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attore, doppiatore e conduttore radiofonico italiano (1901-1974) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Gino Cervi, all'anagrafe Luigi Cervi (Bologna, 3 maggio 1901 – Punta Ala, 3 gennaio 1974), è stato un attore, doppiatore e conduttore radiofonico italiano.
Dotato di grande presenza scenica e di notevole incisività recitativa, è stato uno dei più prolifici e versatili interpreti nella storia dello spettacolo italiano, spaziando dal teatro serio a quello brillante, dal cinema alla radio e alla televisione.
Figlio di Angela Dall'Alpi e del giornalista Antonio Cervi, critico teatrale de Il Resto del Carlino, nacque nello storico quartiere bolognese di Santo Stefano in via Cartoleria, 3. Si sentì sempre legato a Casalbuttano, in provincia di Cremona, dove è sepolto il padre e dove la famiglia era proprietaria, fra le altre, della cascina Convento.
Fin da bambino si appassionò al teatro, tanto da insistere affinché suo padre lo portasse ad assistere a qualche spettacolo. D'alta statura, robusto[1], dotato di bella presenza e di modi signorili e raffinati, iniziò come filodrammatico, per esordire ufficialmente nel 1924 al fianco della celebre Alda Borelli ne La vergine folle di Henri Diamant Berger, tratta da un dramma di Henri Bataille.
Nel 1925 fu chiamato come primo attore giovane da Luigi Pirandello nella compagnia del Teatro d'Arte di Roma, accanto ai primi attori Marta Abba, Lamberto Picasso e Ruggero Ruggeri, interpretando successi come Sei personaggi in cerca d'autore (nella parte del figlio), opera con cui andò in tournée a Parigi, Londra, Basilea, Berlino.[2]
Ottenne rapidamente un notevole successo, tanto che nel giro di dieci anni lavorò con le più note compagnie italiane, per diventare poi primo attore nella compagnia Tofano - Maltagliati (1935-1937). La voce profonda e suggestiva e la naturalezza della recitazione lo resero uno dei più apprezzati interpreti di Goldoni, Sofocle, Dostoevskij, e soprattutto di Shakespeare, del quale sarà un memorabile interprete di Otello, e di cui doppierà anche il personaggio di Amleto nella versione cinematografica con protagonista Laurence Olivier.
Nel 1938, insieme ad Andreina Pagnani, Paolo Stoppa e Rina Morelli, costituì la compagnia semistabile del Teatro Eliseo di Roma, di cui assumerà la direzione nel 1939.[3] Sempre nel 1939 interpretò Tirsi in Aminta, per la regia di Renato Simoni e Corrado Pavolini con la Morelli, la Pagnani, Micaela Giustiniani, Rossano Brazzi, Ernesto Sabbatini, Carlo Ninchi, Aroldo Tieri e Annibale Ninchi al Giardino di Boboli a Firenze.
Già nei primi anni trenta quello di Cervi era un nome ben noto e apprezzato del teatro italiano. Nello stesso periodo anche il cinema, che sin dagli inizi aveva attinto al teatro per fabbricare i propri divi, lo scoprì. L'esordio cinematografico avvenne nel 1934 con Frontiere, diretto da Cesare Meano, ma a farne un grande nome dello schermo sarà il regista Alessandro Blasetti, rendendolo protagonista di una fortunata serie di film storici, quali Ettore Fieramosca (1938), Un'avventura di Salvator Rosa (1939) e La corona di ferro (1941). Sempre Blasetti, nel 1942, lo diresse in un toccante film dai toni amari che precorre il neorealismo, 4 passi fra le nuvole. E sempre nel 1942 affiancò Valentina Cortese nel film storico La regina di Navarra. Nel 1945 affiancò Anna Magnani in Quartetto pazzo.
Negli anni cinquanta ottenne uno straordinario successo con l'interpretazione della fortunatissima serie di film dedicata ai personaggi letterari di Giovannino Guareschi, in cui interpretò il sindaco comunista Giuseppe Bottazzi, detto Peppone. I film della serie saranno cinque: il primo, Don Camillo (1952, anno in cui partecipò anche al film Moglie per una notte, affiancando Gina Lollobrigida), fu diretto da Julien Duvivier e vide Cervi accanto a Don Camillo, interpretato dall'attore francese Fernandel. Guareschi, Cervi e Fernandel divennero ottimi amici e i due attori fecero da testimoni al matrimonio di Carlotta Guareschi, figlia dello scrittore. Il sodalizio artistico e personale tra i due attori fu talmente profondo, che quando Fernandel morì (durante la lavorazione del sesto film della saga), Gino Cervi si rifiutò di proseguire l'opera. L'ultimo film della saga, Don Camillo e i giovani d'oggi, infatti, venne girato con attori differenti.
Il successo nella serie di Don Camillo rivelò le doti di Cervi anche come attore brillante nel genere della commedia. Seguiranno così, fino ai primi anni sessanta, altri film appartenenti al filone della commedia all'italiana, come Il coraggio (1955), Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956), Gli anni ruggenti (1962) e Gli onorevoli (1963). Tornerà a un'importante interpretazione drammatica nel 1960 in La lunga notte del '43 di Florestano Vancini, prodotto da suo figlio Antonio. In questo film Cervi interpretò Sciagura, inquietante gerarca fascista che l'attore incarnò con straordinaria abilità, costruendone la fisionomia torbida durante buona parte del film e mettendola poi in contrasto con il tratto pacato e amabile del finale.
A metà degli anni sessanta fu la televisione a dargli una rinnovata notorietà. Nel 1963 tornò a rivestire con successo per il piccolo schermo la figura del cardinale Lambertini, che aveva già interpretato nella versione cinematografica del 1954.
Ma soprattutto, dal 1964 al 1972, Cervi fu l'impeccabile interprete della serie poliziesca Le inchieste del commissario Maigret, ispirata ai romanzi dello scrittore belga Georges Simenon. Al fianco della storica compagna d'arte Andreina Pagnani, tratteggiò con arguzia e bonarietà il celeberrimo personaggio del commissario parigino dal fiuto infallibile, amante della casa e della buona cucina. Lo stesso Simenon considererà quella di Cervi tra le migliori interpretazioni del personaggio di Maigret,[4] anche se l'autore belga indicò Rupert Davies come migliore Maigret "non francese".[5] La serie ottenne un successo strepitoso e le puntate del Maigret televisivo sono state più volte replicate nei canali della Rai anche dopo la sua morte, oltre a essere poste in vendita in VHS e DVD.
Le ultime apparizioni sono in alcuni caroselli per un famoso brandy della Buton, che aveva pubblicizzato per anni con un motto in rima, ideato da Marcello Marchesi, di enorme successo all'epoca: «Vecchia Romagna etichetta nera, il brandy che crea un'atmosfera». Caroselli che andarono in onda fino a pochi giorni prima della sua morte, mentre altri, già girati e programmati, furono sostituiti dall'azienda bolognese per rispetto del defunto.[6] Ritiratosi dalle scene nel 1972, Gino Cervi morì due anni dopo nella sua casa di Punta Ala (frazione di Castiglione della Pescaia), a causa di un edema polmonare, all'età di settantadue anni.[7] È sepolto nel cimitero Flaminio di Roma con la moglie Ninì, il figlio Tonino e il fratello Alessandro.
Seppur profondamente cattolico,[8] fu iniziato in Massoneria nel 1946 nella Loggia "Palingenesi" di Roma, appartenente all'Obbedienza della Gran Loggia d'Italia degli Alam, e nel 1947 fu affiliato alla Loggia "Gustavo Modena", di Roma, appartenente alla stessa Obbedienza.[9] Fascista della prima ora, partecipò alla marcia su Roma.[10] In seguito fu vicino alle posizioni politiche centro-liberali e fu critico verso il fascismo squadrista, ad esempio con la profonda interpretazione del gerarca Sciagura, nel film La lunga notte del '43 di Florestano Vancini. Alle elezioni amministrative di Roma del 1967 sostenne la Democrazia Cristiana. Nel 1970 venne eletto consigliere della Regione Lazio per il Partito Liberale Italiano.[10]
Nel 1928 conobbe in teatro la giovane attrice Angela Rosa Gordini (in seguito nota come Ninì Gordini Cervi) che sposò poco dopo. Dal loro matrimonio nacque Antonio, detto Tonino, poi noto come regista e produttore cinematografico, a sua volta padre di Antonia Cervi, Stefano Cervi, del produttore Antonio Levesi Cervi e dell'attrice Valentina Cervi. Negli ultimi anni lasciò la moglie per sposare Erika Mayer.[11]
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