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ortaggio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il carciofo (Cynara cardunculus scolymus L.Hayek) è una pianta angiosperma dicotiledone della famiglia Asteraceae, coltivata in Italia e in altri Paesi per uso alimentare e, secondariamente, medicinale.
La parola italiana carciofo, insieme alle altre varianti dialettali e non, è una derivazione della diffusione nel Mediterraneo dell'arabo خرشوف (ḵuršūf).
Nelle lingue e nei dialetti del Nord Italia solitamente viene chiamato "articiocco" o "articioc", termine simile ad altre lingue europee continentali: in francese è artichaut, in inglese artichoke, in tedesco Artischocke.
Nel meridione d'Italia le varianti conosciute si diffondono invece a partire dall'arcaismo siciliano che ci dà oggi "carciòffula/carcòcciula/cacòcciula" (lemma che ha mantenuto vivo il suffisso diminutivo), così come derivato dal siculo-arabo parlato in Sicilia fino all'XI secolo e dal quale anche deriva il maltese "qaqoċċa". È così che nelle Marche e in Abruzzo viene chiamato "scarcioful", in Campania "carciòffola", in Calabria "scarciòppulu" (plurale in -a), "cacciòffulu", "canciòffulu"; in sardo campidanese si usa il termine "cancioffa" e in sardo logudorese "cartzoffa". I termini utilizzati in spagnolo e portoghese, relativamente "alcachofa" e "alcachofra", sono derivazione diretta dall'arabo الخَرْشُوف (al-ḵuršūf).
Il carciofo è una pianta erbacea perenne alta fino a 1,5 metri, provvista di un rizoma sotterraneo dalle cui gemme si sviluppano più fusti, che all'epoca della fioritura si sviluppano in altezza con una ramificazione dicotomica. Il fusto, come in tutte le piante "a rosetta", è molto raccorciato (2–4 cm), mentre lo stelo fiorale è robusto, cilindrico e carnoso, striato longitudinalmente.
Le foglie presentano uno spiccato polimorfismo anche nell'ambito della stessa pianta (eterofillia). Sono grandi (fino a circa 1,5 m in alcune cultivar da seme), oblungo-lanceolate, con lamina intera nelle piante giovani e in quelle prossime ai capolini, pennatosetta e più o meno incisa in quelle basali. La forma della lamina fogliare è influenzata anche dalla posizione della gemma da cui si sviluppa la pianta. La superficie della lamina è verde lucida o verde-grigiastra sulla pagina superiore, mentre nella pagina inferiore è verde-cinerea per la presenza di una fitta tomentosità. Le estremità delle lacinie fogliari possono essere spinose in alcune varietà (Spinoso di Palermo, Spinoso Sardo, Spinoso di Albenga, Spinoso di Pompeiana).
I fiori sono riuniti in un capolino (detto anche calatide) di forma sferoidale, conica o cilindrica e di 5–15 cm di diametro, con un ricettacolo carnoso e concavo nella parte superiore. Sul ricettacolo sono inseriti i fiori (flosculi), tutti con corolla tubulosa e azzurro-violacea e calice trasformato in un pappo setoloso, utile alla dispersione degli acheni tramite il vento (disseminazione anemocora). Nel capolino immaturo l'infiorescenza vera e propria è protetta da una serie di brattee involucrali strettamente embricate, con apice inerme, mucronato o spinoso, a seconda della varietà. Fiori e setole sono ridotti ad una corta peluria che si sviluppa con il procedere della fioritura. In piena fioritura le brattee divergono e lasciano emergere i fiori. La parte edule del carciofo è rappresentata dalla base delle brattee e dal ricettacolo, quest'ultimo comunemente chiamato cuore. In Sardegna è molto richiesta anche la parte terminale dello scapo fiorale dalla terzultima o penultima foglia.
Il frutto è un achenio (spesso chiamato erroneamente "seme") allungato e di sezione quadrangolare, provvisto di pappo. Il colore varia dal marrone più o meno scuro al grigio con marmorizzazioni brune.
ll genoma di carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus L.) è stato recentemente decodificato[1][2]. L'assemblaggio copre 725 delle 1.084 Mb che costituiscono il genoma della specie. La sequenza codifica per circa 27.000 geni ed ha un contenuto di elementi ripetuti pari al 58,4%, la cui espansione si stima sia avvenuta circa 2,5 milioni di anni fa. La comprensione della struttura del genoma del carciofo è fondamentale per identificare le basi genetiche di caratteri di interesse agronomico e la futura applicazione di programmi di selezione assistita.
La famiglia di appartenenza di questa voce (Asteraceae o Compositae, nomen conservandum) probabilmente originaria del Sud America, è la più numerosa del mondo vegetale, comprende oltre 23.000 specie distribuite su 1.535 generi[3], oppure 22.750 specie e 1.530 generi secondo altre fonti[4] (una delle checklist più aggiornata elenca fino a 1.679 generi)[5]
La sottofamiglia Carduoideae è una delle 16 sottofamiglie nella quale è stata suddivisa attualmente (2021) la famiglia Asteraceae, mentre Cardueae è una delle 4 tribù della sottofamiglia. La tribù Cardueae a sua volta è suddivisa in 12 sottotribù (la sottotribù Carduinae è una di queste). Il genere Cynara elenca 10 specie con una distribuzione mediterranea, una delle quali è presente spontaneamente sul territorio italiano.[6][7][8][9]
Non tutte le checklist sono concordi nella classificazione tassonomica di questa entità. Alcune di esse considerano Cynara scolymus L. sinonimo di Cynara cardunculus L..[10][11] Mentre altre in pubblicazioni viene trattata come sottospecie Cynara cardunculus subsp. scolymus (L.) Hayek.[12][13]
Il genere di questa voce è inserito nel gruppo tassonomico della sottotribù Carduinae.[9] In precedenza provvisoriamente era inserito nel gruppo tassonomico informale "Cynara Group".[6] La posizione filogenetica di questo genere nell'ambito della sottotribù, tra i generi Ptilostemon Cass. e Galactites Moench, è abbastanza centrale.[8][14]
In questa specie sono stati identificati, con l'ausilio di marcatori molecolari (AFLP, microsatelliti e transposon display), tre differenti taxa[15]:
Le varietà di carciofo sono classificate secondo diversi criteri. I principali sono i seguenti:
Fra le varietà più famose si annoverano il Brindisino, il "Paestum" (carciofo IGP proveniente dall'omonima città della magna Grecia di Capaccio-Paestum) Spinoso sardo, Spinoso d'Albenga, il Catanese, il Verde di Palermo, il Carciofo di Montelupone, la Mammola verde, il Romanesco, il Mazzaferrata di Cupello, il Violetto di Toscana, il Precoce di Chioggia, il Violetto di Provenza, il Violetto di Niscemi. Le varietà di maggiore diffusione in passato erano il Catanese, lo Spinoso sardo e il Violetto di Provenza, fra i tipi autunnali forzati, e il Romanesco e il Violetto di Toscana fra quelli primaverili non forzati. Lo Spinoso sardo, una delle varietà più apprezzate nel mercato locale e in alcuni mercati dell'Italia settentrionale ha subito un drastico ridimensionamento dagli anni novanta a causa della ridotta pezzatura media dei capolini e della minore capacità produttiva rispetto ad altre cultivar (Tema, Terom, Macau, ecc.).
Documentazioni storiche, linguistiche e molecolari sembrano indicare che la domesticazione del carciofo (Cynara scolymus) dal suo progenitore selvatico (Cynara cardunculus) possa essere avvenuta in Sicilia, a partire dal I secolo circa. Proprio in orti familiari della Sicilia centro-orientale (nei dintorni di Mazzarino) ancora oggi si conserva un'antica cultivar che, sotto il profilo morfo-biologico e molecolare, sembrerebbe una forma di transizione tra il cardo selvatico ed alcune delle varietà di carciofo di più ampia diffusione.
La pianta chiamata Cynara era già conosciuta dai Greci e dai Romani, ma sicuramente si trattava di selvatico. A quanto sembra le si attribuivano poteri afrodisiaci.
Nella mitologia greca si narra che Zeus si innamorò dell'attraente ninfa Cynara, dai capelli biondo cenere (da cui il nome), di carattere ritroso, ma di cuore tenero e gentile. La ninfa lo respinse e Zeus, colmo di rabbia, la trasformò nel carciofo come lei spinoso, ma dolce e saporito.
Nel XV secolo il carciofo era già consumato in Italia. Venuto dalla Sicilia, appare in Toscana verso il 1466.
La tradizione dice che fu introdotto in Francia da Caterina de' Medici, la quale gustava volentieri i cuori di carciofo. Sarebbe stata proprio Caterina de' Medici a portare il carciofo dall'Italia alla Francia quando si sposò con il re Enrico II. Luigi XIV era pure un gran consumatore di carciofi.
Gli olandesi introdussero i carciofi in Inghilterra: si ha notizia che nel 1530 fossero coltivati nel Newhall nell'orto di Enrico VIII.
I colonizzatori spagnoli e francesi dell'America vi introdussero il carciofo continente nel XVIII secolo, rispettivamente in California e in Louisiana. Oggi in California i cardi sono diventati un'autentica piaga, esempio tipico di specie aliena invasiva in un habitat in cui non si trovava precedentemente.
La produzione mondiale del carciofo, secondo la FAO[17], nel 2011 è stata superiore a 1,5 milioni di tonnellate, di cui oltre il 60% nell'area mediterranea.
Di fatto i carciofi si coltivano soprattutto in Italia, Egitto e Spagna. Negli Stati Uniti d'America la maggior produzione di carciofi si ha nello Stato della California, e all'interno della California la contea di Monterey concentra più dell'80% del totale.
Da qualche anno, a causa di un'epidemia degli asparagi, nelle terre nuove del progetto Chavimochic del Perù si cominciò a coltivare il carciofo con il fine di esportarlo ai paesi europei, facendo del Perù il quarto produttore mondiale.
Una resa tipica della coltivazione è di 100 quintali per ettaro.
L'Italia detiene il primato mondiale nella produzione di questo ortaggio (pari a circa il 30%). Le zone di maggiore produzione sono la Sicilia (Piana di Gela e Piana di Catania), la Sardegna (Ittiri, Samatzai, Villasor, Nuraminis e Serramanna), la Puglia.[18]
Il carciofo è una tipica pianta degli ambienti mediterranei. Il suo ciclo naturale è autunno-primaverile: alle prime piogge autunnali le gemme del rizoma si risvegliano ed emettono nuovi getti. I primi capolini sono emessi verso la fine dell'inverno, a partire dal mese di febbraio. In tarda primavera la pianta va in riposo con il disseccamento di tutta la parte aerea.
Nelle zone più calde delle regioni mediterranee il carciofo viene coltivato con una tecnica di forzatura che ha lo scopo di anticipare al periodo autunnale la produzione di capolini. La tecnica consiste nel forzare il risveglio nel corso dell'estate: dai rizomi di una coltura precedente si prelevano le gemme, dette ovuli, e dopo una fase di pregermogliamento sono messi a dimora dalla seconda metà di giugno in poi, facendo seguire un'irrigazione copiosa. In questo modo l'attività vegetativa ha inizio in piena estate, con differenziazione a fiore nel mese di settembre e produzione dei capolini di primo taglio nei mesi di ottobre e novembre.
La forzatura del carciofo produce risultati solo nelle cultivar rifiorenti, e in ogni modo è causa di situazioni di stress biologico che deprimono la longevità della carciofaia. Per questo motivo le carciofaie forzate sono condotte in coltura annuale, biennale o triennale. Dopo il secondo o terzo anno la percentuale di diradamento è tale da rendere economicamente più vantaggioso il reimpianto della carciofaia.
Il carciofo si può propagare sia per via sessuata, con la riproduzione da seme, sia per via vegetativa sfruttando la sua naturale predisposizione ad emettere nuove piante dalle gemme del rizoma. La riproduzione da seme, pur essendo tecnicamente attuabile, non ha alcuna utilità pratica per le cultivar italiane: a causa del forte grado di eterozigosi delle nostre varietà, le piante nate da seme avrebbero caratteri completamente diversi ed eterogenei rispetto allo standard varietale. La propagazione vegetativa tradizionale segue metodi diversi secondo il tipo di ciclo colturale, ma si riconducono a due tipi: la propagazione per ovoli e quella per carducci.
Gli ovoli sono porzioni di rizoma ingrossate provviste di una o più gemme. La propagazione per ovoli si pratica con il prelievo, all'inizio dell'estate, dei rizomi dalle vecchie carciofaie. Da questi vengono separati gli ovoli, messi a pregermogliare per uno o due giorni e poi messi a dimora in un periodo che va dalla seconda metà di giugno fino agli inizi di agosto. L'epoca di "semina" è correlata all'epoca del raccolto del primo taglio.
I carducci sono i polloni basali emessi dal rizoma delle piante di oltre un anno d'età nelle prime fasi vegetative. Fra le operazioni colturali che si praticano durante la fase vegetativa è prevista la scarducciatura, ossia il diradamento della coltura con l'eliminazione dei polloni in quanto sottraggono risorse nutritive alla pianta a scapito delle rese qualitative della produzione. I polloni asportati possono essere messi a dimora in autunno per impiantare una carciofaia poliennale che darà la prima produzione al secondo anno d'impianto.
Le colture ottenute da ovoli iniziano il loro ciclo in piena estate e sono pertanto in grado di produrre capolini già nell'autunno successivo o nella primavera successiva. Questa tecnica di propagazione è pertanto utilizzata per le varietà autunnali o rifiorenti in coltura forzata. Le colture ottenute da carducci iniziano il loro ciclo in autunno inoltrato e poiché la pianta non riesce ad acquisire una sufficiente vigoria l'impianto è finalizzato a dare la prima produzione al secondo anno. Questa tecnica si adotta pertanto per le varietà primaverili in coltura non forzata.
La propagazione vegetativa ha il pregio di trasmettere il genotipo delle piante madri alle piante propagate, permettendo il mantenimento dello standard varietale. Ha però lo svantaggio di trasmettere le virosi accumulate, che sono una delle principali cause che riducono la longevità di una carciofaia. Per migliorare lo stato fitosanitario delle colture si può ricorrere a piante ottenute da micropropagazione. Questa tecnica consiste in una moltiplicazione in vitro con l'espianto dei meristemi apicali dagli apici vegetativi delle piante. I meristemi prelevati, detti espianti, essendo composti da cellule embrionali possono rigenerare un'intera pianta se opportunamente trattati (coltivazione in vitro su substrati nutritivi in cella climatica).
Il principio su cui si basa la micropropagazione risiede nel fatto che le cellule vegetali embrionali, essendo in fase di moltiplicazione, non sono infettate dai virus, pertanto le piante micropropagate sono risanate, ossia esenti da virus. In realtà la sicurezza del risanamento dipende dall'età delle cellule prelevate: le cellule effettivamente sane sono quelle del cono vegetativo, che rappresentano una porzione minima del meristema apicale, mentre all'aumentare della distanza dall'apice meristematico aumenta la probabilità che la cellula sia infettata dai virus. Con espianti di dimensioni ridotte aumenta la percentuale di risanamento delle piante micropropagate, per contro si riduce la percentuale di attecchimento. Un congruo compromesso si raggiunge prelevando espianti di dimensioni dell'ordine di mezzo millimetro.
Le colture ottenute da piante micropropagate presentano, almeno nei primi anni, un migliore stato fitosanitario che si manifesta con una maggiore vigoria e, di riflesso, una più elevata produttività. La micropropagazione presenta per contro degli svantaggi:
Dopo l'acqua, il componente principale dei carciofi sono i carboidrati, tra i quali si distingue l'inulina, e le fibre.
I minerali principali sono il sodio, il potassio, il fosforo e il calcio.
Tra le vitamine prevale la presenza di B1, B3, e piccole quantità di vitamina C.
Più importante per spiegare le attività farmacologiche degli estratti di carciofo è la presenza di un complesso di metaboliti secondari caratteristici:
La cinarina sembra avere effetti colagoghi. Gli estratti di carciofo hanno mostrato in studi clinici di migliorare la coleresi e la sintomatologia di pazienti sofferenti da dispepsia e disturbi funzionali del fegato. La cinarina ha mostrato di essere efficace come rimedio ipolipidemizzante in vari studi clinici.
La cinarina ha anche effetti coleretici, sembra cioè stimolare la secrezione di bile da parte delle cellule epatiche e aumentare l'escrezione di colesterolo e di materia solida nella bile.
I derivati dell'acido caffeico in genere mostrano effetti antiossidanti ed epatoprotettivi.
La cinarina è anche ipocolesterolemizzante, tramite l'inibizione della biosintesi del colesterolo e l'inibizione dell'ossidazione del colesterolo LDL. Diminuisce inoltre il quoziente beta/alfa delle lipoproteine ed ha effetti diuretici[19].
La medicina naturale e la fitoterapia usano il carciofo nel trattamento dei disturbi funzionali della cistifellea e del fegato, delle dislipidemie, della dispepsia non infiammatoria e della sindrome dell'intestino irritabile. Lo utilizza inoltre, per il suo sapore amaro, in caso di nausea e vomito, intossicazione, stitichezza e flatulenza. La sua attività depurativa (derivata dall'azione su fegato e sistema biliare e sul processo digestivo) fa sì che venga usata per dermatiti legate ad intossicazioni, artriti e reumatismi.
L'attività dei principi amari sull'equilibrio insulina/glucagone ne indica la possibile utilità come supporto in caso di iperglicemia reattiva o diabete incipiente, e l'effetto dei principi amari sulla secrezione di fattore intrinseco ne indica un possibile utilizzo in caso di anemia sideropenica.
Nella pittura europea rinascimentale, il carciofo è rappresentato in diversi quadri tra i quali: L'ortolana di Vincenzo Campi, Cucina di Floris van Schooten, Natura morta di asparagi, carciofi, limoni e ciliegie di Blas De Ledesma, L'estate e Vertumnus di Arcimboldo.
Opera di scultura, appare alla sommità di alcune fontane monumentali collocate a Napoli, Firenze e Madrid.
Il basso contenuto calorico del carciofo fa sì che sia specialmente indicato nelle diete dimagranti.
I fiori, come quelli del cardo, contengono il lab-fermento (chimosina), che si usa come caglio del latte.
La cucina della Liguria valorizza molto questo ingrediente, che, per il fatto di maturare in primavera, diventa in tale periodo il componente di una variante della locale torta pasqualina, specialità tradizionalmente a base di bietole.
Specialità della cucina romana sono invece il carciofo alla romana (stufato in olio d'oliva, acqua, prezzemolo, aglio e mentuccia), il carciofo alla giudia, (intero e fritto in olio di oliva), il fritto di carciofi in pastella e l'insalata di carciofi (crudi a lamelle).
Anche nella cucina siciliana, da dove - specialmente nella piana di Gela, e nella vicina Niscemi - proviene una larga parte della produzione nazionale, il carciofo ricopre un ruolo di rilievo, venendo utilizzato in molte pietanze e anche consumato in occasione di festività locali e religiose.
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