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rito liturgico cristiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il rito ambrosiano è il rito liturgico ufficiale adottato dalla Chiesa latina nella maggior parte dell'arcidiocesi di Milano e in alcune zone che ne facevano precedentemente parte, che si distingue da quello utilizzato comunemente nel resto dell'Occidente, detto invece rito romano[1].
Esso è, ad oggi, l'unico rito cattolico latino non romano ad essere impiegato comunemente e quotidianamente nel suo areale storico, essendo stato riformato secondo le prescrizioni del Concilio Vaticano II[1]. Questa particolarità è dovuta a fattori storici, oltre che al prestigio storico di questo rito e della cattedra arcivescovile ambrosiana[2][3].
L'arcivescovo di Milano ha la qualifica di capo rito[4].
Il nome del rito ambrosiano richiama alla memoria la figura di Sant'Ambrogio, che fu vescovo di Milano dal 374 al 397, ma il primo vero sviluppo del rito risale all'episcopato di Sant'Eusebio, dal 449 al 462[1].
Quando papa Gregorio I, alla fine del VI secolo, modificò, riordinò ed estese a tutta la Chiesa latina la liturgia romana, il rito ambrosiano riuscì a sopravvivere alla romanizzazione o soppressione delle tradizioni non romane, al pari del rito mozarabico[5]; per gli altri riti latini non romani, come il rito di Braga e il rito lionese, la romanizzazione fu invero talmente profonda che ad oggi è contestata loro la qualifica di riti non romani, preferendo alcuni studiosi la denominazione di "usi locali del rito romano"[6].
Dalla metà del VII secolo a tutto l'VIII secolo si ebbe un generale consolidamento dell'ordinamento liturgico ambrosiano, come testimoniato dalle fonti coeve. Il rito ambrosiano fu uno dei primi riti latini occidentali a codificarsi, e alcune sue caratteristiche sembrerebbero aver funto da guida per lo sviluppo di altre liturgie altomedioevali, in particolare per quelle appartenenti alla famiglia dei riti gallicani[5].
L'attestazione diretta del rito ambrosiano iniziò nel IX secolo, quando papa Adriano I confermò alla Chiesa ambrosiana il diritto di avere un proprio rito particolare, contrastando così la pretesa di Carlo Magno di unificare liturgicamente il Sacro Romano Impero[1].
La sua sopravvivenza fu a rischio allorché vennero soppressi, nelle immediatezze del concilio di Trento o negli anni successivi, gli altri riti locali (tra questi ultimi, si contava in Alta Italia il rito patriarchino, cui erano legate le vicine città di Monza e Como e i patriarcati di Aquileia, di Grado e di Venezia). Malgrado ciò l'arcidiocesi riuscì a mantenerne l'impiego: occorre tener conto che il papa, Pio IV, era milanese e che l'anima del Concilio fu l'arcivescovo di Milano San Carlo Borromeo. La legittimazione definitiva del rito ambrosiano si ebbe con la bolla pontificia Quo primum tempore, promulgata nel 1570 da papa Pio V in esecuzione dei decreti del concilio tridentino, che concesse il privilegio di mantenere il proprio ordinamento particolare a quelle Chiese locali che potessero dimostrare di aver utilizzato ininterrottamente un rito proprio da più di duecento anni al momento di proclamazione della bolla.
Il Concilio Vaticano II volle conservare con uguale diritto e onore tutti i riti legittimamente riconosciuti, prescrivendo al contempo che venissero «prudentemente riveduti in modo integrale nello spirito della sana tradizione» onde dar loro «nuovo vigore secondo le circostanze e le necessità del tempo». Attuando tale auspicio del Concilio, e incoraggiata da papa Paolo VI, già arcivescovo di Milano, l'arcidiocesi meneghina decise di riformare la tradizione liturgica ambrosiana, revisionando i suoi libri liturgici: tra il 1972 e il 1984 furono promulgati i primi libri liturgici ambrosiani rinnovati a norma dei decreti del Concilio Vaticano II, successivamente riveduti[1].
In ciò l'arcidiocesi rappresenta un unicum, visto che, favorita dal prestigio diocesano e dalla lunga storia e tradizione del suo rito, riuscì nell'intento di stabilire un nuovo Ordo Missae, anche in lingua volgare, mentre alle altre diocesi che pure avrebbero potuto avvalersi della possibilità di rinnovare i propri riti mancarono spesso i mezzi o la volontà per agire in tal senso[3]. Ad oggi il rito ambrosiano, nella sua versione postconciliare e in lingua italiana, è seguito nella maggioranza delle chiese dell'arcidiocesi di Milano e in alcune località oggi esterne ai confini della diocesi ma storicamente legate ad essa.
I cattolici che hanno chiesto di celebrare nella forma precedente alle riforme del Concilio Vaticano II, ottenuto il permesso dal cardinale Carlo Maria Martini nel 1984[7], utilizzano il rito ambrosiano antico. Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha provveduto alle necessità spirituali di questi gruppi concedendo loro, nel 2015, la chiesa di Santa Maria della Consolazione in largo Cairoli, in sostituzione della chiesa di San Rocco al Gentilino[8]. Anche a Legnano vi è una comunità che impiega il rito ambrosiano antico[9].
In origine il rito ambrosiano aveva una diffusione molto vasta, su tutto il nord d'Italia fino a sud di Bologna. Nel corso della storia molte comunità, anticamente di rito ambrosiano, sono passate al rito romano.
Il rito ambrosiano è attualmente seguito nella maggior parte dell'arcidiocesi di Milano e nelle seguenti zone che vi non appartengono più, ma un tempo ne facevano parte:
Nei seguenti luoghi appartenenti all'arcidiocesi di Milano è in uso il rito romano:
Dal punto di vista amministrativo-civile, quindi, il rito ambrosiano è diffuso nella quasi totalità delle province di Lecco, Milano, Monza e Brianza e Varese, in buona parte della provincia di Como, in alcune zone delle province di Bergamo, Pavia e Verbano-Cusio-Ossola e in alcune zone del Canton Ticino in Svizzera.
Segue il rito ambrosiano anche il monastero delle Romite ambrosiane dell'Ordine di Sant'Ambrogio ad Nemus a Revello, in provincia di Cuneo e diocesi di Saluzzo[12].
Il rito ambrosiano era il rito proprio anche di altre parrocchie che però, in seguito al passaggio ad altra circoscrizione ecclesiastica, hanno mutato anche il rito:
Al contrario, altri territori anch'essi appartenenti un tempo alla diocesi di Milano (come ad esempio il vicariato di Verdello e la pieve di Chignolo Po[2]), non hanno mai conosciuto il rito ambrosiano.
Anche nel monastero di Sant'Ambrogio, fondato a Praga da Carlo IV nel 1353, si celebrava in rito ambrosiano per volere del sovrano stesso e per concessione di papa Innocenzo VI[15].
Un residuo del rito ambrosiano è l'amministrazione del battesimo per immersione a Pescocostanzo, in provincia dell'Aquila, portato dalle maestranze edilizie lombarde[16].
Le caratteristiche della liturgia ambrosiana sono un forte cristocentrismo, derivante dalla lotta contro l'eresia ariana al tempo di Ambrogio, e una vicinanza con le liturgie orientali, prese da Ambrogio stesso come modello per la Chiesa milanese, seppur facendo sempre riferimento agli usi della Chiesa di Roma come fonte normativa.
La celebrazione della messa presenta gli stessi elementi del rito romano, ma alcuni di essi sono disposti diversamente o sono leggermente differenti:
Momento | Rito ambrosiano | Rito romano |
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Riti iniziali |
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Liturgia della Parola |
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Liturgia eucaristica |
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Riti di Comunione |
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Riti conclusivi |
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Una differenza con il rito romano riguarda la forma dell'ostensorio, che ha conservato la più antica conformazione a tempietto, mentre nel rito romano ha assunto una forma di raggiera.
L'ostensorio e la pisside sono ricoperti da conopei di colore rosso e non bianco.
Il turibolo, a differenza di quello romano, è privo del coperchio traforato e della quarta catena che serve ad aprirlo. Viene usato facendolo girare per aria, in un modo del tutto sconosciuto al rito romano che invece lo usa esclusivamente in senso antero-posteriore. Il modo di incensare ambrosiano è infatti per ductum et tractum, cioè facendo prima roteare il turibolo (ductus) e poi spingendolo in avanti (tractus) verso la persona o la realtà sacra da venerare, in modo tale che chi incensa "disegni", per così dire, la forma di una croce. Nel ductus il turibolo viene fatto ruotare in senso orario un numero variabile di volte, mentre nel tractus il turibolo viene alzato verticalmente e abbassato.
I criteri usati per l'incensazione sono:
L'aspersorio è fatto come un piccolo pennello e l'acqua è trattenuta dalle setole.
La croce astile viene sempre rivolta al celebrante, quindi nelle processioni il Crocifisso è volto indietro, mentre nel rito romano è volto in avanti. Alcune croci astili o croci d'altare presentano un supporto dove collocare una candela.
Alcuni sacerdoti (canonici, prevosti e vicari episcopali) hanno il diritto di portare durante le processioni la ferula, cioè un bastone sormontato da un globo e una piccola croce.
In generale la foggia dei paramenti liturgici è uguale a quella romana, esistono però alcune particolarità, sebbene non sempre presenti o rispettate:
Vi sono differenze anche negli abito del clero:
Vi sono anche differenze che riguardano il colore dei paramenti:
Un elemento fondamentale del rito e della liturgia ambrosiana è costituito dal canto "ambrosiano". Fu Sant'Ambrogio stesso che, per la prima volta in assoluto nella liturgia della Chiesa, introdusse nel 386 l'uso di canti non derivanti dai salmi (gli unici fino ad allora cantati durante le messe). Questa sua innovazione si diffuse presto anche nelle Chiese di altro rito.
Ambrogio è stato definito il "più musicale dei Padri", in quanto ha personalmente composto testi e musiche dei suoi inni, innovando anche lo stile, grazie all'introduzione della metrica classica al posto di quella libera che era simile alla salmodia ebraica. Scelse per i suoi inni il dimetro giambico e introdusse l'antifonia, elemento fondamentale per consentire a tutta la massa di fedeli una maggiore partecipazione al rito, grazie ad un canto collettivo eseguito da un'ala maschile e da un'altra ala composta da donne e bambini. Per agevolare il popolo alla declamazione, Sant'Ambrogio realizzò versetti facili da recitare ed eliminò sia il ruolo del solista sia la presenza dei vocalizzi, rendendo tutto l'insieme più armonico.
Come il canto gregoriano, anche il canto ambrosiano fu naturalmente modificato nel corso dei secoli dalla sua elaborazione da parte di Ambrogio, ma non di meno oggi lo si definisce il più antico corpus musicale occidentale. Per preservare questo patrimonio insostituibile è stato istituito il PIAMS (Pontificio istituto ambrosiano di musica sacra) consociato con il Pontificio istituto di musica sacra di Roma. Secondo una dichiarazione del sinodo diocesano del 1994, esso è il soggetto incaricato dell'educazione al canto e alla musica nell'arcidiocesi di Milano[27][28].
I testi liturgici musicali e canori ambrosiani sono contenuti nei volumi Antiphonale Missarum iuxta ritum Sanctae Ecclesiae Mediolanensis (1935) e Liber Vesperalis (1939), editi dal musicologo benedettino spagnolo Gregorio Maria Suñol.
Quando la messa è preceduta da una processione, giunti al limite del presbiterio la processione si arresta. I ministranti, con la croce astile, i cantari ambrosiani e il turibolo, si rivolgono verso i fedeli; il clero si dispone su due file (una di fronte all'altra), al termine delle quali si pone il celebrante, in posizione centrale. A questo punto il solista e l'assemblea si alternano cantando 12 volte (6 ciascuno) Kyrie eleison a cui segue una sallenda. Durante il versetto «Gloria al Padre...», cantato al termine della sallenda, i ministranti e il clero effettuano un lungo inchino rivolto alla croce; alle parole «come era nel principio...» ne effettuano uno più corto rivolto al celebrante, quindi la processione entra in presbiterio mentre viene ripetuta la sallenda.
Il canto dei 12 Kyrie sostituisce l'atto penitenziale ed è prescritto dopo la processione con le palme e gli ulivi nella domenica delle palme e dopo la processione con le candele nella festa della presentazione del Signore al tempio.
Caratteristica tipica del rito ambrosiano è l'assoluta centralità della domenica, con il suo inizio dal tramonto del sole del giorno precedente. La messa vespertina del sabato, impropriamente talvolta detta prefestiva, ha il suo valore proprio e originario di messa vigiliare, ben evidenziato da un particolare rito, introdotto con l'edizione del lezionario entrato in vigore in occasione dell'Avvento 2008: all'inizio della messa, al posto dei riti penitenziali, è prevista la lettura di un brano di Vangelo che parla della Resurrezione di Gesù, tranne che in Quaresima dove vengono letti brani evangelici che preannunciano il mistero pasquale (come ad esempio la Trasfigurazione).
È anche possibile celebrare con maggior solennità l'inizio della domenica unendo i vespri alla messa vigiliare e alla lettura del vangelo vigiliare[29]. L'inizio dei vespri è caratterizzato dal "rito della luce" o "lucernario". La processione con il celebrante entra in chiesa al buio e con i cantari spenti al fianco dell'unica lanterna accesa, che apre la processione. Giunti ai piedi del presbiterio, dopo il saluto all'assemblea, al celebrante vengono presentati i cantari e la lanterna; il celebrante provvede ad accenderli, quindi vengono accesi i ceri dell'altare, sempre dalla stessa fiamma e, secondo l'opportunità, infuso l'incenso e incensata la mensa. Il rito si conclude con l'inno.
La Messa vigiliare solenne assume dunque questa struttura:
La messa continua normalmente fino alla comunione, cui segue il canto del:
Concludono la celebrazione l'Orazione dopo la comunione e la benedizione.
Tuttora in uso è il rito del "faro", la cui origine è antichissima (se ne trova traccia nel VII secolo), e celebrato ora in occasione delle feste patronali, ma solo se si tratta di un santo martire. La sua origine e significato sono incerti: un significato puramente allegorico sarebbe l'allusione al sacrificio della vita da parte del martire.
Nella forma più solenne si svolge nella seguente modalità: all'inizio della messa solenne, la processione introitale si ferma al limite del presbiterio, dove è sospeso in alto un pallone di stoppa o bambagia oppure di altro materiale combustibile, solitamente ornato con una croce, una corona e delle palme (simbolo del martirio). Dopo il canto dei 12 Kyrie e della sallenda propria con il Gloria al Padre, mentre si ripete la sallenda, il celebrante, senza nulla dire, con un'apposita verga sormontata, solitamente, da tre piccole candele incendia il pallone e sale in presbiterio. Un tempo probabilmente veniva incendiato dalla candela che era posta sulla croce astile dallo stesso ostiario che portava la croce.
In alternativa il pallone viene incendiato dopo che il celebrante ha intonato il Gloria.
Il rito del faro è celebrato nel duomo di Milano in occasione di Santa Tecla, patrona della parrocchia della cattedrale, e in molte delle parrocchie dedicate a santi martiri nel giorno della loro festa.
Nei funerali il rito dell'aspersione e dell'incensazione del defunto è collocato all'inizio della celebrazione eucaristica al posto dell'atto penitenziale. In sostituzione della preghiera dei fedeli, invece, si cantano le litanie dei santi, seguite da quattro preghiere per il defunto e per i familiari; conclude il canto la triplice invocazione Kyrie eleison.
Vi sono alcuni riti specifici che sono stati aboliti, ma di cui si può trovare traccia nelle descrizioni storiche. Ad esempio, era usanza che durante certe messe solenni (e precisamente all'Offertorio) vi fosse una corsa che partiva dai quartieri fin dentro il duomo di Milano, con un enorme cavallo di legno ornato di salsicce e doni vari. Questa usanza venne abolita da San Carlo Borromeo.
I riti descritti di seguito sono invece tutt'oggi in uso.
Secondo un'antica tradizione, la chiesa cattedrale metropolitana di Milano ha conservato alcuni riti particolari, quando la messa è celebrata solennemente dall'arcivescovo.
Nelle Messe pontificali, prima che l'arcivescovo e i ministri bacino la mensa, due diaconi incensano l'altare. Un'altra particolarità è l'incensazione dell'arcivescovo prima dell'omelia, in segno di devozione profetica.
Un'altra cerimonia particolare e di origine antichissima quanto incerta, è la processione dell'Idea, che si svolge il 2 febbraio, festa della presentazione del Signore al tempio, e consiste nel portare in processione prima della messa un'icona mariana sormontata da una candela. Non si sa da che cosa derivi questa denominazione: secondo alcuni da una celebrazione della dea pagana Cibele (il cui attributo era Magna Mater Idea), secondo altri dal nome generico di "immagine"[30].
L'immagine in questione è quella di una Madonna con bambino, una volta trasportata da due presbiteri su una lettiga con manici in forma di scala, portandola con stanghe e stando uno davanti e l'altro dietro, come si vede da un bassorilievo medievale conservato al Museo del Castello. Un tempo si svolgeva tra le chiese di Santa Maria Beltrade e Santa Maria Maggiore; oggi si svolge solo nel duomo di Milano e nella basilica di Sant'Ambrogio: la lettiga non viene più portata da presbiteri, ma da diaconi.
Nel catino absidale del duomo di Milano è conservato, in un apposito reliquiario, un morso di cavallo che la tradizione dice essere costituito da uno dei chiodi della Passione.
In occasione della festa dell'Esaltazione della Santa Croce, l'arcivescovo sale su un carro seicentesco che viene issato fino al reliquiario (a oltre 40 m di altezza rispetto al pavimento), lo porta a terra e lo espone alla venerazione dei fedeli. Alla fine, con lo stesso carro viene riportato al suo posto. Il carro è ornato con angeli e nuvole dipinte, e per questo viene chiamato nivola (cioè nuvola), da cui deriva il nome di rito della Nivola. Questo carro, che per secoli è stato issato da 24 uomini (12 a destra e 12 a sinistra), solo negli anni 1960 è stato motorizzato[31].
La nivola fa parte delle "macchine", o apparati presenti in modo più o meno residuale in celebrazioni in vari riti (come le macchine processionali per le statue di santi o il grande turibolo di Santiago di Compostela, il Botafumeiro).
Il rito della trasmigratio, nell'antico complesso di edifici che sorgevano nell'odierna piazza del Duomo, segnava il passaggio dalla basilica maior di Santa Tecla, cattedrale estiva, alla basilica vetus di Santa Maria Maggiore, cattedrale invernale.
Dopo la demolizione dei due edifici e la costruzione del duomo di Milano, tale rito diventò un passaggio simbolico che il capitolo metropolitano compiva dall'esterno all'interno della cattedrale in occasione della domenica della dedicazione, e si mantenne fino agli inizi dei lavori di restauro del duomo negli anni 1970[32].
Nel 2023 il rito della trasmigratio è stato ripreso, rivisitato, in occasione della solennità della dedicazione del Duomo di Milano[33].
Il rito odierno ha inizio con l'arcivescovo, i canonici e un gruppo di fedeli radunati davanti al portale maggiore del duomo, chiuso. L'arcivescovo, dopo il segno della croce e il saluto liturgico, canta le parole del salmo 118, cui rispondono i fedeli presenti all'interno della cattedrale; in seguito percuote con un martelletto il portale, che viene quindi aperto. Processionalmente, al canto di una sallenda, i fedeli, i canonici e l'arcivescovo si recano all'altare maggiore, dove ha inizio il solenne pontificale[34].
Il rito ambrosiano ha un suo calendario e un suo complesso di norme che regolano le precedenze liturgiche. L'anno liturgico inizia con l'Avvento, prosegue con il "tempo di Natale" e quello "dopo l'Epifania", seguono la Quaresima, il "tempo pasquale", il "tempo dopo Pentecoste", quello "dopo il Martirio di san Giovanni Battista" e quello "dopo la Dedicazione".
Con la riforma del lezionario del 2008, le solennità dell'Ascensione e del Corpus Domini sono state ricollocate nel giorno loro proprio: l'Ascensione quaranta giorni dopo la Pasqua e il Corpus Domini il giovedì della II settimana dopo Pentecoste. Viene concessa la possibilità, per ragioni pastorali, di celebrare queste due solennità anche la domenica successiva,[35] come avviene nel resto d'Italia dal 1977.
Particolarità del tempo di Avvento, dedicato alla preparazione del Natale, è la sua lunghezza di sei settimane anziché quattro come nel rito romano. Inizia la prima domenica dopo il giorno di San Martino (11 novembre) e prevede sempre sei domeniche (quando il 24 dicembre cade di domenica, è prevista la celebrazione di una domenica "Prenatalizia"). Gli ultimi giorni dell'Avvento sono detti "ferie dell'Accolto" (feriae de Exceptato) e costituiscono la novena di Natale.
Nel rito ambrosiano è previsto il colore morello (un colore simile al viola), tranne nell'ultima domenica (detta "dell'Incarnazione") nella quale si usa il bianco.
Ogni domenica prende il nome dal brano evangelico proclamato durante la messa:
Una delle peculiarità di questo rito, con profili non soltanto strettamente religiosi, è l'inizio della Quaresima, che non parte dal mercoledì delle ceneri, ma dalla domenica immediatamente successiva. Ciò dà luogo (ad esempio in Canton Ticino, a Tesserete e Biasca) alla distinzione tra carnevale "nuovo" (quello romano) che termina con il martedì grasso e carnevale "vecchio" (quello ambrosiano) che si conclude, invece, il sabato seguente.
La differenza tra il carnevale ambrosiano e quello del resto del mondo è dovuto proprio al diverso modo di calcolare le date di inizio e fine della Quaresima:
Vi sono differenze anche nella concezione dei venerdì di Quaresima: per il rito ambrosiano, infatti, il venerdì è feria aneucaristica, durante la quale non possono essere celebrate messe, per vivere in modo radicale la privazione da Cristo, come avviene nel Sabato Autentico, per accoglierLo pienamente con la Pasqua. Nelle altre feriae di Quaresima, quindi tutti i giorni tranne la domenica e il sabato (considerato semi-festivo in rispetto della prescrizione mosaica e come preparazione alla domenica), l'aspetto penitenziale è espresso dalla colorazione (facoltativa) nera dei paramenti anziché viola o morello. Nelle domeniche invece, come da tradizione ambrosiana, è sottolineato il percorso battesimale, che portava un tempo e può tuttora portare i catecumeni a prepararsi al battesimo nel giorno di Pasqua, e che guida i fedeli battezzati a riscoprire il significato di questo sacramento.
Ogni domenica, eccetto la prima, prende il nome dal brano evangelico proclamato durante la messa:
La Settimana Santa è chiamata "Settimana Autentica" (Hebdomada Authentica), in quanto vi si celebrano gli eventi centrali della storia cristiana. I riti del Triduo pasquale presentano alcune differenze da quelli del rito romano.
Il testo dell'Exsultet ambrosiano è differente dal corrispondente testo romano.
Come il messale romano, contiene tutte le parti fisse e variabili della messa eccettuate le letture.
La prima edizione del messale ambrosiano dopo il Concilio Vaticano II è stata promulgata dal cardinale Giovanni Colombo nel 1976, e rivista nel 1990, durante l'episcopato del cardinale Carlo Maria Martini.
Il 29 novembre 2020 è entrato in uso il cosiddetto "Rito della Messa per le comunità di rito ambrosiano"; questo volume, pubblicato in attesa della nuova edizione del messale ambrosiano, contiene i cambiamenti introdotti nell'ordinario della messa dalla traduzione italiana della terza edizione del messale romano[36].
Il 28 marzo 2024 l'arcivescovo Mario Delpini ha promulgato la seconda edizione del messale, che entrerà ufficialmente in vigore il 17 novembre dello stesso anno.[37]
Dopo un periodo transitorio, durato dalla riforma liturgica postconciliare, caratterizzato dall'utilizzo del lezionario romano e integrato da un volume ambrosiano utilizzato in alcuni periodi dell'anno liturgico, dal 16 novembre 2008 (I domenica di Avvento) è entrato in vigore il nuovo lezionario[38].
Nel nuovo lezionario sono state mantenute le letture proprie dei tempi forti (Avvento, Natale, Quaresima, Settimana Santa, Pasqua) e recuperate altre letture tradizionalmente proclamate nel resto dell'anno. Accanto a questo recupero, secondo le indicazioni conciliari, sono state affiancate altre letture creando così, come nel rito romano, un ciclo triennale nelle domeniche e biennale nelle ferie.
È organizzato in tre libri:
Ciascun "Libro" è suddiviso in un volume festivo articolato in un ciclo triennale (A-B-C) e uno feriale che segue un ciclo biennale (I per gli anni dispari, II per i pari).
Dal 14 novembre 2010 (I domenica di Avvento) entra in vigore anche il volume per le celebrazioni dei Santi. Inoltre da tale data hanno adottato il nuovo lezionario anche le parrocchie di rito ambrosiano appartenenti alla diocesi di Bergamo.
Tale versione del lezionario ha incontrato alcune perplessità, in particolare di tipo teologico-liturgico, da parte di alcuni prelati[39], il più autorevole dei quali è stato il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, profondo conoscitore della liturgia ambrosiana in quanto proveniente dal clero di Milano[35]. Le perplessità del cardinale Biffi sono state confutate dalla Congregazione del rito ambrosiano, per voce del professor Cesare Alzati[40].
Il nuovo evangeliario ambrosiano è stato promulgato dal cardinale Dionigi Tettamanzi l'11 giugno 2011[41] e si aggiunge come ultimo dei volumi di cui è costituito il lezionario ambrosiano. L'evangeliario ambrosiano è rilegato da una copertina esterna e corredato all'interno da 73 tavole a supporto del testo realizzate da sei artisti contemporanei; il cardinale Tettamanzi ha donato l'edizione originale al duomo di Milano, mentre altre copie alle parrocchie.
La liturgia delle ore è pubblicata secondo il rito ambrosiano in 5 volumi distribuiti lungo l'anno liturgico; esistono anche edizioni ridotte in un solo volume (Diurna Laus). La struttura di lodi e vespri è piuttosto diversa da quella del rito romano.
Nel rito ambrosiano sono stati pubblicati i seguenti rituali:
Per le altre celebrazioni si usano i rituali romani fino alla pubblicazione dei rituali ambrosiani.
Un tipico suono delle campane (peraltro non esclusivo del rito ambrosiano, ma diffuso anche in molte parti dell'Italia settentrionale a causa del forte influsso esercitato dalla tradizione dell'arcidiocesi di Milano) dipende dal tipo di struttura su cui sono montate le campane e dalla cosiddetta "inceppatura". Questo genere d'inceppatura è tipico della Lombardia, della Liguria, della maggior parte del Piemonte, di parte del Veneto e di parte dell'Emilia-Romagna.
Una volta messe in movimento, le campane possono suonare "a distesa" (senza sequenza) per semplice oscillazione di pochi gradi rispetto al loro asse, oppure "a concerto" (seguendo una serie precisa di "sganci").
Su appositi supporti dell'"incastellatura", su cui è collocata ogni singola campana, si trova una balestra che ha la funzione di far arrestare la campana stessa una volta che questa ha compiuto la sua rotazione; detta balestra serve anche a favorire (col suo molleggio) lo sgancio successivo. L'arresto e sosta "in piedi" della campana sono possibili grazie a una piccola staffa posta sulla ruota, la quale staffa va appunto a scontrarsi con la balestra. Per eseguire il concerto solenne occorre portare le campane in posizione ribaltata di 180° rispetto alla posizione di fermo. Una volta raggiunta tale posizione di stallo, detta "a bicchiere" o "in piedi" (bocca in alto e contrappeso in basso), le campane, sganciate una alla volta o a coppie (eseguendo in questo secondo caso un accordo), si ribaltano (a questo punto di circa 360°) emettendo un rintocco ogni volta in cui il battacchio cade su uno dei due bordi, sempre inferiore, della campana, mentre essa gira: a ogni giro vi sono quindi due rintocchi, uno allo sgancio e uno al ritorno verso la posizione di stallo.
Calcolando il tempo che ogni campana impiega per compiere detta rotazione, è possibile comporre determinate successioni di suoni, con la possibilità di ottenere particolari concerti.
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