheletro calcareo, che forma ramificazioni fino ad un metro di altezza. La parte terminale di queste è più chiara del resto del corpo, di colore da bianco a giallo-arancio. I tentacoli dei singoli polipi sono ricchi di cnidociti molto potenti le cui nematocisti contengono una tossina che causa ustioni a contatto, e che è pericolosa anche per l'uomo (da qui il nome di corallo di fuoco). La persona che si ferisce con un corallo di fuoco avverte forte bruciore e dolore, subito dopo si formano piccole ustioni e talvolta un rash orticarioide. In qualche caso si può andare incontro anche ad astenia, agitazione, difficoltà a respirare, nausea, vomito. Tali sintomi possono essere complicati da ferite provocate da incrostazioni calcaree che possono causare sovra-infezioni con febbre anche molto alta e linfangite. L'intossicazione, se non curata, può portare occasionalmente alla morte, ma sono casi rarissimi. Se si viene colpiti dalla sostanza irritante di un corallo di fuoco bisogna subito cercare un medico, l'intervento immediato dovrebbe mirare ad asportare, possibilmente con un coltello dalla parte non tagliente, sia gli eventuali tentacoli del corallo attaccati alla cute e i frammenti calcarei, sia i filamenti velenosi (in realtà invisibili a occhio nudo). Subito dopo si deve lavare la ferita con acqua di mare, non dolce, e ricoprirla con pomate cortisoniche, antistaminiche e antibiotiche. In caso di lesioni molto estese si consiglia la somministrazione di antibiotici per via generale. Se subentrano difficoltà respiratoria e ipotensione, si passa ad antistaminici e corticosteroidi per via parenterale. In rarissimi casi di shock anafilattico sarà necessaria un’assistenza cardiorespiratoria.[17]


I coralli molli o alcionacei sono ottocoralli bentonici coloniali che si sviluppano radialmente intorno ad un asse corneo privo di scleriti e con corteccia dell'asse divisa in comparti. Prendono il nome di coralli molli perché, a differenza dei coralli duri, ossia i coralli costruttori o madrepore, non producono esoscheletri di carbonato di calcio. Il tipico polipo ha una colonna cilindrica che termina con una bocca circondata da 8 tentacoli pinnati. L'anatomia interna è assai primitiva, praticamente ridotta a una cavità intestinale (mesenterio), con un'unica apertura (la bocca). In una colonia esiste una comunicazione tra i diversi polipi, che si scambiano sostanze nutrienti ma anche informazioni. Se la punta di un ramo viene disturbata, l'intera colonia reagisce chiudendo i polipi. Coralli molli molto diffusi nelle barriere coralline tropicali sono i coralli del genere Sarcophyton, che formano grosse colonie, grazie alla loro grande capacità di riprodursi velocemente per via asessuata, che permette poca variabilità ma molta prole. Ogni colonia si fissa saldamente al substrato mediante un disco adesivo. Se infastidita, la colonia contrae rapidamente i tentacoli, espellendo l'acqua che li riempie, ed assume la forma di una palla, dura e legnosa.

Le gorgonie sono antozoi ottocoralli coloniali caratterizzati morfologia arborescente e dalla presenza di una particolare proteina, la gorgonina, che conferisce sostegno allo scheletro. Le gorgonie sono animali marini bentonici sessili che consistono in una colonia di numerosi polipi. La colonia di una gorgonia è caratterizzate da una morfologia arborescente ramificata, in genere disposte su un solo piano, spesso di notevoli dimensioni e vivacemente colorate. L'elemento caratterizzante delle gorgonie è costituito dal loro asse portante, uno scheletro rigido, in genere di consistenza legnosa, formato da diverse sostanze tra le quali la gorgonina, una proteina elastica.

Le attinie o anemoni di mare sono polipi solitari dal corpo molle, privi di esoscheletro; sono caratterizzate talora da un polipo di notevoli dimensioni armato di una corona di tentacoli urticanti ricchi di nematocisti, che assumono una grande importanza nella difesa dai predatori e nella cattura dell’alimento. Molte attinie tropicali (Heteractis, Stichodactyla, Entacmaea ecc.) possono instaurare rapporti di simbiosi con alcuni organismi della barriera corallina, come i pesci pagliaccio e i granchi porcellana (Neopetrolisthes maculatus).
La simbiosi tra l'anemone di mare e il pesce pagliaccio è un caso di mutualismo: entrambe le specie traggono un vantaggio. Il pesce, rifugiandosi tra i tentacoli velenosi dell'anemone, ottiene riparo da potenziali predatori (i pesci pagliaccio sono immuni al veleno delle attinie grazie ad un muco cutaneo che ricopre la loro pelle, che imita i recettori chimici presenti nei tentacoli, impedendo che l'attinia riconosca i pesci pagliaccio come aggressori); l'anemone di mare in cambio ha un valido alleato contro i suoi predatori: i pesci pagliaccio infatti, dall'indole fortemente aggressiva e territoriale, aggrediscono qualsiasi pesce si avvicini all'attinia.
Platelminti

I platelminti o vermi piatti sono invertebrati vermiformi caratterizzati da un corpo sottile ed appiattito dorso-ventralmente. Sono essenzialmente forme bentoniche striscianti che si spostano sul substrato grazie a contrazioni della muscolatura tramite una combinazione di movimenti ondulatori ciliari e muscolari. Nella regione anteriore sono spesso presenti delle pieghe cefaliche leggermente sollevate, ricche di cellule nervose sensoriali, che captano gli stimoli ambientali esterni permettendo così un’efficiente percezione dell’ambiente esterno ed un’efficace ricerca del cibo. Sono predatori, la maggior parte di loro si nutre di ascidie, perciò abbondano nei fondi in cui le ascidie sono molto comuni, in acque ricche di materiale sospeso. Nelle barriere coralline i platelminti, soprattutto turbellari policladi, sono rappresentati da numerose specie spesso caratterizzate da colorazioni sgargianti. Spesso assumono l’aspetto di molluschi nudibranchi velenosi per evitare la predazione (mimetismo batesiano); per riconoscerli da questi bisogna osservarne il movimento in quanto non hanno il piede carnoso ma si muovono contraendo il bordo.
Anellidi
Gli anellidi sono detti vermi segmentati perché hanno il corpo suddiviso in segmenti che prendono il nome di metameri. Nelle barriere coralline il gruppo più rappresentato è quello dei policheti.

I policheti sono organismi esclusivamente marini, quasi esclusivamente bentonici e sono caratterizzati dalla presenza, in ogni metamero, di numerose setole sottili e chitinose, dette chete, organizzate in ciuffi su digitazioni laterali dette parapodi. I policheti possono essere distinti in erranti (vagili) o sedentari (sessili).

I policheti erranti sono vagili, conducono vita libera: si spostano sul substrato strisciando per mezzo dei parapodi e mediante contrazioni del corpo. Hanno un corpo tipicamente costituito da metameri simili (metameria omonoma) con parapodi ben sviluppati. Le chete, numerose in ogni metamero, permettono il movimento: aiutano i metameri ad ancorarsi al substrato e ad evitare lo scivolamento. Sono prevalentemente predatori (di cnidari, molluschi, crostacei, echinodermi ecc.). Il polichete Hermodice carunculata, noto come vermocane o verme di fuoco perché munito di chete urticanti, è un attivo predatore generalista, e le sue caratteristiche di vorace corallivoro e la sua ecologia termofila (con il riscaldamento delle acque è sempre più abbondante) lo rendono una minaccia per la salute di specie di coralli minacciate, come la madrepora Acropora cervicornis o le gorgonie.[18] Nelle barriere coralline caraibiche il vermocane preda sia le gorgonie sia le madrepore, spesso si nutre dei polipi malati tra le porzioni sane e morte dei coralli, un comportamento alimentare che sembra essere un caso di opportunismo.[19]

I policheti sedentari sono organismi sessili che vivono in un tubo calcareo indurito di consistenza cartacea, prodotto dall'animale stesso, dentro cui si ritira in caso di pericolo. Sono sospensivori filtratori, si nutrono di sostanze organiche in sospensione nella colonna d'acqua, che catturano grazie alla presenza nella zona cefalica di una corona di branchie filiformi ricoperte di cilia e di ghiandole mucose, la cui funzione è di invischiare le particelle alimentari. Nelle barriere coralline sono ampiamente diffusi i cosiddetti vermi albero di natale (Spirobranchus giganteus), policheti sedentari dalle branchie coloratissime e presenti in diverse colorazioni, vivono infossati nei coralli, scavano buchi negli esoscheletri dei coralli e si ritirano nei propri tubi calcarei in caso di pericolo. Il colore del ciuffo branchiale è variabilissimo: vi sono esemplari rossi, bianchi, blu o di più colori. Il nome comune di questo anellide deriva infatti dalla sua somiglianza con un albero di Natale addobbato. La parte inferiore del tubo calcareo, a sezione triangolare, viene inserito all'interno di un foro che l'animale scava nell'esoscheletro del corallo.
Echinodermi

Gli echinodermi sono organismi molto importanti della fauna bentonica delle barriere coralline: questi ambienti sono molto popolati da una ricca biodiversità di ricci di mare, stelle di mare, ofiure, crinoidi e oloturie. La caratteristica principale che accomuna tutti questi organismi è la presenza negli individui adulti della simmetria pentaraggiata: il loro corpo è infatti diviso in 5 (o più) parti molto simili tra loro e disposte concentricamente intorno all’asse centrale dell’individuo.[5][6]
I ricci di mare (echinoidei) sono molto comuni nei fondi sabbiosi delle barriere coralline. Sono animali bentonici provvisti di uno scheletro calcareo, impropriamente detto guscio, munito di lunghi aculei mobili e, sulla superficie ventrale, di tante piccole estroflessioni con estremità a ventosa, dette pedicelli ambulacrali, che gli consentono di spostarsi. I ricci diadema si sono dimostrati molto importanti nel mantenimento dello stato di salute delle barriere coralline. Alcune specie di ricci di mare, erbivori pascolatori, possono svolgere un ruolo fondamentale nell'impedire alle alghe di invadere le barriere coralline.[20] Nel 1983, in una vasta area caraibica, un evento di pesca massiva ha interessato i ricci diadema dei Caraibi (Diadema antillarum), voraci pascolatori di macroalghe. Da allora diverse barriere coralline della zona caraibica hanno dovuto subire la conseguenza di un eccessivo sviluppo di macroalghe che ha causato la morte di numerosi coralli e l’insorgenza di malattie diffuse (Lessios, 1984).[21][5] Il riccio di mare Diadema setosum sembra avere effetti analoghi sulle barriere coralline dell’Indo-Pacifico, sebbene in quest’area anche i pesci erbivori, molto più numerosi che nell’area caraibica, svolgono un’attività di pascolo importante al pari dei ricci. I ricercatori stanno studiando l'uso dei ricci Tripneustes gratilla per il loro potenziale come agenti di biocontrollo per mitigare la diffusione di specie di alghe invasive sulle barriere coralline.[5] Un riccio di mare tropicale dalla morfologia molto particolare è Heterocentrotus mamillatus, anche detto riccio matita perché caratterizzato da aculei dallo spessore molto elevato.


Alcuni ricci di mare delle barriere coralline tropicali possono essere molto velenosi anche per l'uomo. Il riccio fiore (Toxopneustes pileolus), è un grande riccio di mare tropicale velenoso in grado di uccidere un uomo. La sua simmetria pentaradiale è evidente ed i suoi aculei biancastri o rosati sono corti e nascosti sotto a pedicelli ambulacrali che fuoriescono dando l’impressione di essere un fiore o una foglia. Questi pedicelli sono dotati di ghiandole velenifere in grado di inoculare una tossina estremamente potente, addirittura mortale per l’uomo per semplice contatto, il che lo rende l’echinoderma più pericoloso per l’uomo. Questo riccio di mare è estremamente pericoloso per l’uomo a causa del suo veleno potente e neurotossico, che può causare la morte per soffocamento di un uomo in meno di un’ora. Non esiste un controveleno e si raccomanda un ricovero rapido in caso di avvelenamento. Anche se in alcuni piccoli esemplari le microscopiche punture dei pedicellaria non riescono a perforare la pelle spessa come quelle delle mani e dei piedi, manipolare l’animale è comunque fortemente sconsigliato.[22] Altre specie velenose sono i cosiddetti ricci di fuoco (Asthenosoma), che vivono dal Mar Rosso all'Indo-Pacifico su fondali corallini da 5 sino a 30 m di profondità; gli aculei di queste specie terminano con una sorta di ghiandola velenifera bianca ben evidente, che può essere pericoloso anche per l'uomo.[23]



Tra le stelle marine (asteroidei), nelle barriere coralline sono degne di nota, per dimensioni, forme e colorazioni, la stella marina blu (Linckia laevigata), la stella marina cornuta (Protoreaster nodosus), la stella marina cuscino (Culcita novaeguineae). La caratteristica che accomuna le stelle marine è la presenza negli individui di 5 o più braccia disposte concentricamente intorno all’asse centrale dell’individuo. Le braccia si dipartono da un disco posto al centro dell’animale. Alcune specie possiedono un numero maggiore di braccia. Gli asteroidei non possiedono un capo, il loro sistema nervoso è infatti costituito solamente da una rete nervosa in grado di coordinare il movimento delle braccia dell’animale. Per questo motivo non è possibile individuare una parte anteriore e una posteriore nell’organismo; piuttosto si distinguono due lati: uno orale in cui si trova la bocca e uno aborale dove si trova l’ano. Sul lato orale dell’animale sono presenti dei canali (solchi ambulacrali) che percorrono longitudinalmente ciascun braccio. Da questi solchi fuoriescono centinaia di piccole estensioni dotate di ventose (pedicelli ambulacrali), utilizzate dalla stella per spostarsi lentamente da un luogo all’altro. Il sistema utilizzato dalle stelle marine per muoversi, e comune a tutti gli echinodermi, è un particolare sistema idraulico. Al loro interno le stelle sono attraversate da una rete di canali pieni d’acqua che comunicano verso l’esterno attraverso i pedicelli ambulacrali. Riempiti d’acqua, i pedicelli si allungano e prendono contatto con il substrato attraverso la piccola ventosa posta alla loro estremità. Quindi si contraggono, trascinando la stella nella direzione desiderata. Spesso al mare si vedono persone che, trovando una stella marina, la estraggono dall’acqua per fotografarla e osservarla da vicino. Purtroppo, anche se poi viene rimessa in acqua, la stella può morire a causa anche di una breve emersione. A contatto con l’aria infatti si forma una bolla all’interno dell’animale che compromette il delicato sistema idraulico, condannando a morte la povera malcapitata. Le stelle marine sono in maggior parte voraci predatori, predano molti invertebrati bentonici quali coralli, bivalvi, gasteropodi, cirripedi e altri invertebrati sessili o poco mobili. Una volta trovata la preda, la stella si posiziona sopra di essa e se ne nutre in modo davvero peculiare: estroflette lo stomaco (o parte di esso) dalla bocca e avvolge in un sol boccone la preda. Grazie agli enzimi digestivi prodotti dallo stomaco il cibo viene quindi sciolto e assimilato dall’animale. Terminata la digestione lo stomaco viene nuovamente retratto all’interno dell’organismo. Le stelle marine sono in grado di riprodursi sia per via sessuale che per via asessuale, sebbene la prima modalità sia quella maggiormente diffusa. Solo alcune specie sono in grado di riprodursi per via asessuale: periodicamente il corpo dell’animale si scinde in due pezzi che si accrescono poi a formare due individui completi. Le stelle marine sono in grado anche di riformare parti del corpo perse o danneggiate attraverso il fenomeno della rigenerazione. In alcuni casi riescono addirittura a ricostruire l’intero individuo a partire da un solo braccio. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, affinché la rigenerazione abbia luogo, è necessario che nella stella sia ancora presente almeno un pezzo del disco centrale.[24]

La stella di mare corona di spine (genere Acanthaster) è un vorace predatore di coralli. Sono echinodermi ricoperti da grandi e robuste spine velenose, questo fa sì che abbiano pochissimi predatori naturali. Crescite esponenziali delle popolazioni di queste stelle di mare rappresentano una minaccia per le barriere coralline perché potrebbero comportare una drastica riduzione della copertura corallina e a fenomeni di mortalità di massa dei coralli. In molte barriere coralline indo-pacifiche si sta assistendo a boom demografici di stelle corona di spine e a conseguenti morie massive di coralli. Sebbene ancora non siano molto chiare le cause di questi fenomeni di crescita delle popolazioni di Acanthaster, è molto probabile che le attività umane ne siano responsabili: sembra infatti che la pesca del mollusco gasteropode Charonia tritonis, uno dei pochi predatori naturali delle stelle corona di spine, comporti una crescita delle popolazioni di stelle corona di spine e, di conseguenza, a predazioni di massa da parte di queste stelle sui coralli. Il mollusco viene pescato frequentemente dalle popolazioni umane locali, che usano la sua grande conchiglia per scopi ornamentali o per venderla ai turisti, di conseguenza la crescita delle popolazioni di stella corona di spine non sono regolate dai loro predatori, e queste quindi si riproducono in gran numero e pascolano liberamente nella barriera corallina, divorando moltissimi coralli.

Anche le ofiure o stelle serpentine (ofiuroidei) sono molto diffuse nelle barriere coralline. Si distinguono facilmente dalle stelle marine propriamente dette per la netta distinzione tra disco centrale e braccia; queste ultime sono sottili e flessibili e a sezione circolare. Sono per lo più animali detritivori o filtratori. Nel primo caso catturano le particelle organiche depositatesi sul fondale attraverso i tentacoli; in nutrimento viene così portato alla bocca tramite il movimento di ciglia sulla superficie del corpo. Nel secondo caso catturano le particelle lungo la colonna d’acqua attraverso una rete di muco tenuta dalle braccia. La rete viene poi totalmente digerita con tutto il nutrimento catturato. Come le stelle marine, anche le ofiure hanno la capacità di rigenerare le braccia perse.
I crinoidi o gigli di mare (crinoidei), sono echinodermi bentonici diffusi nelle barriere coralline tropicali; erano molto più abbondanti nei mari preistorici. Vivono per lo più fissi al substrato per mezzo di un lungo peduncolo. Le caratteristiche che distinguono i crinoidi da altri echinodermi sono una teca, o calice, che contiene o sostiene i visceri, formata da piccole piastre ossee fuse insieme a forma di tazza; può essere sostenuta da un peduncolo e possedere vari organi di fissazione al substrato, definitivi o temporanei; cinque braccia flessibili, di solito ramificate e a forma di piuma; bocca e ano situati entrambi sulla superficie orale, che è rivolta verso l'alto. Nella struttura di ogni crinoide si riconoscono tre parti ben distinte: il peduncolo, il calice e le braccia, usualmente in numero di cinque, a simmetria radiata. Il calice e le braccia insieme formano la corona. La maggior parte delle specie, pur vivendo sempre a stretto contatto con il fondale, hanno la facoltà di spostarsi liberamente, nonostante gli spostamenti siano al massimo di pochi metri; alcune specie invece sono strettamente ancorate al fondale. Sono organismi filtratori passivi, che si nutrono di una varietà di plancton sospeso nell'acqua e di detriti organici. Le particelle di nutrienti vengono catturate dalle braccia ramificate, ricoperte di secrezioni mucose, e sospinte verso la bocca.[25]

Le oloturie o cetrioli di mare (oloturoidei) sono echinodermi bentonici diffusi nei fondi molli sabbiosi e fangosi presso le barriere coralline. Presentano un endoscheletro ridotto a spicole calcaree immerse nel derma e di conseguenza il corpo ha consistenza elastica. Riconoscibili dal corpo allungato, si aggirano strisciando sui fondali marini, dove si nutrono delle particelle organiche del fango. La prima curiosità sta proprio nella forma delle oloturie e nella loro evoluzione. Rispetto agli altri echinodermi come stelle e ricci, che manifestano una spiccata simmetria pentaraggiata (esempio le 5 braccia della stella messe a raggera), le oloturie sono a simmetria bilaterale, infatti possiamo riconoscere un fianco dietro e uno sinistro e come se, con un po' di fantasia, prendessimo un riccio, lo allungassimo tra la base e la parte alta e lo sdraiassimo sul fondo. Le oloturie nel loro percorso evolutivo si trovano una bocca in posizione frontale, e una cloaca in fondo al corpo all’altra estremità. Davanti alla bocca possiamo notare dei tentacoli, a volte anche molto grossi, che sono dei pedicelli ambulacrali modificati: pedicelli che nel resto del corpo servono alla locomozione, si sono modificati per convogliare in bocca sabbia ricca di detrito organico, oppure in grado di catturare plancton per le specie che da detritivore sono diventate planctivore. Altra “buffa curiosità” legata al gran potere di rigenerazione dei tessuti tipico degli echinodermi, sta nel fatto che le oloturie minacciate dal predatore, emettano dalla cloaca i tubuli di Cuvier, modificazioni dell’apparato digerente estremamente appiccicose che invischiano totalmente il predatore, lasciando alle oloturie il tempo di potersi allontanare dalla minaccia. Altro fatto curioso ma poco divertente è che in alcuni paesi i cetrioli di mare sono considerati delle prelibatezze, in particolare in Oriente, in Cina. L’eccessivo prelievo di oloturie ne sta mettendo a rischio la sopravvivenza, l’aumento della commercializzazione di oloturie può rappresentare un serio danno per gli ecosistemi marini e un rischio per la sopravvivenza delle popolazioni di cetrioli di mare.[26]
Tunicati


I tunicati o urocordati, nonostante l'aspetto, sono strettamente imparentati con i vertebrati. La parentela con i vertebrati sta nel fatto che le larve dei tunicati presentano una corda dorsale (notocorda), una struttura flessibile a forma di tubo che si riscontra anche negli embrioni dei vertebrati e che nei vertebrati, durante lo sviluppo, diventa la colonna vertebrale.

I tunicati nelle barriere coralline sono rappresentati principalmente dalle ascidie, animali marini bentonici sessili, fissi al substrato, microfagi filtratori, dal corpo a forma di otre. Le ascidie solitarie sono organismi simili alle spugne, dalla tipica forma ‘a sacchetto’, con due cavità, un sifone inalante e uno esalante, in mezzo una grande branchia a cestello che fa da filtro, cattura le particelle alimentari e le convoglia a un canale digerente. Sono organismi filtratori sospensivori, si nutrono filtrando l'acqua attraverso i sifoni. Un'ascidia può filtrare giornalmente centinaia di litri di acqua, prelevando dall’acqua l’alimento rappresentato essenzialmente da minuti organismi del plancton in sospensione. Le ascidie adulte hanno in genere una forma globosa e presentano un sifone inalante all'estremità apicale ed uno esalante laterale. Il corpo è protetto da una tunica coriacea fibrosa la cui costituente principale, la tunicina, è una molecola simile alla cellulosa. Un cestello branchiale occupa la parte centrale della cavità del corpo, rendendo possibile la respirazione e la cattura dell’alimento. L’appartenenza ai cordati e la stretta parentela con i vertebrati è testimoniata dalla presenza nella fase larvale, planctonica, di un abbozzo di corda dorsale, che scompare completamente nell’adulto, bentonico.
Le ascidie adulte possono vivere solitarie (ascidie solitarie) o aggregate (ascidie sociali e composte) su fondali diversi del litorale: colonizzano sia substrati duri sia fondi fangosi, ricchi di detrito organico. Le ascidie sono più abbondanti in acque non limpidissime, ricche di materiale sospeso e plancton che rappresenta il nutrimento. Alcune specie ospitano nel loro corpo microalghe endosimbionti e quindi amano la luce, altre sono sciafile e colonizzano ambienti più riparati, come anfratti, grotte e pareti verticali o a strapiombo.
Pesci

Oltre 4.000 specie di pesci abitano le barriere coralline. Le ragioni di questa diversità rimangono poco chiare. Le ipotesi includono la "lotteria", in cui il primo (fortunato vincitore) recluta in un territorio è tipicamente in grado di difenderlo dai ritardatari, la "competizione", in cui gli adulti competono per il territorio, e le specie meno competitive devono essere in grado di sopravvivere in habitat più povero e "predazione", in cui la dimensione della popolazione è una funzione della mortalità dei piscivori post-insediamento. Le barriere coralline sane possono produrre fino a 35 tonnellate di pesce per chilometro quadrato ogni anno, ma le barriere danneggiate producono molto meno.
Pesci cartilaginei

I pesci cartilaginei o condroitti sono pesci provvisti di scheletro interno cartilagineo, non possiedono quindi ossa, al contrario degli altri pesci. Comprendono gli squali e i batoidei (razze, pastinache, torpedini, aquile di mare, mante).

Gli squali sono i predatori apicali delle barriere coralline. Tra le specie più diffuse nelle barriere coralline vi sono gli squali grigi come lo squalo pinna bianca (Triaenodon obesus), lo squalo pinna nera (Carcharhinus melanopterus) e lo squalo grigio del reef (Carcharhinus amblyrhynchos), lo squalo limone (Negaprion brevirostris) alcuni squali di abitudini bentoniche come gli squali nutrice, gli squali bambù, gli squali tappeto e lo squalo zebra. Questi squali non sono predatori pelagici di pesci di acque aperte, ma si nutrono essenzialmente di pesci più piccoli e di altri animali dei reef corallini. Di conseguenza, questi predatori rivestono un ruolo ecologico molto importante per il funzionamento delle barriere coralline, poiché tengono sotto controllo le popolazioni dei consumatori primari e secondari.
Specie imparentate agli squali sono i batoidei (razze, pastinache, torpedini, aquile di mare, mante), pesci cartilaginei dal corpo appiattito che si distinguono dagli squali per la presenza di fessure branchiali poste ventralmente.

Le pastinache o trigoni sono i batoidei più comuni nelle barriere coralline. Sono pesci bentonici predatori caratterizzati da un corpo piatto romboidale, con margine laterale del capo che si continua con il margine anteriore delle grandi pinne pettorali a forma di ali, e dalla presenza di un aculeo velenoso nella coda, utilizzato per difendersi dai predatori. Gli occhi sono posti sul dorso, la bocca è ventrale. Alla radice dell'aculeo si trovano due ghiandole velenifere che secernono una sostanza velenosa che provoca contrazioni muscolari e che è molto pericolosa anche per l'uomo, soprattutto se la parte colpita è un organo vitale. Si nutrono soprattutto di piccoli pesci e invertebrati, come gamberi, granchi e molluschi, che catturano setacciando il fondale. Hanno l'abitudine di celarsi a prede e predatori insabbiandosi, ricoprendosi di sabbia ma lasciando solo gli occhi sporgere dalla sabbia. La specie più comune è la pastinaca a macchie blu (Taeniura lymma), specie simile è la pastinaca mascherata (Neotrygon kuhlii).

Le torpedini sono pesci cartilaginei bentonici caratterizzati dalla presenza, ai lati del corpo, di un particolare organo definito organo elettrogeno in grado di produrre un campo elettrico la cui scarica può variare da 50 a 220 volt a seconda della specie. passano gran parte del loro tempo adagiate sui fondali sabbiosi e melmosi, dove la loro forma appiattita e la loro colorazione smorta consentono loro di mimetizzarsi alla perfezione e risultare perciò invisibili alle loro prede. Sono animali cacciatori, e la maggior parte delle specie utilizza la propria scarica elettrica per stordire o uccidere le prede.

Le aquile di mare sono prive di aculei velenosi e organi elettrogeni e tendono a non stazionare sul fondo ma a nuotare attivamente nella colonna d'acqua; alcune specie sono in grado di compiere incredibili migrazioni. Una specie diffusa nelle barriere coralline è l'aquila di mare maculata (Aetobatus narinari).
Presenze occasionali nelle barriere coralline sono grandi pesci cartilaginei filtratori come lo squalo balena (Rhincodon typus) e le mante (Manta birostris e Manta alfredi), o grandi squali predatori come lo squalo tigre (Galeocerdo cuvier) e gli squali martello, che si avvicinano alle barriere coralline per sfruttare l'abbondanza di risorse e i servizi di pulizia offerti dai pesci pulitori.
Rettili marini

I rettili marini più comuni e delle barriere coralline sono sicuramente le tartarughe marine. Sono rettili perfettamente adattati alla vita marina, grazie alla forma allungata del corpo, ricoperto da un robusto guscio o carapace, ed alla presenza di arti trasformati in pinne, che favoriscono il nuoto. In generale, le tartarughe marine hanno un piano corporeo più fusiforme rispetto alle loro controparti terrestri o d'acqua dolce. Questa assottigliamento a entrambe le estremità riduce il volume e significa che le tartarughe marine non possono ritrarre la testa e gli arti nei loro gusci per protezione, a differenza di molte altre tartarughe.[27] Tuttavia, il piano corporeo aerodinamico riduce l'attrito e la resistenza nell'acqua e consente alle tartarughe marine di nuotare più facilmente e rapidamente. Un altro adattamento all'ambiente marino è la presenza di una ghiandola del sale che espelle il sale in eccesso. La tartaruga verde (Chelonia mydas) è per lo più erbivora e mangia soprattutto alghe, mentre la tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata) si nutre di invertebrati bentonici sessili, in particolare coralli e spugne. Studi sulla dieta di una popolazione caraibica di tartaruga marina embricata (Eretmochelys imbricata) hanno dimostrato che essa è costituita per il 70-95% da spugne.[28] Le tartarughe marine si nutrono anche di meduse, essendo immuni alla loro puntura, grazie alla robusta pelle di cui sono dotate.[29]
Alcuni rettili terrestri si associano in modo intermittente alle barriere coralline, come i varani, il coccodrillo marino e i serpenti di mare.

I serpenti di mare si nutrono esclusivamente di pesci e delle loro uova. Sono diffusi principalmente nelle zone tropicali dell'Oceano Pacifico e dell'Oceano Indiano. Frequentano le barriere coralline perché sono ambienti molto ricchi delle loro prede, i pesci. Al contrario dei pesci, i serpenti marini non hanno le branchie, ma i polmoni, per cui devono risalire periodicamente in superficie per respirare. Il loro corpo dimostra l'adattamento all'ambiente acquatico: le narici si possono chiudere ermeticamente, la testa è allungata e larga come il collo per fendere l'acqua, la coda è alta e stretta come una pinna, è compressa e conformata come una paletta che favorisce il nuoto. A causa delle loro caratteristiche fisiche, non possono muoversi agilmente sulla terraferma, ma sono ottimi nuotatori. La maggior parte delle specie partorisce piccoli vivi, vicino alla costa; i piccoli sono attivi subito dopo la nascita. Hanno un veleno estremamente potente, a cui i pesci sono particolarmente sensibili; il veleno è estremamente potente e pericoloso anche per l'uomo, un morso di un serpente di mare può uccidere un uomo adulto, ma è da segnalare che raramente i serpenti di mare si dimostrano aggressivi nei confronti dell'uomo, e i casi di morsi sono rarissimi; per evitare morsi è sufficiente non infastidire l'animale ma limitarsi ad osservarlo nel proprio ambiente. Il serpente di mare più diffuso nelle barriere coralline tropicali è Laticauda colubrina, caratterizzato da strisce grigie e nere di pari larghezza che si alternano tra loro; si tratta di una colorazione aposematica di avvertimento.
Uccelli marini
Le barriere coralline sono un'importantissima fonte di habitat e cibo per moltissime specie di uccelli marini costieri delle coste delle regioni tropicali; come aironi, sule e pellicani, che si nutrono di pesci e invertebrati bentonici presenti nelle barriere coralline.
L'atollo di Midway alle Hawaii ospita quasi tre milioni di uccelli marini, inclusi due terzi (1,5 milioni) della popolazione mondiale di albatro di Laysan (Phoebastria immutabilis) e un terzo della popolazione mondiale di albatro dai piedi neri (Phoebastria nigripes). Ogni specie di uccelli marini ha siti specifici sull'atollo in cui nidificano. In totale, a Midway vivono 17 specie di uccelli marini. L'albatro dalla coda corta (Phoebastria albatrus) è il più raro, con meno di 2.200 sopravvissuti dopo un'eccessiva caccia alle piume alla fine del XIX secolo.
Mammiferi marini

I mammiferi marini non sono comuni nelle barriere coralline, ma le specie di delfini che nuotano in acque costiere tropicali possono occasionalmente frequentarle, per sfruttare la ricchezza di pesci (loro prede) che questi ambienti ospitano.
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Ecologia dell'ecosistema della barriera corallina
Riepilogo
Prospettiva
A causa della straordinaria ricchezza di biodiversità e delle numerose interazioni biologiche che si instaurano, le barriere coralline sono ecosistemi molto complessi, e il funzionamento dell'ecologia degli ecosistemi delle barriere coralline è oggetto di studio di molti biologi marini.
Rete trofica delle barriere coralline
Come in tutti gli ecosistemi marini e terrestri, nelle barriere coralline è possibile esemplificare la intricata rete trofica di interazioni fra le varie componenti che popolano tali ecosistemi riassumendola in tre distinte categorie:
- i produttori, ossia gli organismi autotrofi che effettuano fotosintesi (alghe e piante);
- i consumatori, che si distinguono in consumatori primari (erbivori), consumatori secondari (predatori) e consumatori terziari (superpredatori o predatori apicali).
- i detritivori e decompositori.
Erbivori

Gli erbivori hanno un ruolo centrale nella strutturazione e nel mantenimento delle comunità delle barriere coralline. Alghe e piante crescono in quantità più che sufficienti per soddisfare le esigenze alimentari delle limitate popolazioni di erbivori che vivono nelle barriere coralline. Le macroalghe non sono abbondanti in una barriera corallina, ma si accrescono molto velocemente, vengono rapidamente consumate dagli erbivori come rapidamente si rinnovano e tornano sempre a disposizione di chi le consuma. Per questo nel reef il ruolo degli erbivori è fondamentale: mantenendo la comunità macroalglale costantemente in questo stadio iniziale impediscono che le alghe prendano il sopravvento rispetto ai coralli costruttori e occupino spazio, sottraendolo ai coralli stessi. Il prelievo (attraverso la pesca) di erbivori è sempre un fatto negativo, che si riflette con il tempo in più alghe e meno coralli. Venendo a mancare molti coralli, viene a mancare l'equilibrio dell’intero ecosistema.[6]

L’habitat degli erbivori corrisponde alle zone poco profonde e ben illuminate, perché è là che i vegetali, dipendenti dall'irraggiamento solare per provvedere alla fotosintesi, crescono meglio. Il principale vantaggio rappresentato dall’erbivoria è legato soprattutto alla grande facilità di reperimento del cibo: il rifornimento di cibo vegetale non richiede un particolare dispendio energetico, non essendo necessario inseguire prede o perdere tempo ed energie alla ricerca del cibo. Lo svantaggio di una dieta a base di vegetali è che il contenuto energetico è ridotto e il processo di digestione del cibo richiede più energia ed è notevolmente rallentato. Quindi per soddisfare le loro esigenze nutrizionali gli erbivori del reef sono costretti ad alimentarsi in continuazione brucando durante tutte le ore del giorno e questo ovviamente li espone ad un rischio considerevolmente maggiore di esposizione ad eventuali predatori.[5]

Erbivori comuni ed importanti delle barriere coralline includono diversi invertebrati bentonici come i ricci di mare, i poliplacofori (chitoni), alcuni gasteropodi, alcuni anellidi ed alcuni vertebrati, soprattutto pesci. Le dimensioni degli erbivori variano da organismi piccolissimi, come ad esempio la componente erbivora dello zooplancton, fino a grandi vertebrati come la tartaruga verde (Chelonia mydas) e il dugongo (Dugong dugon). Tra i pesci, i più importanti pesci erbivori pascolatori sono i pesci pappagallo, (Scaridae), i pesci chirurgo (Acanthuridae), i pesci coniglio (Siganidae), i pesci pipistrello (Ephippidae), le damigelle (Pomacentridae), le bavose (Blenniidae).[5]

Gli erbivori della barriera corallina limitano l’insediamento e la crescita di comunità macroalgali bentoniche che altrimenti impedirebbero l’espansione dei coralli e la loro colonizzazione del substrato. In assenza di erbivori in una barriera corallina le popolazioni di macroalghe si espanderebbero e si instaurerebbe una competizione per lo spazio tra i coralli e le macroalghe stesse. Questa competizione sarebbe vinta facilmente e rapidamente dalle alghe, a crescita molto più rapida; in tal modo le alghe supererebbero i coralli nella conquista del territorio, privandoli di spazio e luce solare e causando quindi il loro declino.[6]
Uno studio sulla rivista Nature (Mumby, 2007) ha mostrato che la rimozione di alcuni erbivori dalle barriere coralline, in particolare ricci di mare come i ricci diadema, porta ad un’intensa proliferazione macroalgale.[20] I bloom macroalgali inibiscono molto rapidamente la crescita delle popolazioni coralline soffocando i coralli ed impedendone la colonizzazione del substrato. Nel caso di barriere coralline degradate, le alghe possono incidere considerevolmente anche sulle possibilità di un loro eventuale recupero.[5][21]
Nel 1983, in una vasta area caraibica, un evento di pesca massiva ha interessato i ricci diadema dei Caraibi (Diadema antillarum), voraci pascolatori di macroalghe. Da allora diverse barriere coralline della zona caraibica hanno dovuto subire la conseguenza di un eccessivo sviluppo di macroalghe che ha causato la morte di numerosi coralli e l’insorgenza di malattie diffuse (Lessios, 1984). Il riccio di mare Diadema setosum sembra avere effetti analoghi sulle barriere coralline dell’Indo-Pacifico, sebbene in quest’area anche i pesci erbivori, molto più numerosi che nell’area caraibica, svolgono un’attività di pascolo importante al pari dei ricci.[5][6][21]

I pesci pappagallo (Scaridae) sono erbivori, ma per scrostare le macroalghe dai coralli e dai substrati rocciosi usano i denti fusi in quattro potenti piastre, simili al becco di un pappagallo, e con la loro azione di pascolo di fatto ingeriscono anche i coralli. A differenza di pesci corallivori specializzati come i pesci farfalla, i pesci pappagallo non prelevano in maniera mirata e selettiva i singoli polipi ma aggrediscono l’intera colonia, provocando con i loro morsi una consistente rimozione del materiale calcareo. Il materiale calcareo ingerito dal pesce pappagallo viene restituito all’ambiente attraverso l’escrezione di sabbia finissima. Analisi del contenuto intestinale di alcuni pesci pappagallo hanno riscontrato un’abbondante presenza di un macinato fine di sabbia, detriti e roccia calcarea. È stato calcolato (Bellwood, 1995) che un singolo pesce pappagallo può rilasciare una tonnellata di sabbia all’anno. Gran parte della sabbia corallina presente nella zona lagunare del reef viene prodotta in questo modo. È comune in tutti i reef osservare nelle ore diurne i pesci pappagallo in movimento nell’atto di addentare il substrato corallino o nella emissione di sabbia sotto forma di piccole nuvole di fumo. Di notte invece i pesci pappagallo dormono in anfratti avvolti da un muco protettivo che funge da deterrente contro i predatori.[5]
Predatori
Le barriere coralline sono ricche di predatori, e i fenomeni di predazione sono estremamente frequenti, a tal punto che tra le specie della barriera corallina si osservano incredibili adattamenti predatori e anti-predatori, frutto di intensi processi di coevoluzione preda-predatore.[5]
I predatori in una rete trofica sono distinti in consumatori secondari (mesopredatori) e consumatori terziari (superpredatori o predatori apicali).

Molti animali della barriera corallina sono bentivori, si sono cioè specializzati come mangiatori di invertebrati bentonici, come coralli, ascidie, spugne, scegliendo una risorsa alimentare dallo scarso valore nutritizio e spesso ricca di sostanze tossiche o comunque deterrenti. Per questi animali è stato quindi necessario evolvere adattamenti che consentano questo tipo di alimentazione.[5]
I nudibranchi sono voraci consumatori di spugne.
Tra i pesci, i pesci angelo (Pomacanthidae) sono pesci specializzati nel mangiare prevalentemente spugne e ascidie, come fa spesso anche l’idolo moresco (Zanclus cornutus).

Tra i bentivori, i corallivori sono specializzati nel nutrirsi dei coralli vivi. Sebbene i loro effetti non siano stati ancora studiati come quelli delle popolazioni di erbivori sulle alghe, si ritiene che essi esercitino comunque sulle barriere corallini un ruolo ecologicamente importante. La presenza di organismi corallivori infatti effettua una forte pressione predatoria sui coralli costruttori e permette la crescita e il rinnovo di nuove colonie, garantendo così una maggiore diversità, sia morfologica che tassonomica, delle specie costruttrici all’interno del reef.
Una grande varietà di animali della barriera si nutre di coralli. Alcuni sono corallivori obbligati, cioè costretti a nutrirsi esclusivamente di coralli ed altri antozoi, altri invece alternano ai coralli prede di vario tipo, in genere sempre bentoniche.

Tra gli invertebrati, voraci predatori bentivori sono le stelle marine, come le stelle corona di spine (Acanthaster), e alcuni molluschi gasteropodi muricidi (Drupella e Coralliophila).[5]
Tra i pesci corallivori, i più comuni sono i pesci farfalla (Chaetodontidae). La bocca piccola e prominente, a pinzetta, con denti conformati “a spazzolino”, è utile per penetrare negli spazi tra le ramificazioni dei coralli e staccare pezzi dei viscidi tentacoli, dei tessuti gelatinosi, a volte solo del muco superficiale. L’impatto dei piccoli morsi, ben distribuiti su territori ampi, è ridotto e subito riparato dal grande potere di rigenerazione della preda. La vorace azione di predazione di coralli da parte dei pesci farfalla è molto importante per le barriere coralline, poiché controlla che le popolazioni dei coralli a crescita più rapida, prede più facilmente reperibili, non si espandano troppo a discapito dei coralli a crescita meno rapida.[6]

Va sottolineato però come sia importante che nelle barriere coralline non debbano verificarsi proliferazioni demografiche eccessive dei corallivori: trattandosi di attivi consumatori degli organismi costruttori della barriera corallina, se le popolazioni dei corallivori dovessero crescere in modo eccessivo la perdita di madrepore costruttrici sarebbe tale che l’intero ecosistema potrebbe venire irrimediabilmente danneggiato. Inoltre, la pressione continua esercitata dai corallivori sui tessuti vivi del corallo può aumentare il consumo energetico di questi ultimi e, qualora si sommasse ad altri tipi di stress sui coralli, come ad esempio sbiancamento, inquinamento o altri impatti, potrebbero manifestarsi effetti sinergici negativi sulla popolazione corallina rallentando un suo eventuale recupero.
Le stelle marine corona di spine (Acanthaster), grosse stelle marine diffusi in tutte le barriere coralline dell’Indo-Pacifico, vomitando il proprio stomaco sui coralli possono digerire completamente le parti carnose dei polipi delle madrepore lasciandosi dietro solo scheletri calcarei sbiancati, completamente ripuliti, privi di vita. Esplosioni demografiche incontrollate di questi echinodermi hanno avuto effetti rovinosi su molte barriere coralline dell’Indo-Pacifico.[2]

I molluschi gasteropodi muricidi Drupella e Coralliophila aggrediscono i polipi di coralli di varie specie (in genere Acropora, Montipora, Pocillopora e Porites). Questi molluschi spesso si presentano in gruppi numerosi che in poche settimane possono divorare una colonia intera. In una barriera corallina danneggiata una massiccia presenza di questi molluschi può avere effetti importanti sulla sopravvivenza dei coralli e dell’intero ecosistema. Tra gli anni ‘80 e ‘90 del Novecento la Grande Barriera Corallina australiana ha riportato danni significativi per lunghezze di centinaia di chilometri in seguito ad un’inconsueta proliferazione di Drupella.[5][6]

I consumatori terziari si cibano predando i consumatori primari e secondari. Gli squali sono i predatori apicali per antonomasia nelle barriere coralline. Altri importanti consumatori terziari nelle barriere coralline sono le pastinache, le torpedini e anche alcuni grossi pesci ossei di fondo come le murene, i barracuda, le cernie e gli scorpeniformi (scorfani, pesci pietra, pesci leone e pesci coccodrillo), che aspettano le loro prede piuttosto che inseguirle, catturandole attraverso la bocca e triturandole per mezzo di denti nella faringe.[5][6]
Detritivori e decompositori

L’ultima componente è quella dei decompositori e detritivori che hanno la funzione fondamentale di decomporre la sostanza organica morta e i prodotti di rifiuto convertendoli in energia utile, riciclando in tal modo nell’ambiente elementi fondamentali che andrebbero altrimenti persi. I principali decompositori delle barriere coralline sono i batteri; essi hanno un ruolo principalmente nel riciclo dei composti dell’azoto, mantenendo basso il livello dei rifiuti tossici e convertendo questi in sostanze immediatamente utilizzabili dai produttori primari. Tra i decompositori delle barriere coralline possiamo elencare anche i detritivori o spazzini (oloturie, alcune specie di molluschi e crostacei, policheti ed altri ancora) che hanno un ruolo similare, riciclando sostanza morta o materiali di rifiuto. I detritivori consumano materiale in decomposizione, costituito per la maggioranza da resti vegetali ma non solo: del detrito fanno parte anche feci di altri animali, resti di animali morti, batteri, funghi e altri piccoli organismi decompositori.[5]
Interazioni tra specie

In ambienti estremamente ricchi di biodiversità come le barriere coralline, le interazioni biologiche sono frequentissime.

Le barriere coralline ospitano una ricca biodiversità, ma le risorse (spazio e nutrienti) sono molto limitate. Ne consegue che i fenomeni di competizione interspecifica sono intensissimi.
La maggior parte degli organismi che vi abitano sono fortemente territoriali.
La quasi totalità dei pesci che vivono nelle barriere coralline assume un'indole fortemente territoriale.
Alcuni pesci svolgono l'intero ciclo vitale in uno spazio fisico ristrettissimo, anche di pochi metri quadri, e lo proteggono attivamente dalle altre specie che si avvicinano.
Alcuni pesci risultano estremamente aggressivi contro qualsiasi organismo che si avvicina al loro territorio, anche organismi molto più grandi di loro: è il caso dell'aggressivo pesce balestra titano (Balistoides viridescens), dei pesci pagliaccio che proteggono gli anemoni di mare che li ospitano o dei piccoli pomacentridi erbivori 'coltivatori', che coltivano una piccola zona di sabbia dove crescono alghe di cui si nutrono.

In ambienti in cui la disponibilità di spazio è molto scarsa come le barriere coralline, la competizione per lo spazio è intensa. I coralli competono con altri coralli o con altri organismi sessili (alghe, spugne, gorgonie, coralli molli, anemoni di mare, briozoi, bivalvi, ascidie ecc.) per la conquista del substrato, e in questo senso la diversità di forme che si riscontra nei coralli è fondamentale per occupare più spazio possibile.
È interessante notare come, nell’universo altamente competitivo e trafficato delle barriere coralline, molte tra le numerose specie che vi abitano abbiano sviluppato relazioni di simbiosi molto strette con altri organismi per risolvere i loro problemi relativi all’approvvigionamento di cibo e/o alla ricerca di un ambiente dove vivere. In ambienti ad alta biodiversità come le barriere coralline, capita spesso che due organismi diversi si associano in simbiosi, talvolta anche nel reciproco interesse (mutualismo).
Tra l’enorme numero di specie che vivono sulle barriere coralline, molte infatti hanno sviluppato particolari relazioni simbiotiche. Probabilmente, le barriere coralline hanno un numero e una varietà di esempi di simbiosi maggiore rispetto a qualsiasi altro ecosistema. Basti pensare che l’intera costruzione della barriera corallina è basata su una simbiosi, quella tra coralli e zooxantelle.

Uno degli esempi più caratteristici e più studiati di simbiosi nelle barriere coralline è quello che riguarda i pesci pagliaccio e le attinie o anemoni di mare. Alcuni pesci pagliaccio sono molto selettivi e si associano sempre e solo ad un'unica specie di anemone, altri sono invece più generalisti ed instaurano una simbiosi con più specie di anemoni.

Per i pesci pagliaccio il principale vantaggio tratto dall’associazione con l’anemone è ovvio: protezione da eventuali predatori grazie alle nematocisti, gli organuli velenosi presenti nelle cellule (cnidociti) che ricoprono i tentacoli dell’anemone. Gli cnidociti scaricano la loro velenosa puntura in modo meccanico contro qualsiasi aggressore, per cui pochi predatori oserebbero inseguire il pesce pagliaccio nell’abbraccio dei tentacoli velenosi. Le nematocisti si azionano aggredendo qualsiasi cosa entri in contatto con il tentacolo, ad eccezione degli altri tentacoli dello stesso anemone: il muco che ricopre i tentacoli contiene infatti delle sostanze chimiche che permettono all’anemone di riconoscersi e di non attaccare sé stesso. Il pesce pagliaccio non viene attaccato dalle nematocisti perché è rivestito da uno strato di muco simile a quello che ricopre i tentacoli dell’anemone. Nel muco denso e compatto che riveste la pelle del pesce pagliaccio infatti sono presenti sostanze chimiche che imitano i recettori chimici dell’anemone: il pesce si traveste chimicamente e viene percepito dall’anemone come una parte di sé. Strusciandosi attivamente tra i tentacoli, il pesce pagliaccio cattura recettori chimici sempre più specifici, fino ad acquisire un’immunità completa nei confronti del suo anemone. I pesci pagliaccio sono ospiti obbligati: goffi e lenti nel nuoto e caratterizzati da colori non criptici, privi del loro anemone non sarebbero in grado di sopravvivere in un ambiente pieno di pericoli come la barriera corallina.

L’associazione tra pesci pagliaccio ed anemoni in passato veniva considerata una forma di commensalismo perché si pensava che solo il pesce ricavasse un vantaggio. Oggi si parla invece di mutualismo perché è stato dimostrato che anche l’anemone ha dei vantaggi su questa associazione. Ma se per il pesce pagliaccio il vantaggio che deriva da questa associazione simbiotica è facilmente intuibile, è meno ovvio il vantaggio che trae l’anemone.
Aggressivo e bellicoso, soprattutto la femmina, anche il pesce pagliaccio difende l’anemone dai suoi predatori. I pesci farfalla ad esempio sono in grado di mangiare un anemone intero in poche ore, ma quando l’anemone ospita un pesce pagliaccio, questo scoraggia il pesce farfalla mettendolo in fuga con atteggiamenti minacciosi ed intimidatori. Inoltre, è stato osservato che l’anemone si nutre degli scarti alimentari del pesce pagliaccio. I pesci pagliaccio sono teleostei principalmente planctivori, acchiappano minuscoli organismi in sospensione che trangugiano interi; sembra che alcuni pesci pagliaccio abbiano preso l’abitudine di nascondere tra i tentacoli dell’anemone i pezzi di cibo troppo grossi per ingoiarli, e così facendo l’anemone ottiene cibo “senza sforzo”.

Un altro tipo di associazione mutualistica molto caratteristico nelle barriere coralline tropicali è quello tra animali cosiddetti pulitori, rappresentati da poche specie di pesci e gamberetti, e pesci più grandi. Si parla in questo di simbiosi di pulizia.

Nella simbiosi di pulizia gli animali pulitori, come il pesce Labroides dimidiatus o il gamberetto Lysmata amboinensis, caratterizzati da colorazioni vivaci e da movimenti pimpanti che fungono da avvertimento per i pesci della barriera, si situano spesso in precisi siti della barriera, detti stazioni di pulizia (cleaning stations). I pesci sono attratti in queste stazioni proprio dalle colorazioni e dai movimenti vivaci dei pulitori.
I pulitori tolgono dalla superficie del corpo e anche dall’interno della bocca e delle cavità branchiali dei pesci ospiti gli ectoparassiti, di cui si nutrono. Spesso la bocca e le branchie sono i primi organi che i pesci mostrano al pulitore, in quanto sono i primi organi a venire a contatto con l’ambiente esterno e quindi quelli più a rischio di venire parassitati.
Relazioni tra barriere coralline ed ecosistemi adiacenti

Le barriere coralline appena sotto il livello della bassa marea hanno una relazione reciprocamente vantaggiosa con le foreste di mangrovie ad alta marea e le praterie di fanerogame in mezzo: le scogliere proteggono le mangrovie e le alghe da forti correnti e onde che le danneggerebbero o eroderebbero i sedimenti in cui si trovano radicate, mentre le mangrovie e le fanerogame proteggono il corallo dai grandi afflussi di limo, acqua dolce e inquinanti. Questo livello di varietà nell'ambiente avvantaggia molti animali della barriera corallina, che, ad esempio, possono nutrirsi dell'erba marina e utilizzare le barriere coralline per la protezione o la riproduzione.
Il paradosso di Darwin
In The Structure and Distribution of Coral Reefs, pubblicato nel 1842, Charles Darwin descrisse come le barriere coralline furono trovate in alcune aree tropicali ma non in altre, senza una causa evidente. I coralli più grandi e più forti sono cresciuti nelle parti della barriera corallina esposte alle onde più violente e i coralli erano indeboliti o assenti dove si sono accumulati sedimenti sciolti.
Le acque tropicali contengono poche sostanze nutritive, ma una barriera corallina può prosperare come un'"oasi nel deserto". Ciò ha dato origine all'enigma dell'ecosistema, a volte chiamato "paradosso di Darwin": "Come può prosperare una produzione così elevata in condizioni così povere di nutrienti?"
Le barriere coralline supportano oltre un quarto di tutte le specie marine. Questa diversità si traduce in reti trofiche complesse, con grandi pesci predatori che mangiano pesci da foraggio più piccoli che mangiano zooplancton ancora più piccolo e così via. Tuttavia, tutte le reti alimentari alla fine dipendono dalle piante, che sono i produttori primari. Le barriere coralline producono tipicamente 5-10 grammi di carbonio per metro quadrato al giorno (gC·m-2·day-1) biomassa.
Una delle ragioni dell'insolita limpidezza delle acque tropicali è la loro carenza di nutrienti e il plancton alla deriva. Inoltre, il sole splende tutto l'anno ai tropici, riscaldando lo strato superficiale, rendendolo meno denso degli strati sotto la superficie. L'acqua più calda è separata dall'acqua più profonda e più fredda da un termoclino stabile, dove la temperatura cambia rapidamente. Ciò mantiene le acque superficiali calde che galleggiano sopra le acque più profonde e più fredde. Nella maggior parte dell'oceano, c'è poco scambio tra questi strati. Gli organismi che muoiono negli ambienti acquatici generalmente affondano sul fondo, dove si decompongono, che rilascia sostanze nutritive sotto forma di azoto (N), fosforo (P) e potassio (K). Questi nutrienti sono necessari per la crescita delle piante, ma ai tropici non tornano direttamente in superficie.
Le piante costituiscono la base della catena alimentare e hanno bisogno di luce solare e sostanze nutritive per crescere. Nell'oceano, queste piante sono principalmente fitoplancton microscopici che si spostano nella colonna d'acqua. Hanno bisogno della luce solare per la fotosintesi, che alimenta la fissazione del carbonio, quindi si trovano solo relativamente vicino alla superficie, ma hanno anche bisogno di sostanze nutritive. Il fitoplancton utilizza rapidamente i nutrienti nelle acque superficiali e, ai tropici, questi nutrienti di solito non vengono sostituiti a causa del termoclino.
Intorno alle barriere coralline, le lagune si riempiono di materiale eroso dalla barriera corallina e dall'isola. Diventano paradisi per la vita marina, fornendo protezione da onde e tempeste.
Ancora più importante, le barriere coralline riciclano i nutrienti, cosa che accade molto meno in mare aperto. Nelle barriere coralline e nelle lagune, i produttori includono fitoplancton, così come alghe e alghe coralline, in particolare piccoli tipi chiamati alghe di tappeto erboso, che trasmettono sostanze nutritive ai coralli. Il fitoplancton costituisce la base della catena alimentare e viene mangiato da pesci e crostacei. Il riciclaggio riduce gli apporti di nutrienti necessari in generale per supportare la comunità.
Il colore dei coralli dipende dalla combinazione delle sfumature marroni fornite dalle loro zooxantelle e dalle proteine pigmentate (rossi, blu, verdi, ecc.) Prodotte dai coralli stessi.
I coralli assorbono anche i nutrienti, inclusi azoto inorganico e fosforo, direttamente dall'acqua. Molti coralli estendono i loro tentacoli di notte per catturare lo zooplancton che passa vicino. Lo zooplancton fornisce al polipo azoto e il polipo condivide parte dell'azoto con le zooxantelle, che richiedono anche questo elemento.
Le spugne vivono nelle fessure delle barriere coralline. Sono efficienti filtratori e nel Mar Rosso consumano circa il 60% del fitoplancton che scorre. Le spugne alla fine espellono i nutrienti in una forma che i coralli possono usare.
La maggior parte dei polipi di corallo sono alimentatori notturni. Qui, al buio, i polipi hanno esteso i loro tentacoli per nutrirsi di zooplancton.
La rugosità delle superfici dei coralli è la chiave per la sopravvivenza dei coralli in acque agitate. Normalmente, uno strato limite di acqua ferma circonda un oggetto sommerso, che funge da barriera. Le onde che si infrangono sui bordi estremamente ruvidi dei coralli interrompono lo strato limite, consentendo ai coralli l'accesso ai nutrienti di passaggio. L'acqua turbolenta favorisce quindi la crescita della barriera corallina. Senza l'accesso alle sostanze nutritive apportate dalle superfici ruvide dei coralli, anche il riciclaggio più efficace non sarebbe sufficiente.
L'acqua profonda ricca di sostanze nutritive che entra nelle barriere coralline attraverso eventi isolati può avere effetti significativi sulla temperatura e sui sistemi di nutrienti. Questo movimento dell'acqua interrompe il termoclino relativamente stabile che di solito esiste tra l'acqua calda poco profonda e l'acqua più fredda più profonda. I regimi di temperatura sulle barriere coralline delle Bahamas e della Florida sono molto variabili con scale temporali da minuti a stagioni e scale spaziali attraverso le profondità.
L'acqua può passare attraverso le barriere coralline in vari modi, inclusi anelli di corrente, onde di superficie, onde interne e cambiamenti di marea. Il movimento è generalmente creato dalle maree e dal vento. Poiché le maree interagiscono con la batimetria variabile e il vento si mescola con l'acqua superficiale, si creano onde interne. Un'onda interna è un'onda di gravità che si muove lungo la stratificazione di densità all'interno dell'oceano. Quando una particella d'acqua incontra una densità diversa, oscilla e crea onde interne. Sebbene le onde interne abbiano generalmente una frequenza inferiore rispetto alle onde di superficie, spesso si formano come un'unica onda che si rompe in più onde quando colpisce una pendenza e si sposta verso l'alto. Questa rottura verticale delle onde interne causa un significativo rimescolamento diapicale e turbolenza. Le onde interne possono agire come pompe di nutrienti, portando in superficie plancton e acqua fresca ricca di sostanze nutritive.
La struttura irregolare caratteristica della batimetria della barriera corallina può migliorare la miscelazione e produrre sacche di acqua più fresca e contenuto variabile di nutrienti. L'arrivo di acqua fresca e ricca di sostanze nutritive dalle profondità a causa delle onde interne e dei fori di marea è stato collegato ai tassi di crescita di alimentatori in sospensione e alghe bentoniche, nonché di plancton e organismi larvali. L'alga Codium isthmocladum reagisce alle fonti di nutrienti delle acque profonde perché i loro tessuti hanno diverse concentrazioni di nutrienti a seconda della profondità. Le aggregazioni di uova, organismi larvali e plancton sulle barriere coralline rispondono alle intrusioni di acque profonde. Allo stesso modo, quando le onde interne e i fori si muovono verticalmente, gli organismi larvali che vivono in superficie vengono trasportati verso la riva. Ciò ha un'importanza biologica significativa per gli effetti a cascata delle catene alimentari negli ecosistemi delle barriere coralline e potrebbe fornire un'altra chiave per sbloccare il paradosso.
I cianobatteri forniscono nitrati solubili tramite la fissazione dell'azoto.
Le barriere coralline spesso dipendono dagli habitat circostanti, come prati di alghe e foreste di mangrovie, per i nutrienti. Le alghe e le mangrovie forniscono piante morte e animali ricchi di azoto e servono a nutrire pesci e animali della barriera corallina fornendo legno e vegetazione. Le barriere coralline, a loro volta, proteggono le mangrovie e le fanerogame dalle onde e producono sedimenti in cui le mangrovie e le fanerogame marine possono radicarsi.
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Servizi ecosistemici delle barriere coralline
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Le barriere coralline forniscono servizi ecosistemici al turismo, alla pesca e alla protezione delle coste. Il valore economico globale delle barriere coralline è stato stimato tra i 29,8 miliardi di dollari e i 375 miliardi di dollari all'anno. Circa 500 milioni di persone beneficiano dei servizi ecosistemici forniti dalle barriere coralline.
Il costo economico della distruzione di un chilometro di barriera corallina in un periodo di 25 anni è stato stimato tra i 137.000 e i 1.200.000 dollari.
Secondo Sarkis et al (2010), le barriere coralline delle Bermuda forniscono vantaggi economici all'isola per un valore medio di $ 722 milioni all'anno, sulla base di sei servizi ecosistemici chiave.
Le barriere coralline proteggono le coste assorbendo l'energia delle onde e molte piccole isole non esisterebbero senza le barriere coralline. Le barriere coralline possono ridurre l'energia delle onde del 97%, contribuendo a prevenire la perdita di vite umane e danni alle proprietà. Le coste protette dalle barriere coralline sono anche più stabili in termini di erosione rispetto a quelle che ne sono prive. I reef possono attenuare le onde così come o meglio delle strutture artificiali progettate per la difesa costiera come i frangiflutti. Si stima che 197 milioni di persone che vivono sia a un'altitudine inferiore a 10 m che entro 50 km da una barriera corallina potrebbero ricevere benefici di riduzione del rischio dalle barriere. Il ripristino delle barriere coralline è significativamente più economico rispetto alla costruzione di frangiflutti artificiali in ambienti tropicali. I danni attesi dalle inondazioni raddoppierebbero e i costi derivanti da frequenti tempeste triplicherebbero senza il metro più alto di scogliere. Per eventi di tempesta di 100 anni, i danni delle inondazioni aumenterebbero del 91% a 272 miliardi di dollari senza il misuratore più alto.
Circa sei milioni di tonnellate di pesce vengono prelevate ogni anno dalle barriere coralline. Le barriere coralline ben gestite hanno una resa media annua di 15 tonnellate di frutti di mare per chilometro quadrato. La sola pesca della barriera corallina del sud-est asiatico produce circa 2,4 miliardi di dollari all'anno dai frutti di mare.
Per migliorare la gestione delle barriere coralline costiere, il World Resources Institute (WRI) ha sviluppato e pubblicato strumenti per calcolare il valore del turismo correlato alla barriera corallina, della protezione delle coste e della pesca, in collaborazione con cinque paesi dei Caraibi. Ad aprile 2011, i documenti di lavoro pubblicati riguardavano St. Lucia, Tobago, Belize e Repubblica Dominicana. Il WRI stava "assicurandosi che i risultati dello studio supportassero il miglioramento delle politiche costiere e della pianificazione della gestione". Lo studio del Belize ha stimato il valore dei servizi di barriera corallina e mangrovie a $ 395-559 milioni all'anno.
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Tipologie di barriera corallina
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Dall'identificazione da parte di Darwin delle tre formazioni di barriera classica - la barriera corallina attorno a un'isola vulcanica che diventa una barriera corallina e poi un atollo - gli scienziati hanno identificato ulteriori tipi di barriera corallina. Mentre alcune fonti ne trovano solo tre, Thomas e Goudie elencano quattro "tipi principali di barriera corallina su larga scala" - la barriera corallina, la barriera corallina, l'atollo e la barriera corallina - mentre Spalding et al. elenca cinque "tipi principali" - la barriera corallina, la barriera corallina, l'atollo, la "banca o piattaforma reef" e la barriera corallina.
Barriera corallina marginale (Fringing reef)
Una barriera corallina marginale, chiamata anche Fringing reef, è direttamente attaccata a una riva o la confina con un canale o laguna stretto e poco profondo. È il tipo di barriera corallina più comune. Le barriere coralline marginali seguono le coste e possono estendersi per molti chilometri. Di solito sono larghe meno di 100 metri, ma alcune sono larghe centinaia di metri. Le barriere coralline marginali si formano inizialmente sulla riva al basso livello dell'acqua e si espandono verso il mare man mano che crescono di dimensioni. La larghezza finale dipende da dove il fondale inizia a scendere ripidamente. La superficie della barriera corallina rimane generalmente alla stessa altezza: appena sotto la linea di galleggiamento. Nelle barriere coralline più vecchie, le cui regioni esterne si spingono molto verso il mare, la parte interna è resa più profonda dall'erosione e alla fine forma una laguna. Le lagune della barriera corallina possono diventare larghe oltre 100 metri e profonde diversi metri. Come la stessa barriera corallina, corrono paralleli alla costa. Le barriere coralline del Mar Rosso sono "alcune delle meglio sviluppate al mondo" e si trovano lungo tutte le sue coste, tranne al largo delle baie sabbiose.
Barriera corallina in senso stretto (Barrier reef)
Le barriere coralline propriamente dette sono separate da una costa continentale o insulare da un profondo canale o laguna. Assomigliano alle fasi successive di una barriera corallina con la sua laguna, ma differiscono da quest'ultima principalmente per dimensioni e origine. Le loro lagune possono essere larghe diversi chilometri e profonde dai 30 ai 70 metri. Soprattutto, il bordo esterno della barriera corallina al largo si è formato in mare aperto piuttosto che vicino a una battigia. Come un atollo, si pensa che queste scogliere si formino sia quando il fondale si abbassa sia quando il livello del mare si alza. La formazione richiede molto più tempo rispetto a una barriera corallina, quindi le barriere coralline sono molto più rare.
L'esempio più noto e più grande di barriera corallina è la Grande Barriera Corallina australiana. Altri esempi importanti sono la barriera corallina del Belize e la barriera corallina della Nuova Caledonia. Barriere coralline si trovano anche sulle coste di Providencia, Mayotte, Isole Gambier, sulla costa sud-orientale del Kalimantan, su parti della costa di Sulawesi, nella Nuova Guinea sud-orientale e sulla costa meridionale dell'arcipelago della Louisiade.
Barriera corallina a piattaforma (Platform reef)
Le barriere coralline a piattaforma, variamente chiamate banchine o barriere da tavola, possono formarsi sulla piattaforma continentale, così come nell'oceano aperto, infatti ovunque il fondale marino si alza abbastanza vicino alla superficie dell'oceano per consentire la crescita di zooxanthemic, reef-forming coralli. Le barriere coralline si trovano nella Grande Barriera Corallina meridionale, nel gruppo Swain e Capricorn sulla piattaforma continentale, a circa 100–200 km dalla costa. Alcune scogliere di piattaforma delle Mascarene settentrionali si trovano a diverse migliaia di chilometri dalla terraferma. A differenza delle barriere coralline e frange che si estendono solo verso il mare, le barriere coralline crescono in tutte le direzioni. Sono di dimensioni variabili, da poche centinaia di metri a molti chilometri di diametro. La loro forma abituale è da ovale a allungata. Parti di queste barriere possono raggiungere la superficie e formare banchi di sabbia e piccole isole attorno alle quali possono formare barriere coralline. Una laguna può formarsi nel mezzo di una scogliera di piattaforma.
Gli scogli della piattaforma possono essere trovati all'interno degli atolli. Lì sono chiamati patch reef e possono raggiungere solo poche decine di metri di diametro. Dove le barriere coralline si formano su una struttura allungata, ad es. g. una vecchia barriera corallina erosa, possono formare una disposizione lineare. È il caso, ad esempio, della costa orientale del Mar Rosso vicino a Jeddah. Nelle vecchie scogliere di piattaforma, la parte interna può essere così pesantemente erosa da formare uno pseudo-atollo. Questi possono essere distinti dagli atolli reali solo da indagini dettagliate, possibilmente comprese le carotaggi. Alcune barriere coralline della piattaforma delle Laccadive sono a forma di U, a causa del vento e del flusso d'acqua.
Atolli
Gli atolli o le barriere degli atolli sono una barriera corallina più o meno circolare o continua che si estende tutto intorno a una laguna senza un'isola centrale. Di solito sono formati da barriere coralline intorno alle isole vulcaniche. Nel tempo, l'isola si erode e sprofonda sotto il livello del mare. Gli atolli possono anche essere formati dall'affondamento del fondale o dall'innalzamento del livello del mare. Ne risulta un anello di scogliere che racchiudono una laguna. Gli atolli sono numerosi nel Pacifico meridionale, dove di solito si trovano in mezzo all'oceano, ad esempio nelle Isole Caroline, nelle Isole Cook, nella Polinesia francese, nelle Isole Marshall e in Micronesia.
Gli atolli si trovano nell'Oceano Indiano, ad esempio, alle Maldive, alle Isole Chagos, alle Seychelles e intorno all'isola di Cocos. L'intero arcipelago delle Maldive è composta da 26 atolli.
Altri tipi di varianti
- Apron reef – reef corto simile a un reef frangiato, ma più inclinato; estendendosi verso l'esterno e verso il basso da un punto o da una costa peninsulare. La fase iniziale di una barriera corallina.
- Barriera corallina - barriera corallina isolata e piatta più grande di una barriera corallina e di solito su regioni intermedie e di forma lineare o semicircolare; un tipo di piattaforma reef.
- Patch reef – affioramento di barriera corallina comune, isolato, relativamente piccolo, di solito all'interno di una laguna o di un bacino, spesso circolare e circondato da sabbia o alghe. Può essere considerato come un tipo di barriera corallina [chi?] O come caratteristiche di barriere coralline, atolli e barriere coralline. Le chiazze possono essere circondate da un anello di copertura ridotta di fanerogame chiamato alone di pascolo.
- Ribbon reef – reef lungo, stretto, possibilmente tortuoso, solitamente associato a una laguna di atollo. Chiamato anche reef a ridosso o sill reef.
- Habili – reef specifico del Mar Rosso; non si avvicina abbastanza alla superficie da causare risacca visibile; può essere un pericolo per le navi (dall'arabo "non nato")
- Microatollo – comunità di specie di coralli; crescita verticale limitata dall'altezza media della marea; le morfologie di crescita offrono una registrazione a bassa risoluzione dei modelli di cambiamento del livello del mare; resti fossili possono essere datati usando la datazione al carbonio radioattivo e sono stati usati per ricostruire i livelli del mare dell'Olocene
- Cays – piccole isole sabbiose di bassa quota formate sulla superficie delle barriere coralline da materiale eroso che si accumula, formando un'area sopra il livello del mare; può essere stabilizzato dalle piante per diventare abitabile; si verificano in ambienti tropicali in tutto il Pacifico, l'Oceano Atlantico e l'Oceano Indiano (compresi i Caraibi e la Grande Barriera Corallina e la barriera corallina del Belize), dove forniscono terreni abitabili e agricoli
- Seamount o guyot – si forma quando una barriera corallina su un'isola vulcanica si abbassa; le cime dei monti sottomarini sono arrotondate ei guyot piatti; le cime piatte dei guyot, o tablemount, sono dovute all'erosione delle onde, dei venti e dei processi atmosferici
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Pericoli per l'ecosistema della barriera corallina
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Purtroppo questi ecosistemi sono molto fragili e sono minacciati, direttamente o indirettamente, dall'attività umana.[1] Pesca a strascico e ancore possono danneggiarle significativamente, mentre l'uso indiscriminato (fortunatamente bandito anni fa) del veleno per stordire i pesci e il commercio in acquariofilia ha causato in alcune zone una morìa a macchia di leopardo dei polipi che si trovavano nella zona.
È recente l'allarme degli scienziati riguardo alle barriere coralline presenti nell'Oceano Indiano: qui più di ogni altra parte si registra un aumento delle temperature[1] specialmente nelle aree interessate dal fenomeno di El Niño come le isole Seychelles, presso le quali si è osservata nel 1998, in concomitanza al fenomeno meteorologico, la perdita del 90% dei coralli [senza fonte].
Una previsione conservativa è quella di alcuni scienziati dell'Università Australiana del Queensland, che prevedono la morte della Grande Barriera Corallina entro 50 anni a causa dell'innalzamento delle temperature medie dell'acqua (previsti incrementi da 2 a 6 °C).
Uno dei problemi delle barriere coralline è il tempo che i coralli impiegano per riprendersi dai danni, infatti molti di esse crescono pochi centimetri l'anno. Alcuni ricercatori hanno trovato un modo per riparare le barriere: i coralli per ricrearsi devono essere attaccati a uno substrato solido e devono ricevere un flusso d'acqua continuo, in questo modo i ricercatori hanno costruito dei piccoli telai in acciaio a cui erano attaccati i frammenti di coralli vivi. Questi telai in acciaio, detti stelle della barriera corallina, hanno portato ad un aumento della crescita dei coralli[13].
Sbiancamento dei coralli

Una delle minacce più importanti per le barriere coralline negli ultimi anni è il cosiddetto fenomeno dello sbiancamento dei coralli (coral bleaching), sempre più frequente e dannoso a causa dei recenti cambiamenti climatici globali.

Lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno che si verifica quando i coralli espellono le loro alghe simbionti (le zooxantelle) che vivono nei loro tessuti, facendoli apparire bianchi o molto chiari. Questo processo è spesso innescato da stress ambientali, come l'aumento della temperatura dell'acqua, l'acidifcazione dell'acqua o l'inquinamento. Questo fenomeno è quindi molto dannoso per l'ecosistema della barriera corallina, dal momento che le zooxantelle forniscono ai coralli fino al 90% del loro fabbisogno energetico attraverso la fotosintesi, e partecipano attivamente alla biocostruzione della struttura carbonatica.

Temperature elevate, anche di pochi gradi, possono stressare i coralli e indurli a espellere le zooxantelle. In genere il fenomeno dello sbiancamento si verifica quando la temperatura dell'acqua si mantiene a lungo oltre i 30 °C. Questo è molto preoccupante soprattutto in un'ottica di cambiamenti climatici e di riscaldamento globale: i fenomeni di sbiancamento dei coralli potrebbero aumentare sempre di più a causa del progressivo aumento delle temperature, con effetti devastanti per la biodiversità e per l'ecosistema.

L'aumento della CO2 nell'atmosfera porta a un'acidificazione degli oceani, che può influenzare negativamente la salute dei coralli.
Anche l'inquinamento da sostanze chimiche, come quelle presenti in alcune creme solari, può danneggiare i coralli e le loro alghe simbionti.
La luce artificiale, soprattutto quella notturna, può alterare il comportamento dei coralli e delle loro alghe.
L'attività umana nelle zone costiere, come la costruzione di infrastrutture o lo scarico di acque reflue, può avere un impatto negativo sulle barriere coralline.
Le conseguenze dello sbiancamento sono diverse. Innanzitutto si ha perdita di colore: i coralli perdono il loro colore vivace e appaiono bianchi o pallidi. Se lo stress persiste, i coralli possono morire di fame, poiché le zooxantelle forniscono loro gran parte dell'energia. Lo sbiancamento dei coralli può portare alla perdita di specie marine che dipendono dalle barriere coralline per il cibo e il riparo, comportando quindi un drastico calo di biodiversità. Molte comunità dipendono dalle barriere coralline per il turismo, la pesca e la protezione dalle tempeste, quindi lo sbiancamento può avere gravi conseguenze economiche e sociali.



L’Istituto Oceanografico del Principato di Monaco ha individuato 6 soluzioni da mettere in atto immediatamente.
- Contrastare il surriscaldamento dell’atmosfera: invertire la rotta delle emissioni per evitare non solo che l’atmosfera si riscaldi sempre di più – e con essa gli oceani – ma soprattutto diminuire la quota di CO2 aerodispersa che, inevitabilmente, entrando a contatto con le acque oceaniche vi si discioglie, acidificandoli. L’acidificazione delle acque oceaniche comporta un abbassamento del pH che, insieme allo stress da calore, causa lo sbiancamento dei coralli.
- Contrastare l’inquinamento marino: tutte le forme di inquinamento chimico e fisico con ripercussioni sul mare devono essere eliminate! L’urbanizzazione spinta delle coste, la moltiplicazione dei lidi e l’incuria umana, insieme alle grandi imbarcazioni, sono le fonti principali di inquinamento chimico e fisico del mare. Rimane fermo il discorso di non inquinare volontariamente le spiagge con mozziconi di sigaretta e rifiuti di vario genere, ma altrettanto importante risulta conoscere anche le altre forme di inquinamento “non volontario” e cominciare a pretendere dai governi locali una seria responsabilizzazione sul tema.
- Promuovere un’economia “blu”: insieme alle soluzioni per ridurre l’inquinamento, serve un’economia che valorizzi (anziché colpire) il mare. Attività sportive e ricreative gestite da enti rispettosi della vita marina e dei suoi ritmi, istituzione ed espansione di aree protette, pratiche agricole e di gestione boschiva responsabili – gli ecosistemi terrestri e marini sono tra loro collegati – sono prioritari.
- Proteggere le zone-rifugio delle specie marine: la protezione deve essere fatta in particolare nella zona mesofotica, tra i 30 e i 150 m di profondità, al riparo dalle onde di calore marine. Qui i coralli sono meno vulnerabili allo sbiancamento e possono fungere da serbatoio di ricolonizzazione delle aree degradate. Parallelamente, è necessario proteggere anche le praterie di fanerogame e le mangrovie, ecosistemi che svolgono un ruolo importante nel ciclo del carbonio e nello stoccaggio, contribuendo a diminuire l'accumulo di gas serra nell'atmosfera.
- Ripristinare le barriere coralline danneggiate: ciò può essere fatto trapiantando il corallo da un sito all'altro (ex-situ), o coltivandolo in situ (in situ) per riformare una nuova colonia.
- Creare una “banca del corallo”: proprio come per i semi delle piante, questa ha l'obiettivo di preservare i ceppi e reimpiantarli in aree devastate. Sarà anche possibile studiare la resistenza delle specie al calore e selezionare le varietà più forti, aumentando le possibilità di conservazione, ammesso che si realizzino anche tutte le soluzioni precedenti.[30]
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Zonazione della barriera corallina
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Gli ecosistemi della barriera corallina contengono zone distinte che ospitano diversi tipi di habitat. Di solito, vengono riconosciute tre zone principali: la barriera corallina anteriore, la cresta della barriera corallina e la barriera corallina posteriore (spesso denominata laguna della barriera corallina).
Le tre zone sono fisicamente ed ecologicamente interconnesse. La vita della barriera corallina e i processi oceanici creano opportunità per lo scambio di acqua di mare, sedimenti, nutrienti e vita marina.
La maggior parte delle barriere coralline si trova in acque profonde meno di 50 m. Alcuni abitano le piattaforme continentali tropicali dove non si verificano risalite fresche e ricche di nutrienti, come la Grande Barriera Corallina. Altri si trovano nel profondo oceano che circonda le isole o come atolli, come alle Maldive. Le barriere coralline che circondano le isole si formano quando le isole sprofondano nell'oceano e gli atolli si formano quando un'isola sprofonda sotto la superficie del mare.
In alternativa, Moyle e Cech distinguono sei zone, sebbene la maggior parte delle barriere coralline possieda solo alcune delle zone.
La superficie della barriera corallina è la parte più superficiale della barriera corallina. È soggetto a picchi e maree. Quando le onde passano su aree poco profonde, si depositano, come mostrato nel diagramma adiacente. Ciò significa che l'acqua è spesso agitata. Queste sono le condizioni precise in cui fioriscono i coralli. La luce è sufficiente per la fotosintesi da parte delle zooxantelle simbiotiche e l'acqua agitata porta il plancton per nutrire il corallo.
Il fondo della barriera corallina è il fondale marino poco profondo che circonda una barriera corallina. Questa zona si trova vicino alle barriere coralline sulle piattaforme continentali. Le barriere coralline intorno alle isole tropicali e agli atolli scendono bruscamente a grandi profondità e non hanno un tale fondo. Solitamente sabbioso, il pavimento supporta spesso prati di alghe che sono importanti aree di foraggiamento per i pesci di barriera.
Il drop-off della barriera corallina è, per i suoi primi 50 m, habitat per i pesci di barriera che trovano rifugio sulla parete rocciosa e il plancton nell'acqua vicina. La zona di abbandono si applica principalmente alle barriere coralline che circondano le isole e gli atolli oceanici.
La parete della barriera corallina è la zona sopra il fondale della barriera corallina o il drop-off della barriera corallina. Questa zona è spesso l'area più diversificata della barriera corallina. Coralli e alghe calcaree forniscono habitat complessi e aree che offrono protezione, come crepe e fessure. Gli invertebrati e le alghe epifite forniscono gran parte del cibo per altri organismi. Una caratteristica comune in questa zona del foreef sono le formazioni di speroni e solchi che servono a trasportare i sedimenti verso il basso.
Il reef flat è il piatto dal fondo sabbioso, che può trovarsi dietro la barriera corallina principale, contenente pezzi di corallo. Questa zona può delimitare una laguna e fungere da area protettiva, oppure può trovarsi tra il reef e la riva, e in questo caso è un'area piatta e rocciosa. I pesci tendono a preferirlo quando è presente.
La laguna della barriera corallina è una regione completamente chiusa, che crea un'area meno interessata dall'azione delle onde e spesso contiene piccole macchie di barriera.
Tuttavia, la "topografia delle barriere coralline è in continua evoluzione. Ogni barriera corallina è costituita da macchie irregolari di alghe, invertebrati sessili e roccia e sabbia nude. Le dimensioni, la forma e l'abbondanza relativa di queste macchie cambiano di anno in anno in risposta a i vari fattori che favoriscono un tipo di patch rispetto a un altro. La crescita del corallo, ad esempio, produce un cambiamento costante nella struttura fine delle barriere coralline. Su scala più ampia, le tempeste tropicali possono abbattere ampie sezioni della barriera corallina e causare lo spostamento di massi sulle aree sabbiose".
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Barriere coralline nel passato geologico
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Oggi molto presenti nelle acque costiere delle regioni tropicali, le barrier coralline erano anche nel passato tra i più importanti ecosistemi marini, in termini di ecologia e biodiversità.
La presenza di un esoscheletro duro di carbonato di calcio favorisce i processi di fossilizzazione, di conseguenza oggi disponiamo di un'ampia documentazione fossile di coralli.

I periodi di massimo sviluppo di queste costruzioni sono stati nel Cambriano medio (513-501 Ma), Devoniano (416-359 Ma) e Carbonifero (359-299 Ma), principalmente ad opera dei tetracoralli che si estinsero alla fine del Permiano, Cretaceo superiore (100-65 Ma) e Neogene (23 Ma - attuale), ad opera delle madrepore. I fossili più antichi di madrepore risalgono al Mesozoico; la documentazione fossile relativa a questi organismi prosegue ininterrotta fino ai giorni nostri.

Le barriere coralline fossili sono forse i paleoambienti che trovano maggiori studi ed applicazioni in paleoecologia. L’importanza paleoecologica delle barriere coralline del passato e l’importanza di studiare questi paleoambienti nel record fossile sono date da una serie di fattori. Le barriere coralline sono ecosistemi presenti dall’inizio del Fanerozoico, sono cioè presenti sulla Terra da circa 540 milioni di anni: presentano quindi un record fossile molto esteso cronologicamente e stratigraficamente. Di conseguenza, le barriere coralline sono quindi testimoni delle variazioni climatiche che hanno caratterizzato la Terra dall’inizio del Fanerozoico. Le barriere coralline del passato sono rappresentate in larga parte da fossili in posizione di vita, dunque abbiamo molte informazioni sulla biologia ed ecologia degli organismi che la costruiscono, i coralli costruttori. Questo chiaramente agevola le interpretazioni e le ricostruzioni paleoecologiche.

I coralli fossili sono ottimi indicatori delle condizioni paleoambientali, ampiamente usati nelle ricostruzioni paleoecologiche e paleoclimatiche, perché i coralli possono vivere in uno stretto range di condizioni ambientali ottimali (temperatura, salinità, profondità) e risorse (luce, nutrienti), quindi la presenza di coralli costruttori allo stato fossile ci fornisce molte informazioni su diversi fattori ambientali del paleoambiente.

Anche la correlazione tra la morfologia di crescita del corallo ed i principali parametri ambientali può essere usata in paleoecologia nelle ricostruzioni paleoambientali: le diverse forme di crescita dei coralli (massiva, globosa, ramificata, incrostante ecc.) sono in funzione dei parametri ambientali, quali idrodinamismo, luminosità, profondità e tasso di sedimentazione. Attraverso l’analisi di queste caratteristiche è quindi possibile, nei coralli fossili, ottenere importanti informazioni riguardo le condizioni dei paleoambienti. Ad esempio, sapendo che i coralli di forma ramificata e sottile vivono in acque poco agitate e a basso idrodinamismo, coralli fossili con questa morfologia indicano poca energia del moto delle acque del paleoambiente, mentre i coralli di forma globosa e massiva sono da correlare ad un ambiente a più forte energia idrodinamica.
I coralli vivono per secoli e si accrescono aggiungendo sottili strati stagionali di carbonato di calcio che, a loro volta, possono incorporare conchiglie e scheletri di altri organismi. Analogamente agli anelli di crescita degli alberi, dallo studio dei coralli fossili è possibile, attraverso la tecnica della sclerocronologia, ricavare diverse informazioni correlabili, in maniera più o meno diretta, alle variazioni climatiche delle regioni tropicali nei vari periodi geologici: temperatura delle acque marine, salinità, pH, dinamica delle diverse masse d’acqua e cambiamenti del livello del mare. Di conseguenza i coralli fossili risultano molto utili anche in paleoclimatologia, poiché sono fonti preziose per la ricostruzione dei dati paleoclimatici del passato.
Le barriere coralline del passato ci offrono l’opportunità di capire come, a lungo termine, l’ecosistema di barriera corallina abbia risposto ai cambiamenti ambientali e climatici nel tempo geologico, e quindi ci consentono di provare ad interpretare come le barriere coralline attuali possano rispondere, in un immediato futuro, ai cambiamenti climatici attuali.

I coralli vivono per secoli e si accrescono aggiungendo sottili strati stagionali di carbonato di calcio che, a loro volta, possono incorporare conchiglie e scheletri di altri organismi. Analogamente agli anelli di crescita degli alberi, dallo studio dei coralli fossili è possibile, attraverso la tecnica della sclerocronologia, ricavare diverse informazioni correlabili, in maniera più o meno diretta, alle variazioni climatiche delle regioni tropicali nei vari periodi geologici: temperatura delle acque marine, salinità, pH, dinamica delle diverse masse d’acqua e cambiamenti del livello del mare. Di conseguenza i coralli fossili risultano molto utili anche in paleoclimatologia, poiché sono fonti preziose per la ricostruzione dei dati paleoclimatici del passato.

La sclerocronologia è una tecnica molto utilizzata che fa uso dei coralli fossili per le ricostruzioni paleoecologiche e paleoclimatiche. Questa tecnica prevede l’utilizzo dei coralli fossili come termometri fossili: i coralli costruttori si accrescono depositando carbonato di calcio in bande di crescita; la sclerocronologia relaziona le bande di crescita dei coralli con il clima. La parte vivente del corallo, il polipo, è alloggiato in prossimità della superficie della colonia. La crescita scheletrica avviene aggiungendo materiale carbonatico nella zona immediatamente sottostante, creando così l’accumulo di uno spessore via via maggiore di carbonato. In questo modo la colonia risulta formata da una successione di bande di crescita. Questi livelli sono caratterizzati da una densità differente del carbonato e talvolta possono essere osservati ad occhio nudo, mentre in altri casi necessitano di analisi ai raggi x o agli ultravioletti. Il differente spessore e la diversa densità delle bande di crescita sono aspetti legati alle variazioni ambientali stagionali: in linea generale durante l’estate lo scheletro si accresce più rapidamente, mentre in inverno la crescita è più lenta. Analogamente a quanto accade per gli anelli di accrescimento degli alberi, contando i livelli di crescita è quindi possibile stabilire una cronologia. Le colonie coralline possono raggiungere diverse centinaia di anni di età, permettendo quindi di identificare nel passato periodi abbastanza lunghi. L'importanza della sclerocronologia sta però soprattutto nella possibilità di individuare un riferimento cronologico sfruttabile attraverso tecniche di indagine paleoecologica differenti. È il caso delle analisi isotopiche. Anche se i coralli non accrescono il proprio scheletro con un chimismo in equilibrio rispetto all’acqua in cui vivono, opportune correzioni permettono di poter utilizzare il segnale isotopico delle colonie coralline. Analisi dei rapporti isotopici del 18O e del 13C consentono quindi di risalire ad alcune importanti caratteristiche paleoclimatiche degli antichi mari, quali ad esempio temperatura, salinità, grado di eutrofizzazione. Compiendo queste analisi su ciascuno dei livelli di accrescimento di una colonia corallina sarà possibile cogliere le variazioni annuali subite da questi parametri ambientali.
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