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Palazzo Chiablese
palazzo di Torino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Il Palazzo Chiablese è una dimora signorile, situata a Torino, nella regione del Piemonte, in Italia, in particolare in Piazza San Giovanni, tra Via XX Settembre e Piazza Castello, nel centro storico cittadino. Costruito alla fine del XVI secolo, il palazzo fu proprietà di Casa Savoia, in particolare del principe Benedetto di Savoia, appunto duca di Chiablese. Con l'ascesa al trono di Carlo Alberto di Carignano, l'edificio divenne dimora torinese di Ferdinando, duca di Genova e dopo di lui del ramo Savoia-Genova. Nel palazzo nacque Margherita di Savoia, futura prima regina d'Italia. Dal 1958 al 1985 è stato sede del Museo Nazionale del Cinema di Torino[1], dal 1997 è iscritto alla lista del Patrimonio dell'umanità UNESCO come edificio parte del sito seriale "Residenze Sabaude".
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Storia
Riepilogo
Prospettiva

Palazzo Chiablese venne costruito, probabilmente su fondamenta di edifici medievali preesistenti, alla fine del XVI secolo quando Emanuele Filiberto di Savoia, il "duca di ferro", il quale volle rinnovare la piazza davanti alle residenze ducali: Palazzo Ducale (poi Reale) ed il Castello (poi Palazzo Madama). Il duca commissionò il riordino urbanistico degli spazi e degli edifici all’architetto Ascanio Vittozzi, autore anche del progetto per la nuova Cittadella di Torino. I primi proprietari del palazzo erano Beatrice Langosco ed il consorte, Francesco Martinengo Colleoni che lo ricevono in dono dallo stesso duca. Rientrato in possesso dei Savoia all’inizio del XVII secolo, l’edificio ospita, tra il 1600 ed il 1601, il cardinale Pietro Aldobrandini, invitato a Torino dal pontefice Clemente VII presso il duca Carlo Emanuele I per risolvere le discordie tra il Ducato sabaudo e la Francia, riguardanti il possesso del Marchesato di Saluzzo.
Nel 1608, il cardinale ritornò nel palazzo per presenziare ai matrimoni delle figlie del duca, Margherita con Francesco IV Gonzaga e Isabella di Savoia con Alfonso III d’Este. Nel 1642, l’edificio venne assegnato come residenza torinese al cardinale Maurizio di Savoia, figlio di Carlo Emanuele I di Savoia; durante la guerra civile piemontese, Maurizio presentò le sue dimissioni da cardinale al papa Urbano VIII e sposò la nipote Maria Ludovica Cristina, figlio del fratello Vittorio Amedeo I. La coppia preferiva Villa della Regina, residenza sulle colline torinesi, che il cittadino Palazzo Chiablese. Nel 1692, alla morte della principessa Maria Ludovica Cristina, il palazzo accolse alcuni appartamenti a servizio della corte reale.

Nel 1753, re Carlo Emanuele III di Sardegna destina il palazzo al figlio Benedetto di Savoia, duca del Chiablese, nato dalla terza moglie, Elisabetta di Lorena: in quegli anni, il sovrano progettava per l’amatissimo secondogenito un matrimonio con una principessa Asburgo-Lorena e la creazione di uno stato indipendente da ricavare nei feudi imperiali dell’Italia settentrionale o dell’Austria meridionale. L’incarico di rinnovare ed estendere gli appartamenti venne affidato a Benedetto Alfieri, che aveva ereditato da Filippo Juvarra il ruolo di architetto di corte, proseguendone i cantieri nelle residenze sabaude. Con l'intervento di Alfieri, il palazzo ha acquisito il suo aspetto attuale. Le ambizioni dinastiche di Benedetto Maurizio subirono un secco ridimensionamento per l’opposizione di Maria Teresa d'Austria al suo matrimonio asburgico e così il principe che, dopo l’ascesa al trono del fratello maggiore Vittorio Amedeo III, nel 1773, aveva ormai un ruolo secondario nella corte, finì per sposare la giovane nipote, Maria Anna di Savoia, nel 1775. Con la caduta dell’Ancien Régime e l’arrivo delle truppe rivoluzionarie, i duchi di Chiablese furono costretti ad abbandonare Torino nel 1798, rifugiandosi prima in Sardegna e poi a Roma, dove Benedetto Maurizio morìnel 1808.


Con l’occupazione francese di Torino, Palazzo Chiablese, come altre residenze sabaude, venne messo a disposizione di Napoleone Buonaparte e della famiglia imperiale: dopo essere stato la sede per gli uffici della “Commissione esecutiva” formata da Carlo Botta, Carlo Bossi e Carlo Giuli (“il governo dei tre Carli”), l’edificio ospitò tra il 1808 ed il 1814 il governatore generale dei dipartimenti transalpini, il principe Camillo Borghese, insieme con la moglie, Paolina Bonaparte, sorella dell’imperatore. A questo momento risale la decorazione di alcuni ambienti nella manica tra i due cortili, contraddistinta da un linguaggio ancora improntato al classicismo tardo settecentesco. Nel 1814, con la dissoluzione dell’Impero francese, l’edificio ritornò in possesso della duchessa vedova di Chiablese che, nel 1824, morì lasciando in eredità al fratello Carlo Felice, salito al trono nel 1821. Il nuovo sovrano, quando soggiornava a Torino, preferiva Palazzo Chiablese al contiguo Palazzo Reale e qui vi morì nel 1831.
Il palazzo passò così al principe Ferdinando di Savoia-Carignano, secondogenito del re Carlo Alberto di Savoia, duca di Genova. In occasione del suo matrimonio con Elisabetta di Sassonia, celebrato nel 1850, le sale furono oggetto di modifiche e di rinnovamenti dell’arredo e delle decorazioni, sotto la direzione di Alfonso Dupuy: in modo particolare la galleria piccola venne trasformata nella camera da letto della duchessa. Nel 1851 vi nacque Margherita di Savoia-Genova, futura prima regina d’Italia. Palazzo Chiablese, abitato dai Savoia-Genova fino al 1940, fu oggetto tra XIX e XX secolo di alcuni interventi di aggiornamento funzionale.I bombardamenti anglo-americani che devastano il centro di Torino, soprattutto tra il 1943 ed il 1944, colpirono più volte l’edificio con ordigni e spezzoni incendiari, danneggiando così gravemente alcune delle sale monumentali verso la Piazzetta Reale e distruggendo l’angolo verso il Seminario Maggiore.

Dopo un lungo lavoro di ricostruzione e di restauro, indirizzato peraltro a rendere il palazzo adatto alla sua nuova funzione di edificio pubblico, sono trasferiti qui gli uffici di due Soprintendenze. In questi ultimi anni, i restauri progressivamente avviati negli appartamenti monumentali in parallelo con il trasferimento degli uffici in spazi privi d’interesse storico, stanno cercando di ricomporre l’aspetto di fastosa residenza dinastica che aveva palazzo Chiablese fino a un secolo fa, in vista di un percorso museale fruibile dal pubblico. In una delle sale danneggiata dalle bombe è poi restituita l’immagine degli storici uffici della Soprintendenza, a ricordare l’uso più recente di questa sede. L’iniziativa della Soprintendenza per la restituzione al pubblico del palazzo ha trovato in città importanti supporti: la Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali ha avviato l’opera dal 2017 promuovendo il restauro dell’oratorio e del gabinetto del duca; la Fondazione Compagnia di San Paolo, nel quadro della sua importante azione a favore del patrimonio culturale, sostiene il restauro delle sale private e da parata dell’appartamento, promuovendo la competenza del Centro di Conservazione e Restauro La Venaria Reale. Alla riapertura alle visite si affianca un accordo con la Città di Torino, per ospitarvi anche la celebrazione dei matrimoni civili nelle sale di rappresentanza[2][3].
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Descrizione
Riepilogo
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L’intervento dell'architetto Alfieri, nel XVIII secolo, che ha comportato la parziale demolizione e la sopraelevazione dell’edificio preesistente, ha conferito all’edificio l’aspetto attuale, tanto negli esterni quanto negli interni, anche se i progetti sono rimasti in parte incompiuti. Attraverso un portone monumentale aperto sulla sobria facciata in laterizio verso il duomo, si accede a un atrio porticato con colonne, pilastri in pietra e volte a crociera e, di qui, ai due cortili interni, divisi da una manica centrale (1761). Il portico tra la piazza San Giovanni e la piazzetta Reale e la soprastante galleria al piano nobile raccordano l’edificio al Palazzo Reale, con il quale condivide un muro perimetrale. Un maestoso scalone in marmo (1753-1754) conduce agli appartamenti aulici: due campagne decorative, una risalente al 1756-1758, l’altra al 1760-1764, interessano le sale affacciate verso la Piazzetta Reale, che sono organizzate in una doppia enfilade, funzionale alle esigenze cerimoniali. Alfieri diresse anche la decorazione a stucchi dorati degli ambienti, che si accompagna a una boiseries e ad un arredo di grande raffinatezza, eseguiti secondo modelli di gusto filo-francese, dalle équipes di plasticatori (Bartolomeo Papa, Angelo Maria Somasso, Enrico Bitli, Giuseppe Bolina, Giovanni Battista Sanbartolomeo), di intagliatori (Giovanni Battista Bolgiè, Giovanni Antonio Riva, Antonio Gritella) e indoratori (Bartolomeo Monticelli) già attivi per i cantieri reali. Anche la decorazione pittorica, concentrata soprattutto nelle grandi sovrapporte, vide nelle sale del Palazzo Chiablese la presenza di alcuni fra i principali protagonisti della cultura figurativa alla corte di Torino in quegli anni. Si trovano qui, infatti, tanto i più affermati pittori locali, come Michele Antonio Rapous, Mattia Franceschini, Claudio Francesco Beaumont, Vittorio Amedeo Cignaroli, quanto le più prestigiose personalità forestiere che rappresentano bene gli indirizzi di gusto della committenza sabauda, come il romano Gregorio Guglielmi, il napoletano Francesco De Mura, il veneto Giovanni Battista Crosato.

La ricchezza e l’importanza dell’arredo è infine suggellata sia dalle opere dell’ebanista Pietro Piffetti, documentate fra il 1759 e il 1767-1768 (sopravvive il doppio corpo, oggi nella sala dell’Alcova), sia dall’inserimento di uno tra i pezzi più preziosi delle guardarobe reali: si tratta della serie di arazzi con le Storie di Artemisia, tessuta a Parigi nella manifattura dei Gobelins ed acquistata nel 1620 dall’ambasciatore sabaudo per conto di Vittorio Amedeo I. Il palazzo, abitato dai Savoia-Genova fino al 1940, fu oggetto tra XIX e XX secolo di alcuni interventi di aggiornamento funzionale con l’inserimento di una sala da bagno, il rinnovamento impiantistico e la realizzazione di nuovi collegamenti verticali per gli appartamenti di servizio. Le fotografie scattate nelle sale nei primi anni del Novecento ci presentano l’immagine di una sontuosa residenza principesca dove le decorazioni settecentesche convivono con i fastosi mobili eclettici dei duchi di Genova. Questa situazione cambia repentinamente allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando gli eredi di questo ramo della casa reale abbandonano il palazzo, trattenendo con sé gran parte dell’arredo.
I bombardamenti anglo-americani che devastano il centro di Torino soprattutto tra il 1943 e il 1944, colpiscono più volte l’edificio con ordigni e spezzoni incendiari, danneggiando così gravemente alcune delle sale monumentali verso la piazzetta Reale e distruggendo l’angolo verso il Seminario Maggiore. Dopo un lungo lavoro di ricostruzione e di restauro, indirizzato peraltro a rendere il palazzo adatto alla sua nuova funzione di edificio pubblico, vennero trasferiti qui gli uffici di due Soprintendenze. In quest’occasione, per arredare le sale di rappresentanza rimaste in gran parte spoglie, furono trasferiti dal Castello ducale di Agliè (passato anch’esso dai duchi di Genova al Demanio) alcuni arredi neoclassici e un piccolo nucleo di dipinti: tra questi una parte della bella serie di tele con le Vedute delle località del Piemonte di Angelo Antonio Cignaroli (1790-1820 circa) e la coppia di dipinti raffiguranti l'Arrivo di Carlo Felice e di Maria Cristina di Borbone a Napoli di Salvatore Fergola. Tra gli arredi salvatisi dai bombardamenti, ma successivamente dispersi, vi era anche una pregiata scrivania a doppio corpo dell'ebanista Pietro Piffetti, esportata senza autorizzazione e finalmente recuperata, nel 2018, dai carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Torino[4]. Nel palazzo si trovano dipinti di Angelo Maria Crivelli, Angelo Cignaroli, Beaumont, Marghinotti, Tallone. Le sovraporte sono opera di Gregorio Guglielmi, Francesco De Mura, Mattia Franceschini, Gaetano Ottani, Giovanni Alberoni e Michele Antonio Rapous. Le Sale Chiablese site al pian terreno, storicamente destinate ad aree di servizio e quasi prive di decorazioni, ospitano le mostre temporanee dei Musei Reali[5][2].
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Stanze
Riepilogo
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Androne e scalone

Il progetto architettonico si deve a Benedetto Alfieri che disegna i pilastri quadrati in serizzo e le colonne doriche: i gradini sono in marmo bianco di Pont Canavese. Le grandi lanterne risalgono al XIX secolo. Al centro della balaustra è la statua in marmo di Carlo Felice nelle vesti di Gran Maestro dell’ordine dell’Annunziata del novarese Antonio Bisetti, allievo e collaboratore di Carlo Finelli: l’opera, commissionata dalla regina Maria Cristina di Borbone-Due Sicilia dopo la morte del marito, è firmata e datata 1847. Sul pianerottolo, è un busto in bronzo di Ferdinando di Savoia-Genova, già in una delle sale dell’appartamento aulico[6].
Salone degli svizzeri
Il salone è il primo ambiente del percorso cerimoniale di rappresentanza che, come nel Palazzo Reale, era destinato alla guardia svizzera. L’ambiente, gravemente danneggiato dai bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale, è stato oggetto di profondi restauri che comportarono, fra l’altro, lo spostamento del camino dalla parete opposta a quella d’origine, l’apertura di nuove porte funzionali agli uffici e il rifacimento di alcune sovrapporte in stucco. Sulle pareti è stata appesa la serie di grandi tele con scene di animali riferite ad Angelo Maria Crivelli detto "il Crivellone", in origine nel Castello di Moncalieri, passate poi a Palazzo Reale per arrivare infine nella residenza Chiablese[6].
Galleria del Cignaroli
La galleria si tratta di un ambiente moderno, frutto delle trasformazioni postbelliche, dove sono oggi collocate le trentuno vedute di città, residenze reali e luoghi vari del Regno di Sardegna dipinte da Angelo Cignaroli, il figlio del pittore paesaggista Vittorio Amedeo: sono parte di una serie commissionata da re Carlo Felice di Savoia nel 1827 e provengono dal Castello di Agliè, dove ne sono conservate altre dieci. Le sovrapporte rappresentanti le quattro Stagioni provengono da altri ambienti del palazzo[6].
Sala delle guardie del corpo

La sala conserva in buona parte l’aspetto settecentesco ed ottocentesco: le sovrapporte con scene di battaglie, inserite in eleganti cornici rocaille, sono eseguite nel 1758 dal pittore e scenografo Francesco Antoniani. Sulla parete grande è collocato, già dal XIX secolo, il cartone con "Cesare guarda una stele" iscritta su disegno del pittore di corte Matteo Boys, preparatorio per un arazzo atutt’oggi sconosciuto. La manifattura di Torino, fondata da Carlo Emanuele III di Savoia nel 1731, produsse sotto la direzione di Beaumont diverse serie di arazzi destinate ad arredare gli appartamenti del re e della regina. Il lampadario e le ventole, riadattate al gas, sono in stile neobarocco. Sulla parete est è il monumentale Ritratto di Carlo Felice di Savoia, raffigurato in abito da cerimonia con il collare della Santissima Annunziata: è opera, firmata, del pittore cagliaritano Giovanni Marghinotti (firmato), sulla parete ovest il Ritratto equestre di Ferdinando di Savoia, duca di Genova è firmato e datato 1855 da Felice Cerruti Bauduc[6].
Camera dei "Valets a pied"

La seconda delle anticamere del duca del Chiablese era destinata agli staffieri (valets à pied). Le sovrapporte e il paracamino con rovine architettoniche furono eseguiti nel 1758 dal bolognese Gaetano Ottani, che fu cantante oltreché pittore e scenografo. I due cartoni per arazzi sono opera della scuola del torinese Claudio Francesco Beaumont, pittore di corte di Carlo Emanuele III dal 1731: i due episodi si riferiscono alla serie con "Storie di Annibale", tessuta a partire dal 1750. La collocazione del pezzo in questa sala è registrata già dagli inventari ottocenteschi. Gli arredi neoclassici, provenienti dai depositi, sono databili al periodo del regno di Carlo Felice (1821- 1831), mentre il busto in marmo raffigurante Carlo Alberto, re di Sardegna e padre di Ferdinando, duca di Genova, si trovava già in origine nel palazzo[6].
Galleria alfieriana

La galleria a L progettata da Benedetto Alfieri collega gli appartamenti del duca di Chiablese al Palazzo Reale. Attualmente è arredata con ventole dell’inizio del XIX secolo col monogramma di Carlo Felice di Savoia: sono qui esposti, un ovale in stucco con Cristo nell’orto di Giovanni Battista Bernero (in deposito dalla Fondazione Accorsi-Ometto), due sovrapporte di Vittorio Amedeo Cignaroli (parte di una serie dispersa già in palazzo Gazzelli ad Asti e recentemente acquistate dallo Stato) e un busto di Giove, copia ottocentesca dello Zeus di Orticoli ritrovato nel corso degli scavi degli anni 1781-1782 nell’omonima località in Umbria, conservato nel Museo Pio Clementino di Roma[6].
Gabinetto di toeletta

L’ambiente attiguo al “gabinetto de’ ghiacci” era in origine costituito da un “gabinetto da tovaletta” e da una cappella. In occasione del restauro del 2016 sono stati eseguiti sulla volta della cappella alcuni saggi stratigrafici che hanno permesso di scoprire come anche gli stucchi che decorano questo ambiente fossero in origine dorati. Al centro della volta, al di sotto del rosone in stucco attualmente visibile, è presente la colomba dello Spirito Santo, che conferma l’originaria destinazione d’uso della stanza ma è stata dispersa tutta la suppellettile sacra che arredava in origine l’ambiente. È allestita qui una pala d’altare con l’Annucciazione già nella cappella del castello Calvi di Bergolo a Pomaro Monferrato, Alessandria, recentemente acquistata dallo Stato: si tratta di un’opera bolognese già riferita a Marcantonio Franceschini ma molto probabilmente della cerchia di Giovan Gioseffo Dal Sole. Lo spazio retrostante, originariamente utilizzato come sacrestia, fu sostituito nel Novecento da un moderno bagno. I duchi di Genova, infatti, hanno trasformato completamente questa parte degli appartamenti: il “gabinetto de’ ghiacci” è diventato la camera da letto del duca, il gabinetto un boudoir e la cappella una guardaroba[6].
Camera da letto del duca


Utilizzata come camera da letto dal duca di Chiablese, la sala ha mantenuto la stessa funzione al tempi di re Carlo Felice, che morì in questa stanza il 27 aprile 1831; l’episodio è raffigurato in una tela di Luigi Bisi conservata al Castello di Racconigi che costituisce la più antica testimonianza iconografica dell’allestimento interno del palazzo. Al Settecento risalgono gli stucchi, i “lambriggi”, le mostre di porta e le belle sovrapporte con fiori di Michele Antonio Rapous: allo stesso pittore, specializzato in questo tipo di decorazioni e attivissimo nei cantieri reali, si devono con ogni probabilità anche i colorati mazzetti che ornano il “lambriggio” stesso: questo decoro pittorico è stato in parte recuperato nel corso del restauro concluso tra il 2020 ed il 2021 ed eseguito dal Centro di Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”. La stoffa che riveste le pareti è anche in questo ambiente frutto di un intervento di riallestimento successivo al passaggio del palazzo alla Soprintendenza. Provengono dal Castello di Aglié i due dipinti del napoletano Salvatore Fergola raffiguranti, in due momenti diversi, L’arrivo dei sovrani di Sardegna nel porto di Napoli. Firmati e datati 1829, i dipinti furono commissionati da Francesco I delle Due Sicilie per commemorare il viaggio della sorella Maria Cristina di Borbone, e del marito Carlo Felice e della moglie Maria Cristina di Savoia che in quell’anno si erano recati in visita ai loro parenti. Il salotto tardo settecentesco, di gusto francese, è un deposito dalla Fondazione Accorsi-Ometto, mentre appartiene alle collezioni del palazzo il grande bureau à cylindre anch’esso risalente al XVIII secolo[6].
Camera d'udienza del duca
Le fotografie storiche attestano la trasformazione di questa sala avvenuta nell’Ottocento, quando essa fu tappezzata in rosso e arredata con mobili oggi in parte conservati nell’adiacente camera di parata (salone di San Giovanni). Della fase settecentesca restano gli stucchi della volta, i “lambriggi”, le grandi specchiere con intagli rocaille, le mostre di porta e le sovrapporte di Mattia Franceschini raffiguranti "Storie di Enea e Didone" (1758), restaurati dal Centro di Conservazione e Restauro ‘La Venaria Reale’ nel 2020-2021. Le consoles e le poltrone sono settecentesche (i tessuti sono però di sostituzione). La stoffa verde che attualmente riveste le pareti è stata posata nel corso di un riallestimento successivo al passaggio del palazzo alla Soprintendenza. Sono stati collocati qui due busti di gesso raffiguranti Carlo Felice e la moglie, Maria Cristina di Borbone-Napoli[6].
Sala degli arazzi

L’ambiente, già parte dell’appartamento della duchessa nel Settecento, è poi utilizzato nell’Ottocento come sala da ballo: il suo sontuoso aspetto settecentesco è stato recuperato in seguito ai recenti restauri (2007). Gli eleganti stucchi dorati di Sanbartolomeo e Papa incorniciano medaglioni raffiguranti i miti di Apollo e Dafne e di Diana con la ninfa Procri, narrati nelle Metamorfosi di Ovidio. Nel 1763 il napoletano Francesco de Mura consegnava le sovrapporte raffiguranti le allegorie delle Quattro parti del mondo: l’Europa con i simboli della regalità, del papato e delle arti; l’Africa nera con il leone e l’elefante; l’Asia con l’incenso e il cammello; l’America come “indiana” con i pappagalli. Gli arazzi in lana e seta con filati metallici d’oro e d’argento furono tessuti intorno al 1615 da Philippe Maecht, su cartoni dei pittori Antoine Caron e Henry Lerambert, nella manifattura del Fauborg Saint-Marcel a Parigi. Il principe Vittorio Amedeo di Savoia li acquistò nel 1619 tramite il proprio ambasciatore a Parigi e gli arazzi giunsero a Torino nel 1621. Carlo Emanuele III di Savoia li fece raccomodare a partire dal 1758 per collocarli in questa sala del “secondo appartamento” del duca di Chiablese. Altri pezzi della serie si trovano a Palazzo Reale; altri ancora furono dispersi e appartengono oggi a diverse collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero, dal castello di Blois a Timken Museum di San Diego, in California. Dei panni qui esposti, solo Gli araldi a cavallo e Le richieste del popolo sono integri; gli altri furono tagliati per adattarli agli spazi disponibili sulle pareti; un'entre-fenêtre (arazzo alto e stretto previsto per lo spazio tra due finestre) appartiene al ciclo originale, mentre un’altra (il Filosofo) fu tessuta appositamente per questa sala nel 1766 dalla manifattura torinese. I candelabri con amorini in bronzo dorato risalgono al riallestimento come sala da ballo alla metà dell’Ottocento: a questo stesso momento risalgono le fastose poltrone neobarocche, documentate però dalle fotografie d’inizio Novecento, in un’altra sala[6].
Camera di parata della duchessa

Fin dal Settecento questo ambiente dava accesso all’appartamento della duchessa, mentre nell’Ottocento fu adibito a sala da pranzo. L’appartamento fu concepito dopo il 1760, in un momento in cui re Carlo Emanuele III di Savoia tentava di combinare il matrimonio del suo ultimogenito Benedetto Maurizio con la figlia di Francesco I d'Austria, Maria Cristina d’Asburgo-Lorena. Dopo la morte dell’imperatore nel 1765, il progetto fallì e gli ambienti sono allora destinati a Maria Anna di Savoia che sposò il duca del Chiablese nel 1775. La volta, su disegno di Alfieri, è decorata con stucchi dorati di Giovanni Battista Sanbartolomeo e Bartolomeo Papa, attivi anche nella Palazzina di caccia di Stupinigi; essa è stata ampiamente ricostruita dopo il bombardamento che colpì gravemente questa parte del palazzo nel 1943. Quattro delle sei sovrapporte, raffiguranti allegorie della Pace, della Guerra, dell’Estate e dell’Autunno furono eseguite nel 1766 dal romano Gregorio Guglielmi, che lavorò a Torino al rientro in Italia dopo anni di attività tra Dresda, Vienna e Berlino. In Austria, Guglielmi aveva dipinto la volta della grande galleria del Castello di Schönbrunn. Il camino fu modificato nell’Ottocento in modo da renderlo utilizzabile, a seconda delle esigenze, per questa sala o per l’adiacente Sala degli arazzi; la mostra in ghisa può infatti ruotare su sé stessa per consentire di sfruttare la stessa canna fumaria dai due lati. Sono collocate qui quattro poltrone settecentesche, provenienti dai depositi[6].
Alcova

L’ambiente faceva parte dell’"Appartamento della duchessa" realizzato su progetto di Benedetto Alfieri tra il 1760 e il 1762 e si incontrava, nella successione delle sale, dopo aver attraversato la "Camera del letto della duchessa" (già "Sala di Ricevimento", poi "Salone Rosso"), il "Gabinetto alla raffaellesca", il "Gabinetto del Piccolo Ricevimento" (poi "Salotto di Parigi"), la cappella e un altro piccolo gabinetto dove si trovava in origine il mobile libreria di Piffetti. Tutti questi ambienti furono distrutti durante i bombardamenti del 1943 e ricostruiti nel dopoguerra riproponendo in stucco bianco le perdute decorazioni settecentesche dorate della volta. Nel Settecento la sala era denominata “Galleria” e costituiva un ambiente aulico, ma privato, destinato ai momenti di riposo e al gioco. La volta, su disegno di Benedetto Alfieri, è ornata dagli stucchi dorati di Antonio Papa. Le sovrapporte erano opera di Michele Antonio Rapous e raffiguravano trionfi di fiori. Smontate nel 1943, sono andate disperse e oggi sono sostituite da panelli in specchio. Allo stesso artista sono da riferire le raffinate decorazioni floreali del lambriggio.
Nel 1850, in previsione del matrimonio di Ferdinando, duca di Genova con la principessa Elisabetta di Sassonia celebrato il 22 aprile 1850, l’ambiente è stato profondamente modificato. Il progetto è del lombardo Alfonso Dupuy, nominato nel 1836 architetto e segretario della regina. La Galleria assume la funzione di alcova e viene ingrandita con l’apertura di uno spazio riservato al letto sulla parete nord, sacrificando locali adibiti a magazzini. Un grande arco intagliato dorato, con stemma della famiglia Savoia e Sassonia, ornava l’accesso all’andito dedicato al letto, dotato di baldacchino e ampi tendaggi. Qui nacque il 20 novembre 1851 Margherita di Savoia, futura regina d’Italia. Al centro della parete a levante verso la piazza fu inserito il grande camino in marmo bianco di Roccacorba. Al di sopra del camino, la finestra centrale ha il rovescio degli scuri a specchio, apparato predisposto dall’intagliatore Gabriele Capello per dotare la stanza di una grande specchiera centrale, ma al tempo stesso consentire alla duchessa di godere, a imposte aperte, della veduta sulla piazza. Con Capello lavorano al progetto di rinnovo dell’appartamento l’ebanista Pietro Bertinetti, il tappezziere Lorenzo Morlach, i pittori Paolo e Rodolfo Morgari, Angelo Moja. Nuovi mobili per la sala vengono comprati a Parigi.

La zona dell’alcova vera e propria fu colpita duramente dalle bombe del 1943 e l’arcone intagliato andò completamente perduto. La sala è stata restaurata nel 2019 – 2021 dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”. La tappezzeria è stata ritessuta sul modello di quella ottocentesca con la corona ducale dei Savoia-Genova e il nœud d’amour. Oggi nella sala ammiriamo, inserito in una delle quattro “pilastrate” a specchio angolari settecentesche, il doppio corpo di Pietro Piffetti con intarsi in avorio e madreperla, e applicazioni in bronzo dorato, documentato al 1767 – 1768 per il secondo appartamento del duca di Chiablese e trasferito nella sala durante la seconda metà dell’Ottocento. Rimosso nel 1943 per salvarlo dai bombardamenti, restò nelle mani dei duchi di Genova. Esportato illegalmente, nel 2018 è stato recuperato dai carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e consegnato alla Soprintendenza. La dormeuse settecentesca richiama l’idea di riposo cui era adibita la sala: su arredi di questo tipo le signore potevano distendersi e riposarsi durante la giornata[6].
Camera di parata del duca

Nel Settecento la sala costituiva il primo ambiente dell’appartamento del duca di Chiablese: a questa fase (1758) risalgono le sovrapporte del torinese Mattia Franceschini, raffiguranti allegorie delle Virtù. Allievo di Beaumont, Franceschini lavorò anche per la Reggia di Venaria; eseguì cartoni per arazzi e fu scenografo per il teatro Regio. I mobili, in stile neobarocco e databili intorno alla metà dell’Ottocento, fanno parte dell’arredo originario del palazzo, ma prima della fine della monarchia si trovavano nella successiva Camera d’udienza (poi Salone rosso). Il ritratto della regina Margherita di Savoia è firmato e datato 1890 dal pittore savonese Cesare Tallone, che lo eseguì a Roma. Margherita, figlia di Ferdinando di Savoia-Genova, nacque in questo palazzo nel 1851 e divenne nel 1878 la prima regina d'Italia[6].
Sala dei paggi
La “Camera dei paggi”, terza anticamera della residenza dei duchi del Chiablese nel XVIII secolo, era utilizzata come sala di ricevimento al tempo dei duchi di Genova: essa conserva l’aspetto settecentesco nelle mostre di porte che racchiudono sovrapporte con prospettive, ovvero paesaggi di fantasia con rovine. Le tele, come il paracamino, furono eseguite nel 1758 dal pittore emiliano Giovanni Battista Alberoni, allievo dello scenografo Ferdinando Galli da Bibbiena. Alberoni fu a lungo attivo a Torino, dove prese parte alla decorazione della Palazzina di caccia di Stupinigi. L’attuale arredo della sala è frutto di interventi successivi al passaggio di Palazzo Chiablese alla Soprintendenza. Sono stati ultimamente collocati qui due importanti dipinti: una bella veduta del porto di Villafranca Marittima, opera di un paesaggista ignoto attivo negli anni a cavallo fra Settecento e Ottocento e la grandiosa tela di Ippolito Caffi raffigurante l’Ingresso di Vittorio Emanuele II di Savoia a Napoli; nell’opera, proveniente da Palazzo Reale, si fonde l’attenta cronaca dei fasti risorgimentali di casa Savoia con la precisione vedutistica del pittore veneziano, erede e continuatore della tradizione settecentesca[6].
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